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venerdì 28 novembre 2014

Svegli e pronti a riconoscere il Signore che viene - Riflessione sul Vangelo di domenica 30 novembre 2014

Avete mai visto una persona sonnambula?
Il sonnambulo è uno che cammina, parla e compie azioni elementari e quotidiane restando completamente addormentato. Lasciamo ai medici di spiegarci le cause di questi disturbi del sonno ma teniamo l'immagine di una vita da addormentati.
Questa domenica iniziamo un nuovo anno liturgico, inizia un nuovo Tempo di Avvento e, nella pagina di Vangelo che la Chiesa ci consegna, Gesù ripete più volte l'invito a vegliare senza addormentarci . Quante persone oggi vivono una vita da addormentati, una vita da sonnambuli.
La vita da addormentati è ripetitiva, le giornate si susseguono tutte uguali, le settimane identiche le une alle altre, ogni giorno si ripetono le stesse azioni, gli stessi gesti. Ci si è rassegnati a una vita piatta e monotona, delusi perché non si ha quello che si vorrebbe, a volte si tenta di distrarsi con mille e una attività che riescono solo a stancare e a chiudersi ancora più in se stessi. Ecco, questa è una vita da addormentati. Una vita chiusa in se stessa, che non tiene conto di quello che accade intorno, che non si preoccupa di chi ha accanto, che forse sogna cose straordinarie ma poi è stanca di ciò che ha. Chi vive da sonnambulo non è solo chi ripete automaticamente le azioni quotidiane vivendo una vita ingrigita e noiosa, ma anche chi si perde in tante attività diverse senza chiedersi mai cosa valga veramente la pena fare, cosa realmente soddisfi.
Anche questa domenica Gesù ci propone una vita diversa, perché non ci ha creati per vite ordinarie, monotone quasi fossero stampate in serie, il Signore ha preparato per ciascuno di noi una vita unica e meravigliosa, una vita di gioia vera, piena, autentica.
Questo cambio di prospettiva e di vita deve partire da una consapevolezza: noi siamo già parte della famiglia di Dio, siamo già nella sua casa, ci ha già affidato la sua grazia, ha già chiamato ciascuno di noi a un compito specifico per la gioia e il bene personale e comune.
La mini parabola che Gesù racconta nel Vangelo di questa domenica si apre con un padrone che parte per un viaggio e lascia a ciascuno dei suoi servi un compito specifico in casa propria: il padrone è Lui e i servi siamo noi.
Iniziamo, allora, a pensarci non come a dei singoli che interagiscono con altri singoli ma come membri di una sola famiglia in cui ciascuno è prezioso per gli altri. Riconosciamoci destinatari di una fiducia speciale del Signore Gesù che ci chiama a cooperare, ad essere amministratori dei suoi beni, della sua grazia. Quando si amministra la proprietà di qualcun altro bisogna compiere quello che vuole il padrone del bene amministrato. Mettiamoci, dunque, in ascolto del Signore, chiediamogli di indicarci la sua volontà, ciò che vuole da noi e per noi, per farlo dobbiamo essere ben svegli e imparare a riconoscere i segni della sua presenza nella nostra vita.
Molte persone mi hanno chiesto come si faccia a capire la volontà di Dio. Di solito io rispondo che capire la volontà di Dio non è poi così difficile, ciò che è veramente arduo è volerla capire.
Ci sono molte resistenze in noi che ci vogliono trattenere nel sonno di una vita monotona e noiosa, proprio come quando alla mattina presto suona la sveglia e preferiremmo restare ancora a letto.
Ma come al mattino raccogliamo le nostre forze e con un atto di volontà quasi eroico decidiamo di vincere le resistenze e di alzarci per iniziare la giornata, così dobbiamo vincere tutte le nostre paure e i nostri dubbi con la fiducia in Dio, nel suo amore fedele, nella sua puntualissima provvidenza e iniziare a desiderare di compiere la sua volontà.
Com'è compiere la volontà di Dio? Vorrei poter dire che ci riesco sempre, ma sarei solo superbo, diciamo che ci provo spesso e qualche volta ci riesco anche. Quando lasci che sia Dio a guidare la tua vita tutto cambia, non fuori, non negli eventi o nei compiti, ma nel tuo modo di vedere e di percepire la tua stessa vita. Quando scegli di lasciarti condurre dal Signore, quando intuisci che nella sua volontà tu troverai la pace tanto cercata, cominci a tenere gli occhi aperti e a cercare i segni della sua presenza, come quando cerchi un amico in mezzo a una folla.
Compiere l'opera di Dio dona tanta libertà perché comprendi che, proprio perché stai compiendo opere non tue ma Sue, pensa Lui a tutto, con una puntualità che è sempre impressionante e anche quando capita qualche ritardo o contrattempo, scopri poi che non era casuale.
Scegliere di compiere la volontà di Dio, e non i propri desideri e capricci, magari non cambia di molto la tua vita sul piano degli impegni, del lavoro, delle attività ma la trasforma dall'interno. Non esistono più due giorni uguali, ogni giorno è una sorpresa anche se agli occhi di tutti sembra che tu abbia fatto le stesse cose di ieri. Ogni giorno è diverso perché riesci a vedere e a riconoscere il Signore presente nella tua vita, accanto a te, in una pagina di Vangelo che sembra scritta per te, nel sorriso di un vicino, nel saluto di un amico, nel gesto di uno sconosciuto, nel rosso di un tramonto o nella trasparenza dell'acqua di una fontana.
Ma per vedere tutto questo dobbiamo stare ben svegli!
Questo Tempo di Avvento che iniziamo sia, quindi, tempo di attesa e di veglia, tempo in cui impariamo a riconoscere il Signore accanto a noi e scegliamo, una volta per tutte, di fidarci di Lui come Egli si fida di noi per cominciare a compiere la sua volontà e vivere la Vita Nuova che ci ha donato.


