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sabato 25 giugno 2016

Rinunciare a poco per avere tutto - Riflessione sul Vangelo di domenica 26 giugno 2016

Tra qualche settimana inizieranno le Olimpiadi e gli atleti che gareggeranno già da molto tempo sono impegnati con gli allenamenti. Per poter gareggiare e vincere la tanto desiderata medaglia d'oro, devono ora allenarsi intensamente e tutta la loro vita deve essere regolata per portarli alla migliore forma fisica. Si trovano così a rinunciare a tante cose, devono tenere una certa alimentazione e non possono nemmeno avvicinarsi a determinati cibi, devono riposare molto e non possono fare tardi la sera. Per raggiungere quella medaglia devono, insomma, saper rinunciare a tante cose. Ma in questo momento anche i ragazzi che hanno finito le scuole superiori si trovano in una situazione simile: per poter passare l'esame di maturità devono trascorrere molto tempo a studiare, devono andare a dormire presto, devono rinunciare per un po' ad uscire con gli amici o ad andare al mare.
Nella vita questo ci succede spesso, ogni volta che ci troviamo davanti a qualcosa di molto importante dobbiamo anche saper fare delle scelte, dobbiamo saper rinunciare ad alcune cose che in sé sono anche buone ma che sarebbero di ostacolo. Lo facciamo per conseguire un titolo di studio, per vincere una gara, per un lavoro importante, lo facciamo per la famiglia, per crescere i figli. Le rinunce nella nostra vita sono molto più frequenti e quotidiane di quanto spesso non pensiamo.
Anche la vita di fede chiede delle rinunce per essere vissuta a pieno. Scegliere di vivere pienamente la chiamata ad essere parte del Regno di Dio mi chiede di lasciare alcune cose, che in sé sono anche buone ma che possono diventare distrazioni.
Nel Vangelo di questa domenica Gesù è molto chiaro, molto netto, usa termini molto precisi che possono spaventarci un po'. Ci chiede di saper rinunciare a tutto, di "lasciare che i morti seppelliscano i loro morti", di "mettere mano all'aratro senza voltarsi indietro" e così via. La chiamata di Gesù è una chiamata esigente che chiede di mettere il Regno di Dio al primo posto nella vita, anche al di sopra degli affetti più vicini.
Abitualmente ce la caviamo riservando queste richieste così alte a preti e suore ma non v'è dubbio che queste richieste Gesù le rivolga a tutti coloro che vogliono seguirlo davvero.
Ma si può scegliere di vivere così? Può, oggi, un laico, padre o madre di famiglia, con un lavoro, con impegni vari, mettere il Regno di Dio al di sopra di ogni altra cosa? Se Gesù ce lo propone significa che è possibile, non solo ma che è proprio scegliendo di vivere così che troveremo la nostra gioia. Forse è proprio questo il punto: abbiamo paura che scegliere di seguire veramente il Signore Gesù sia una cosa faticosa e triste. Nella mia vita ho avuto la grazia di incontrare molte persone che hanno accolto seriamente l'invito di Gesù, tanti laici, padri e madri di famiglia, impegnati nel lavoro e nell'educazione dei figli, che però hanno deciso di mettere al primo posto il Regno di Dio. Nei loro occhi ho sempre visto la gioia, anche nelle difficoltà e nei momenti più difficili, perché sanno di non essere soli. Il cammino che il Signore ci propone non è una spedizione in solitaria, non è qualcosa che dobbiamo inventarci da soli, è sempre un atto ecclesiale, ci chiama a seguirlo in una comunità, sia la nostra parrocchia, un movimento ecclesiale, un gruppo diocesano. Le persone che il Signore mi mette accanto non sono semplici compagni di viaggio, diventano fratelli e sorelle, ci si scopre legati da vincoli ben più forti di una semplice amicizia, si comprende che donare la vita al Signore è condividerla con chi abbiamo accanto e trovarla impreziosita e illuminata.
Annunciare il Regno di Dio, come ci chiede Gesù questa domenica, non è un impegno gravoso ma la possibilità di fare della mia vita uno strumento prezioso attraverso cui il Signore possa entrare nella vita delle persone che incontro ogni giorno per salvarli. Dovremmo provare, allora, ad accantonare le nostre paure e i nostri attaccamenti alle comodità e scegliere di fidarci di Gesù, dirgli il nostro sì, temiamo di perderci ma abbiamo invece solo da guadagnarci.

