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sabato 24 settembre 2016

La mia vita la decido io - Riflessione sul Vangelo di Domenica 25 settembre 2016

Alcuni anni fa andammo a vedere un film al cinema con alcuni amici, all'uscita un giornalista ci chiese cosa ci avesse colpito di più e, benché avessimo visto tutti lo stesso film, ognuno di noi diede una risposta diversa. Nulla di strano, quando guardiamo un film, assistiamo ad uno spettacolo o una conferenza, quando leggiamo un testo, ognuno di noi nota maggiormente alcuni particolari e meno altri. A volte però la nostra attenzione può essere così attratta da un determinato elemento da farci perdere il senso generale di ciò che abbiamo davanti.
Potremmo correre questo rischio con il Vangelo di questa domenica, la parabola del ricco e del povero Lazzaro. A prima vista, infatti, potremmo essere colpiti dalla disparità di possibilità economiche dei due protagonisti, potremmo essere indotti a pensare che l'argomento principale sia, ancora una volta, la ricchezza. Potremmo così trovarci a chiederci come mai il Signore ce l'abbia tanto con la ricchezza di questo mondo.
Il centro di questa parabola però non è la ricchezza ma la vita eterna.
Gesù vuole metterci in guardia, vuole portarci a riflettere: la nostra vita non si conclude su questa terra, non è fatta solo per i pochi anni che trascorriamo qui, è fatta per la vita eterna ma come sarà quella lo decidiamo noi ora.
Riguardiamo insieme gli elementi fondamentali della parabola.
Due uomini: un ricco che vive nel lusso più sfrenato, che ogni giorno si abbuffa a lauti banchetti e che non nota neppure la presenza dell'altro uomo, il povero Lazzaro che coperto di piaghe spera di poter mangiare almeno gli avanzi ma non gli vengono concessi neppure quelli. Entrambi muoiono e nell'aldilà la loro sorte è rovesciata: Lazzaro è accanto ad Abramo, il ricco è tormentato negli inferi. Notiamo che non c'è un giudizio che stabilisce la sorte dell'uno e dell'altro ma la loro nuova condizione è conseguenza della condotta che hanno avuto in vita. Perché questo contrappasso? Perché le cose debbano essere necessariamente rovesciate? Perché ciò che appartiene a questo mondo è quasi sempre ingannevole, è un'illusione, sembra saziarci, sembra soddisfarci ma non lo fa mai veramente. Quante volte ci siamo convinti di aver bisogno di qualcosa per essere felici e poi quando l'abbiamo avuta ci siamo resi conto di essere esattamente al punto di prima? Inoltre quando inseguiamo le cose di questo mondo, quando pensiamo solo a soddisfare i nostri capricci , senza che nemmeno ce ne accorgiamo, diventiamo ciechi alle necessità dei nostri fratelli, esistiamo solo noi, ci rinchiudiamo in una solitudine dettata dall'avidità e dall'avarizia.
La vita eterna, invece, è la vita in Dio, nella sua verità, lì cadono tutte le menzogne, le illusioni, gli inganni, non possiamo più fingere, non possiamo più cercare noi stessi perché la luce di Dio ci rivela che la nostra pienezza, che lo scopo della nostra vita è amare, donarsi, condividere. Davanti a questa verità chi ha scelto di pensare solo a se stesso si ritrova nel dilaniante tormento di aver compreso di aver sprecato tutto la propria vita. Il ricco si ritrova negli inferi perché il suo cuore non è più capace di amare e chi non sa amare non riesce a stare davanti a Dio che è amore.
Quale soluzione, dunque? Come possiamo evitare di ritrovarci anche noi con un cuore così indurito da non essere capace di alcuna compassione? Ascoltando la Parola di Dio, lasciandoci guidare da Lui a condividere quello che abbiamo con chi non ne ha, a saperci fare vicini a chi è più debole, a chi soffre, ad amare come Dio ama noi. Sembra un compito arduo e faticoso, in realtà si tratta solo di lasciare che lo Spirito Santo agisca in noi, dobbiamo solo abbassare le nostre difese, le nostre paure e il resto lo farà Lui. Gradualmente, con pazienza e delicatezza trasformerà il nostro cuore, ci renderà capaci di amare veramente, di riconoscere le sofferenze dei nostri fratelli e di farcene carico secondo le nostre possibilità. Impareremo che c'è molta più gioia nel condividere che nel tenere tutto per sé.