venerdì 21 novembre 2014

Un'Eredità preparata per noi - Riflessione sul Vangelo di domenica 23 novembre 2014

"C'era una volta, in un regno lontano lontano..." le favole che ci raccontavano quando eravamo bambini iniziavano così e si concludevano "e vissero sempre felici e contenti". Così, noi che siamo cresciuti in una Repubblica, ci siamo fatti l'idea che un regno sia un luogo ideale e favoloso (nel senso più letterale del termine), dove tutti vorremmo vivere ma anche completamente irreale, una bella favola, appunto, in cui rifugiarci con la fantasia. Fin qui nulla di male, le favole fanno bene ai bambini non dobbiamo però rimanere imprigionati in quell'immagine di regno perché ne rimarrebbe deformata anche la nostra idea di cosa sia il Regno di Dio.
Già, ma cos'è il Regno di Dio?
Questa domenica celebriamo la festa di Cristo Re dell'Universo e il Vangelo ci parla dell'ingresso nel Regno di Dio che avverrà attraverso il Giudizio Universale. Per esperienza pastorale posso affermare che molte persone hanno del Regno di Dio e del Giudizio Universale un'idea ben diversa da quello che Gesù stesso ci dice. Proviamo, allora, a mettere da parte le nostre precomprensioni e a lasciarci guidare dalla Parola di Dio a comprendere bene.
Ai tempi di Gesù un regno era ben più di un apparato statale di servizi per il suddito, come per lo più invece oggi pensiamo allo Stato in cui viviamo. Vivere in un regno era segno di appartenenza ad una comunità, era la garanzia di non essere soli, di essere difesi, di essere custoditi. Il regno nell'antichità, e forse fino alla metà del XVIII secolo, era un po' come una famiglia allargata, il re non era solo colui che governava ma era la guida donata da Dio per affrontare il pericoloso cammino della vita. Non che mancassero ribellioni e rivolte ma sostanzialmente il regno a cui si apparteneva era un po' come fosse casa propria.
Gesù, scegliendo di utilizzare l'immagine del Regno, intende farci comprendere il Padre ha preparato per noi una casa dove potremo sentirci al sicuro, dove Egli si prederà cura di noi, dove ci donerà la sua gioia, dove non ci sarà più sofferenza ma dove saremo immersi e riempiti del suo amore. Ma come si fa ad entrare in questa realtà? Ancora una volta è questione di amore, saremo giudicati su come abbiamo amato.
Il Giudizio Universale, che paura!
No, non c'è da averne paura, dobbiamo però capire cosa il Signore si aspetta da noi.
Gesù, come il pastore che sceglie e separa le pecore dalla capre, separerà i giusti dai malvagi e il criterio di distinzione sarà l'amore concretamente vissuto "ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere...".
Attenzione però, il criterio non sarà quanto bene avremo fatto ma quanto gratuitamente l'avremo fatto. Nella grande parabola che il Vangelo di questa domenica ci offre, i giusti rispondono meravigliati al Signore "quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare...?" ogni volta, cioè, che hanno sfamato un povero non l'hanno fatto con l'intenzione di fare una buona azione per il Signore, per guadagnarsi il Paradiso, ma semplicemente per amore del fratello povero, non perché vi hanno riconosciuto Gesù "travestito da povero" e quindi hanno cercato di tenerselo buono ma solo e unicamente come gratuito atto d'amore.
Al contrario i malvagi chiederanno al Signore "ma quando ti abbiamo visto affamato e non ti abbiamo servito?" ovvero "se avessimo saputo che in quel povero ti eri nascosto tu, ti avremmo servito sicuramente! Non ci saremmo certo fatti scappare l'opportunità di fare bella figura!"
La differenza tra i due atteggiamenti è più semplice di quanto non sembri. I malvagi pensano che il Paradiso sia un premio, una ricompensa data a chi ha fatto dei favori al Signore, a chi si è arruffianato il capo. I giusti invece hanno semplicemente scelto di vivere una vita d'amore, un amore concreto che si fa vicino a chi ha bisogno, in modo gratuito, senza attendere nulla in cambio.
Il Regno dei Cieli non è un premio ma un'eredità.
L'eredità dice una doppia appartenenza: poiché io appartengo ad una famiglia, il patrimonio di quella famiglia è la mia eredità. Dunque se vogliamo entrare nel Regno di Dio dobbiamo esserne parte, dobbiamo vivere da quello che già siamo: figli di Dio, amando come Dio ama, gratuitamente. L'importante è l'intenzione con cui facciamo le cose: se l'elemosina è solo un modo per tacitarci la coscienza non serve a gran ché perché non è amore vero.
Sembra molto faticoso ma non lo è, siamo creati a immagine e somiglianza di Dio e quando amiamo come ama Lui, in modo gratuito, stiamo compiendo quanto è più proprio della nostra natura e la conferma è che stiamo bene, che siamo veramente felici.
Viviamo da figli del Padre ed entreremo in quell'eredità che è preparata per tutti noi: la gioia eterna della comunione con Dio.