venerdì 17 giugno 2016

Il desiderio più grande - Riflessione sul Vangelo di domenica 19 giugno 2016

Sta arrivando l'estate e con essa il tempo delle vacanze. Tutti le aspettiamo, le desideriamo come un tempo in cui finalmente staccare un po' dal ritmo frenetico dei mesi invernali. La nostra vita è sempre presa da tanti impegni per inseguire le nostre aspirazioni, cerchiamo sempre modi nuovi per ottimizzare i tempi, per far in modo che non vada sprecato nemmeno un minuto della nostra vita, alla ricerca di ciò che può soddisfare la nostra sete di soddisfazione, la nostra sete di senso.
Ciascuno di noi ha nel cuore un desiderio di pienezza e ciascuno la cerca attorno a sé, spesso guardiamo agli altri, a chi abbiamo accanto e ci troviamo a desiderare ciò che hanno gli altri: un determinato lavoro, una casa fatta in un certo modo, determinate amicizie. Quasi sempre, però, quando otteniamo quello che desideriamo non ci troviamo quella soddisfazione che ci aspettavamo.
Come si fa, allora, ad avere una vita che abbia senso, che dia al nostro cuore quella soddisfazione che cerca?  Possiamo seguire i nostri desideri o ci condurranno verso vicoli ciechi?
Sì, possiamo seguire i nostri desideri purché siano quelli più profondi del nostro cuore, non i nostri capricci e le nostre pulsioni che invece si ingannano e ci portano a cercare cose che non ci soddisferanno mai completamente.
Non ci sono persone più felici dei santi e non hanno fatto altro che ascoltare il desiderio più profondo del loro cuore, il desiderio d'amore, un amore grande, pieno, donato. Ognuno a modo suo ha seguito quel richiamo a vivere d'amore, ha seguito la strada che il Signore gli ha tracciato davanti, una strada in cui spendere completamente la loro vita per amore degli altri e in questo hanno trovato la loro gioia.
Nel vangelo di questa domenica Gesù annuncia ai suoi discepoli la sua passione, precisando che dovrà essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi e per questo essere ucciso. Gesù sa che il suo compito di annunciare la salvezza di Dio lo porterà a scontrarsi con i capi del popolo di Israele, ma sa anche che l'umanità intera ha bisogno di questo annuncio di salvezza, ha bisogno di sapere che ha un Padre che ama ogni uomo, ha bisogno di sapere che la vita non è una semplice parentesi ma che tutti siamo fatti per la vita eterna. È per amore di ciascuno di noi che Gesù sceglie di continuare il suo cammino verso Gerusalemme, di annunciare la misericordia del Padre, di far sperimentare, nei suoi gesti e nei miracoli, la tenerezza di Dio. La passione di Gesù non è solo un grande atto di sofferenza ma è innanzi tutto un grande atto d'amore. Gesù ha scelto di amare ciascuno di noi più della sua stessa vita e così ha tracciato davanti a noi una strada, quella della nostra felicità.
Appare più che paradossale che la nostra gioia debba passare attraverso ciò che istintivamente tutti vorremmo fuggire: la sofferenza, il dolore, il rifiuto, la negazione di noi stessi. Ci appare paradossale se concentriamo la nostra attenzione su questi elementi, se, invece, consideriamo il desiderio profondo del nostro cuore, desiderio di condivisione, di amore, di dono di sé. I santi hanno fatto proprio questo, hanno seguito quel desiderio profondo del cuore, non si sono fermati a considerare ciò che avrebbero perso ma ciò che avrebbero guadagnato, non hanno cercato di soddisfare se stessi ma di amare gli altri, non hanno lasciato vincere la paura ma hanno fatto vincere l'amore e hanno trovato la loro gioia. L'obiezione potrebbe essere,ora, "ma loro sono santi, io no!" Eppure nessuno di noi ha ricevuto meno grazia, meno amore di loro. Ogni giorno il Signore ci colma del suo amore, della sua grazia, ci fornisce tutto ciò che ci è necessario per poter anche noi scegliere di vivere la nostra vita spendendola nell'amare i fratelli. Non ci resta che seguire, come la luce di un faro, quel desiderio profondo di amore che c'è nel nostro cuore e vivere come ha vissuto Gesù amando fino alla fine, lì troveremo quella gioia che tanto cerchiamo.