venerdì 16 settembre 2016

La ricchezza vera - Riflessione sul Vangelo di domenica 18 settembre 2016

Qualche giorno fa ho letto una notizia che mi ha fatto molto riflettere: quintali di prodotti agricoli sono stati distrutti perché eccedenti le quote stabilite dalla Comunità Europea. Non è certo la prima volta che leggo notizie simili, ricordiamo tutti alcuni anni fa le proteste sulle "quote latte". Davanti a tanto cibo sprecato e considerando quanti milioni di persone nel mondo ogni giorno soffrono la fame e ne muoiono anche, ho chiesto spiegazioni ad amici economisti e mi è stato risposto che sono misure necessarie per evitare svalutazioni dei prodotti, crescita dell'inflazione e altre conseguenze economiche. Forse la semplifico un po' troppo ma mi sembra di aver capito che l'Italia, uno dei Paesi più ricchi, distrugge il cibo per continuare a restare tale, uno dei Paesi più ricchi del mondo. Beninteso questa stessa cosa si fa anche nelle altre Nazioni! Che ricchezza e povertà esistano da quando esiste l'umanità non è certo un segreto, così come non è un segreto che la ricchezza sia la causa di ogni conflitto dall'alba dei tempi ad oggi. In molti hanno anche cercato di trovare soluzioni che diminuissero il divario tra ricchi e poveri, sono state elaborate ideologie di indirizzo diverso che sono poi diventate correnti politiche che hanno tentato di politicizzare l'economia ottenendo però il risultato opposto: oggi è l'economia che comanda anche sulla politica. 
Ma tutto questo cosa c'entra col Vangelo? Il Vangelo non parla solo di cose spirituali? 
Il Vangelo parla della nostra vita e alla nostra vita, dunque ci aiuta anche a riconoscere le menzogne e gli inganni del mondo, ci insegna a scegliere la verità e il bene, quello vero.
Nel Vangelo di questa domenica Gesù definisce la ricchezza di questo mondo disonesta. Parola forte che forse ci ferisce un po' perché quello che possediamo possiamo con serenità affermare di averlo guadagnato in piena onestà. Purtroppo però è tutto il sistema che è disonesto, che stabilisce da sé le proprie regole in modo che alcuni restino avvantaggiati a scapito degli altri. 
Per Gesù la ricchezza di questo mondo è disonesta perché nel disegno del Padre i beni di questo mondo sono per la sussistenza di tutti i suoi figli, non solo di alcuni. Tratteniamoci dalla tentazione di attribuire a Gesù ideologie che non gli appartengono e che sono decisamente successive alla sua predicazione e cerchiamo invece di capire cosa vuole indicarci.
Posto che la ricchezza è disonesta e più di tanto non possiamo fare per evitarlo, cerchiamo per lo meno di usarla bene, cerchiamo di fare in modo di gestirla secondo quello che era il disegno originale, impariamo a condividerla con chi ne è privo. Con attenzione, nei modi giusti, curando che quanto diamo sia davvero utile a ci riceve. Gesù ci invita a condividere nella carità: dividere cioè quello che è in nostro possesso con il fratello che ha bisogno non per tacitarci la coscienza ma per amore del fratello, provvedendogli quanto gli serve, non per soddisfarne capricci o per assecondarne vizi, ma per alleviarne le sofferenze. 
Viene però da chiedersi se sia davvero così necessario, se sia proprio indispensabile. Se vogliamo la vita eterna lo è! Non perché Dio voglia punirci se abbiamo tenuto tutto per noi ma perché la vita eterna è piena condivisione, piena comunione d'amore. Se non iniziamo a vivere da oggi questa comunione, se non iniziamo da ora a riconoscere in chi abbiamo davanti un fratello da amare non saremo capaci di entrare nel Regno di Dio, se non impariamo ora a condividere non saremo capaci di condividere un giorno la gioia del Paradiso. 
L'unica vera ricchezza della nostra vita non è il denaro ma l'amore, di quello dobbiamo arricchirci condividendo ciò che abbiamo con i fratelli che il Signore ci mette accanto ogni giorno.