sabato 15 novembre 2014

Questione di prospettiva - Riflessione sul Vangelo di domenica 16 novembre 2014

Ricordate la prima volta che vi hanno detto: "questo ora lo fai tu da solo, ormai ne sei capace"?
La prima volta che ci è stata affidata una responsabilità importante si sono agitati in noi tanti sentimenti diversi: il timore di non esserne capace, il desiderio di compiere il compito al meglio, l'attesa di vederne il risultato, ma soprattutto la gioia per la fiducia ricevuta.
Ricevere un incarico di responsabilità può essere letto come un segno di stima e di fiducia che ci fa sentire considerati e apprezzati, ma possiamo anche lasciar prevalere la nostra insicurezza o la nostra pigrizia e vedere quel segno di fiducia come una seccatura, è questione di prospettive diverse.
Gesù, con la parabola dei talenti, che ascoltiamo questa settimana, mette in luce questi due modi diversi di affrontare la responsabilità che, però, nascondono due modi diversi di vedere Dio.
Prima di osservare le reazioni dei servi, guardiamo il padrone che, ovviamente, simboleggia il Padre.
Il padrone della parabola affida a ciascun servo una determinata somma "secondo le sue capacità" e questa diversa distribuzione dei talenti non è un giudizio di merito, al contrario è segno di  una conoscenza attenta di ciascuno dei servi, non affida a nessuno un incarico più grande delle sue capacità, che poi possa schiacciarlo, né uno inferiore che significherebbe sfiducia e disprezzo. Il padrone non ama di più quello a cui affida di più, prova ne è il fatto che i primi due ricevono esattamente la stessa ricompensa.
Così è Dio, affida a ciascuno di noi dei doni, la sua grazia, il suo amore, a ciascuno secondo le sue capacità, non per schiacciarci né per darci contentini ma perché si fida di ciascuno di noi! Sembra strano ma è così, Dio si fida di ciascuno di noi! Ogni giorno ci affida i suoi talenti, la sua ricchezza che altro non è che la capacità di amare. Ogni giorno Dio ci rende capaci di amare concretamente chi abbiamo accanto, questa è la sua ricchezza che ci affida perché si fida, perché sa che saremo capaci di amare come ama Lui, perché vuole coinvolgerci nel suo disegno d'amore concreto, vero, reale. Nessuno ne è escluso, tutti riceviamo un tesoro d'amore da impegnare, da far fruttare, ciascuno secondo le sue possibilità concrete e reali, non solo chi è giovane e in forma ma anche chi giace in un letto per la malattia, anche chi è infermo o anziano, a tutti, ogni giorno, il Padre affida il suo amore perché lo facciamo fruttare.