sabato 4 giugno 2016

Amore che consola - Riflessione sul Vangelo di domenica 5 giugno 2016

Ascoltando le confessioni, le confidenze, gli sfoghi di tante persone ho compreso da tempo che nella vita di ciascuno di noi arriva il momento in cui ci sembra che tutto ci crolli addosso, ci troviamo privati delle poche sicurezze che avevamo, degli affetti e, sebbene siamo circondati di tante persone, ci sentiamo soli, la nostra vita sembra un corteo funebre verso la tomba.
In questa condizione si trovava la vedova di Nain del Vangelo di questa domenica mentre portava al cimitero il cadavere del suo unico figlio. Sola, privata dell'unico affetto che le era rimasto, privata anche dell'unico che potesse garantirle dei diritti, che potesse prendersi cura di lei. Tutto cambia, però, quando il Signore Gesù incrocia la sua strada, ne prova grande compassione, la consola e la invita a non piangere, tocca la bara del figlio, lo fa tornare in vita e lo restituisce alla madre. Tutti i presenti restano profondamente stupiti e meravigliati e glorificano Dio, riconoscendo in Gesù Dio stesso che visita il suo popolo.
Anche noi restiamo stupiti davanti al racconto di questo miracolo, poi però ci troviamo a pensare che non è sempre così, che ogni giorno nel mondo ci sono madri vedove che portano il figlio al cimitero, che ogni giorno c'è tanta gente che soffre e non riceve miracoli. Tanta gente buona! Sì, perché che la gente cattiva soffra ci sembra quasi giusto, ma che debba soffrire un innocente, una persona buona, non ci sembra giusto. Così ci troviamo a chiedere: perché, Signore? Perché alcuni ricevono il miracolo e altri no?
Non ci accorgiamo che l'errore è proprio nella domanda, anzi, nella prospettiva in cui facciamo una domanda del genere. Chiedere perché? è molto umano ma anche molto terreno, è centrare tutta la nostra attenzione su una soddisfazione immediata dei nostri bisogni. Puntiamo tutta l'attenzione sul fatto che il ragazzo sia tornato in vita e non ci concentriamo sulla cosa più importante: la grande compassione del Signore Gesù!
Ciò che è veramente importante in questo episodio non è il miracolo ma l'amore del Signore Gesù che comprende profondamente, visceralmente, il dolore di questa donna, che la consola, le si fa vicino, non tiene conto delle convenzioni sociali e religiose secondo cui non avrebbe dovuto toccare la bara per non contaminarsi. Al Signore Gesù interessa una sola cosa: consolare la donna.
Noi guardiamo al figlio che torna alla vita perché continuiamo a considerare le cose dal punto di vista terreno, perché consideriamo ancora solo la nostra vita su questa terra e non ragioniamo nei termini della vita eterna. Se però cerchiamo di pensare che la nostra vita non si conclude con la tomba, che la nostra vera patria è nei Cieli, ci rendiamo conto che ciò che conta non è quanti anni trascorriamo su questa terra ma quanto amiamo il Signore Gesù, quanto ci lasciamo amare da Lui.
Nelle difficoltà della vita, nelle sofferenze, non chiediamo al Signore che ce le tolga ma lasciamoci consolare da Lui, l'unico miracolo che dobbiamo cercare, attendere, desiderare è il suo amore misericordioso. Che poi i nostri guai si risolvano come vogliamo noi o no è del tutto secondario, ciò che conta davvero è che il Signore è accanto a noi, ci consola e sostiene, ci ama di amore infinito.
Non è un passaggio semplice, non è facile smettere di ragionare in termini terreni e iniziare a ragionare in termini di vita eterna ma questa è la vera conversione, il cambiare modo di pensare.
In questo anno della misericordia la Chiesa ci invita a contemplare proprio l'amore misericordioso del Padre per ciascuno di noi che si è fatto accanto a noi in Cristo Gesù, morto e risorto per noi. Non perdiamo questa occasione preziosa e in ogni difficoltà della vita permettiamo al Signore di consolarci con la sua grazia.