sabato 10 settembre 2016

Misericordiosi come il Padre - Riflessione sul Vangelo di domenica 11 settembre 2016

Quando, poco più di un anno fa, Papa Francesco ha iniziato a parlare di Giubileo della Misericordia, alcuni hanno cominciato subito a chiedersi se fosse davvero così necessario, se servisse veramente fermarsi per un intero anno a meditare sulla misericordia di Dio.
Io penso che basti guardarsi intorno, sfogliare i giornali, ascoltare le notizie o anche solo fare la fila alla posta o al supermercato, per capire che la nostra società, che tutti noi abbiamo bisogno di misericordia. Abbiamo bisogno di scoprirci "misericordiati" (come dice il Papa) e abbiamo bisogno di imparare ad avere misericordia.
Il Vangelo di questa domenica è un concentrato di misericordia, è il capitolo del Vangelo di Luca che raccoglie le tre parabole della misericordia: la pecora smarrita, la moneta perduta, il figlio prodigo. Tutte parabole che conosciamo benissimo, che abbiamo ascoltato molte volte, che forse sappiamo anche a memoria. ma che, come una gemma preziosissima, ci svelano continuamente nuove sfumature, continuano ad essere strumento prezioso con cui il Signore parla alla nostra vita.
Papa Francesco ha voluto dare a questo Giubileo della Misericordia un motto "Misericordiosi come il Padre" dobbiamo cioè imparare dal Padre ad essere misericordiosi. Soffermiamo dunque la nostra attenzione proprio sugli atteggiamenti del Padre che Gesù mette in luce con queste tre parabole.
A me colpiscono due aspetti. Innanzi tutto il Padre non è fermo, statico, non resta in attesa del nostro ritorno, è lui a muoversi, a cercarci, a venirci incontro. Il pastore si mette in cerca della pecora smarrita, la donna spazza la casa, il padre corre incontro al figlio prodigo che ritorna. Dio non si dà mai per vinto, non si rassegna mai quando ci siamo allontanati da lui, continua a cercarci, a venirci incontro, a desiderare con tutto se stesso di poterci riabbracciare. Non ci rimprovera, non ci sgrida, non ci fa la ramanzina, anzi ci carica sulle sue spalle, si prende cura di noi, ci ridona dignità, pace, serenità.
Ci sono tante persone che vivono schiacciate da sensi di colpa, magari perché nella vita hanno commesso errori, hanno fatto peccati gravi, di cui si vergognano e di cui non sanno trovare la forza di perdonarsi. Capita che vengano a celebrare la Riconciliazione e vogliano confessare per l'ennesima volta quel peccato così doloroso. Non è il perdono di Dio che cercano ma il proprio. In fondo al cuore sanno che veramente Dio le ha già perdonate ma sono loro a non saper perdonare se stesse.
In queste tre parabole non c'è il minimo accenno a un qualunque tipo di rimprovero, di accusa, perché Dio non rimprovera né accusa, Dio accoglie e fa festa.
Ecco il secondo grande elemento: la gioia, la festa. Dio è felice quando può perdonarci, quando ci lasciamo trovare, quando ci lasciamo abbracciare e coccolare da lui. Fa festa, una festa per noi, una festa in cui la nostra vita così segnata dal male e dal peccato, così schiacciata dal dolore e dalla colpa, può finalmente tornare a gioire, ad essere così come era stata pensata. Essere "misericordiati"è esattamente questo.
Dobbiamo poi imparare anche noi ad essere misericordiosi, lasciamo da parte le accuse, i giudizi, le critiche, così spesso inquinate da invidia, risentimento, vendetta. Quando qualcuno ci fa del male, prima di reagire cerchiamo di avere compassione, prima di allontanare cerchiamo di accogliere, prima di rispondere con la stessa moneta cerchiamo di perdonare, sempre e comunque, anche quando l'altro non è pentito, anche quando sembra ostinarsi nel male.
Chiediamo al Signore che renda il nostro cuore desideroso di misericordia, ricevuta e donata, senza condizioni, senza paure. Forse potrebbe sembrare un atteggiamento da perdenti, da chi si tira indietro, no, è essere misericordiosi come il Padre e provare così la sua stessa gioia.