Potremmo trovarci, così, anche noi nelle condizioni dei servi della parabola. I primi due si impegnano a far fruttare quanto ricevuto, il terzo invece preferisce mettere da parte quanto affidatogli e continuare a pensare ai propri comodi. Questa reazione differente è questione di prospettiva, dipende da quale immagine hanno del padrone. I primi si scoprono amati e apprezzati dal padrone, riconoscono nella somma ricevuta il segno della fiducia del padrone e entrano in questa relazione di fiducia, rispondono con il loro impegno pieno e completo che diventa segno della loro gratitudine. Hanno compreso che il padrone li conosce, li apprezza e li ama. Il terzo invece vede il padrone in una prospettiva ben diversa, lo considera un uomo duro ed esigente, che sfrutta e pretende ciò che non gli spetta, lascia prevalere la sua paura e la sua pigrizia e decide di sotterrare il talento ricevuto, non vuole avere nulla a che fare con il padrone, non vuole entrare in relazione con lui.
E noi, con quale prospettiva guardiamo a Dio? Chiediamoci: chi è per me il Padre?
Molto molto spesso la nostra prospettiva è quella del terzo servo, guardiamo a Dio con sospetto, pensiamo che pretenda da noi troppo o che ci voglia impegnare con qualcosa che è al di sopra delle nostre possibilità, preferiamo restarcene tranquilli a pensare ai nostri affari piuttosto che lasciarci coinvolgere nei suoi progetti. Dio spesso ci sembra un giudice severo e inflessibile, che prima ci chiede molto e poi ci punisce, lasciamo prevalere la nostra paura, la nostra pigrizia, il nostro senso di frustrazione, lo scoraggiamento.
Tutti, nessuno escluso, ci siamo trovati a guardare a Dio dalla prospettiva del terzo servo, oggi il Signore Gesù ci dice di aprire gli occhi, di cambiare prospettiva, di iniziare a guardare il Padre per quello che è, di considerarlo come lo considerano i primi due servi.
Ci dice di riconoscere che il Padre si fida immensamente di noi, molto più di quanto noi non ci fidiamo di Lui, ci affida il tesoro del suo amore affinché lo riversiamo sui fratelli che abbiamo ogni giorno attorno a noi. Ci chiede di fidarci di Lui che ci conosce e ci ama, che non ci metterebbe mai in difficoltà, non ci affiderebbe mai qualcosa oltre le nostre capacità. Ci chiede di entrare in questa relazione di fiducia e responsabilità, di lasciarci coinvolgere nel suo progetto d'amore perché quello che ci affida è ben poco paragonato a quanto ha preparato per noi, perché scegliendo, oggi, di compiere la sua volontà vi scopriamo già la pienezza della nostra gioia.
Il terzo servo si è condannato da solo, ha scelto di non entrare nella relazione col padrone, ha deciso di auto escludersi e si trova così nella tristezza e nella disperazione. Così se ci ostiniamo a non entrare in relazione con Dio ci auto escludiamo dalla gioia autentica, dalla vita vera perché solo Dio è fonte di gioia e di vita nuova.
Allora non ci resta che cambiare prospettiva, iniziamo a riconoscere e ringraziare il Padre per la fiducia che ha in noi, anche se ci sembra esagerata, e rispondiamo con il nostro impegno a essere ogni giorno testimoni e portatori del suo amore e saremo partecipi subito della sua gioia!