sabato 3 settembre 2016

Esigenza d'amore - Riflessione sul Vangelo di domenica 4 settembre 2016

Davanti ad alcune pagine di Vangelo d'istinto ci potrebbe venire da chiederci "ma quel giorno Gesù si era alzato male?". Tutti abbiamo le nostre giornate no, quelle in cui siamo un po' più suscettibili e un po' più nervosi ed esigenti. Così ci viene da pensare che forse anche il Signore ha passato giornate così e forse proprio in quelle ha fatto discorsi che siamo disposti ad accogliere solo con molta fatica.
È forse il caso della pagina di Vangelo di questa domenica: prima Gesù afferma chiaro e tondo che se vogliamo essere suoi discepoli dobbiamo amare lui più di ogni altro, più dei genitori, più dei figli, dei fratelli e perfino più della nostra stessa vita. Aggiunge poi una seconda clausola: prendere la propria croce e seguirlo. Se poi avessimo ancora dei dubbi ci avverte con una parabola di valutare bene prima di fare scelte che poi non possiamo portare a termine. "Gesù ti preferivo quando parlavi di pace e accoglienza!" Ci viene da dire.
Attenzione! Ricordiamo sempre che c'è una sola cosa che sta a cuore al Signore Gesù: la nostra salvezza! E ce l'ha così a cuore che si è fatto inchiodare a una croce! Ricordiamo anche che non cerca di complicarci la vita, quello siamo bravissimi a farlo da soli, al contrario, vuole semplificarcela, facendoci riconoscere i nostri errori.
Proviamo allora a leggere in quest'ottica questa difficile pagina di Vangelo.
Nella vita ciascuno di noi ha delle persone che ama più delle altre, quasi sempre sono gli affetti familiari, quelli con cui abbiamo legami di sangue, quelli con cui abbiamo trascorso la maggior parte della nostra vita, che si sono presi cura di noi, di cui noi ci siamo presi cura. Amare queste persone è per noi del tutto naturale, ma le amiamo di un amore terreno spesso fragile, incompleto. A volte ci accorgiamo di non essere capaci di amare come vorremmo, che vorremmo poter fare di più perché intuiamo che è in un amore senza limiti che possiamo trovare tutta la nostra gioia e pienezza.
Quando Gesù ci dice "Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo." ci sta offrendo proprio la possibilità di amare le persone a noi più care, ma anche tutte le altre che incontriamo ogni giorno sul nostro cammino, in un modo nuovo, come lui ha amato noi, donando se stesso e insegnando a noi a fare lo stesso.
Ecco allora che la croce non è uno strumento di tortura, quando Gesù ci dice: "Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo" non ci sta invitando a scegliere un modo per soffrire, ci sta indicando il luogo per amare pienamente. La croce di Gesù non è il simbolo della sua sofferenza ma il luogo del suo amore pieno e totale. La croce della nostra vita non è qualunque cosa ci faccia male, è invece quella situazione, quell'ambito, della nostra vita in cui dobbiamo rinunciare a noi stessi per amore degli altri. Nella croce, così come la intente Gesù, c'è si sofferenza ma c'è soprattutto amore, amore puro, amore donato. È croce il sonno di una mamma che si alza alle tre del mattino nutrire il figlio neonato, è croce la stanchezza di un padre che va al lavoro per provvedere alle necessità della famiglia, è croce la fatica e lo sforzo di un giovane che studia perché vuole dare il suo contributo a rendere il mondo un posto migliore, è croce l'impegno di un catechista che vuole annunciare Cristo ai bambini che gli sono affidati.
Ecco, in questa prospettiva la pagina di Vangelo di questa domenica cambia molto! Gesù non è arrabbiato o scocciato, non è severo perché pretende perfezione, è esigente perché l'amore è di sua natura esigente!