sabato 8 novembre 2014

Questa è veramente casa - Riflessione sul Vangelo di domenica 9 novembre 2014

L'abbiamo detto tante volte, tutti noi, ogni giorno, fino all'ultimo istante di questa vita, cerchiamo una sola cosa: essere felici, e l'unica ricetta della felicità è l'amore. Non parlo dell'emozione che ti fa star bene per un po' perché risponde ai tuoi desideri del momento ma che svanisce come la neve al sole appena i desideri del momento cambiano. Parlo dell'amore vero, quello che costa impegno e fatica ma che scalda il cuore, l'amore che ti fa donare la vita per l'altro scoprendoci poi non una perdita ma un arricchimento. Tutti siamo capaci ad amare, è scritto nella nostra essenza (che ci caratterizza molto più che il DNA), ma spesso non sappiamo usare bene questa capacità, spesso amiamo in modo sbagliato. L'unico che ci può insegnare ad amare veramente è colui che è tutto amore: Dio!
Per imparare ad amare non basta una teoria, serve una pratica, non si impara ad amare leggendo un libro, si impara ad amare solo lasciandosi amare, scoprendo di essere amati e vedendo i segni dell'amore per noi impariamo, a nostra volta, ad amare. Quando si ama qualcuno c'è sempre un grande desiderio di stare insieme e di condividere la vita.
Anche Dio ha questo grande desiderio, ama ciascuno di noi e desidera stare sempre con noi, con ciascuno di noi.
Il popolo di Israele aveva compreso questo desiderio di Dio e aveva costruito un tempio a Gerusalemme affinché fosse un segno visibile, un luogo concreto in cui il Signore potesse abitare in mezzo al suo popolo eletto. Potremmo obbiettare che Dio è ben più grande di qualunque tempio l'uomo potrebbe mai costruirgli, ed è vero, ma il Tempio di Gerusalemme era un simbolo, il modo di rendere visibile questo desiderio di Dio, un luogo in cui ogni israelita avrebbe potuto riconoscere l'amore e la cura del Signore. L'amore ha bisogno di simboli, l'amore in quanto tale è invisibile ma lo possiamo comunicare con dei segni: un bacio, una carezza, un regalo. Nessuna di queste cose è l'amore ma tutte ne esprimono un aspetto.
Per Dio, però, un tempio di pietre non era ancora abbastanza vicino, cercava un'intimità maggiore, voleva poter abitare insieme ad ogni uomo in qualunque luogo del pianeta si trovasse, voleva essere sempre con ogni persona umana, con ciascuno dei suoi figli.
Questo grande desiderio del Padre lo ha realizzato il Figlio facendo sua la nostra umanità, unendola alla sua divinità, rendendo così la nostra natura umana capace di accogliere e ricevere Dio che viene ad abitare nel più intimo, nel punto più profondo del cuore. Gesù con la sua Incarnazione, la sua Morte e Resurrezione, ci ha resi tempio dello Spirito Santo che ha riversato nei nostri cuori il giorno del nostro Battesimo. Questo significa che Dio non è lontano, chissà dove, che non devo andare a cercarlo in luoghi reconditi, il Signore è sempre con me, non mi abbandona mai perché ha scelto di abitare nel mio cuore.
La luce, non la puoi chiudere in un barattolo, basta un minimo spiraglio e passa e illumina anche i luoghi più bui, l'amore è così, quando una persona ha scoperto di essere amata da Dio, di essere piena del suo amore, piena di Lui, non può tenerlo per sé, deve condividerlo con gli altri. Dio, infatti, vuole amarci in modo speciale e unico ma non individualistico, ci chiede di riversare questo suo amore sui nostri fratelli, di illuminare la loro vita con il suo amore. Per questo non solo Gesù ha trasformato ciascuno di noi in tempio del suo Santo Spirito ma ci ha uniti tutti a Sé, ha fatto di noi un popolo nuovo, la sua Chiesa. L'amore del Padre, che ci rende figli suoi, non solo ci lega a Lui ma ci unisce anche tra noi, fa di noi tutti un corpo unico.
Oggi celebriamo la dedicazione della Basilica del Santissimo Salvatore e dei santi Giovanni Battista ed Evangelista in Laterano, Cattedrale di Roma, Madre di tutte le chiese dell'Urbe e dell'Orbe (di Roma e di tutto il mondo). Tutta la Chiesa oggi celebra l'anniversario dell'inaugurazione (il termine liturgico è appunto "dedicazione") avvenuta nel 324, ma non è il fatto storico che ci interessa maggiormente. Impariamo, invece, a riconoscere nell'edificio il simbolo della Chiesa, nelle tante pietre che la compongono il simbolo di noi tutti che la costituiamo come pietre vive.
In questi tempi la Chiesa è spesso bersagliata da molte critiche e molti giudizi, anche tanti cristiani non la comprendono o ne capiscono poco la realtà. Penso che la causa di questa incomprensione nei confronti della Chiesa sia da trovare nell'individualismo che caratterizza la nostra società e che è anche la causa principale del male oscuro che fa soffrire molti: la solitudine.
L'abitudine a pensare ognuno per sé ci porta a chiuderci agli altri, a vedere l'intera società e le sue istituzioni come uno strumento utile per i nostri bisogni e tutto questo non fa che accrescere la sensazione di essere soli.
La Chiesa ci dice esattamente il contrario! Ci dice che non siamo mai soli, che Dio ha scelto di abitare con noi, di unirci tra noi. Ci dice di non avere paura, di aprirci ai fratelli, di riconoscerli come tali, non come altri individui che cercano solo di sfruttarci ma come coloro che mi sostengono nel momento della difficoltà, che vogliono condividere con me le gioie e i dolori perché sanno, come so io, che siamo tutti amati dal Padre, che Cristo ha dato la sua vita per ciascuno di noi, che lo Spirito Santo dona vita ai nostri cuori. La Chiesa è la famiglia, è il porto sicuro, è il luogo dove posso sentirmi veramente a casa perché sono amato per quello che sono, con i miei difetti e i miei pregi. È  lì che scopro di essere perdonato anche quando l'ho fatta davvero grossa, dove so che troverò sempre qualcuno pronto a darmi una mano e, se proprio non potesse aiutarmi, mi starà comunque vicino e mi darà conforto con il suo affetto. La Chiesa è l'unico luogo dove la solitudine è stata sconfitta.
Questa potrebbe sembrare una descrizione idealistica, lontana dalla realtà. No, questo è semplicemente il desiderio del Signore Gesù quando ha fondato la sua Chiesa, ora sta a noi, a ciascuno di noi, realizzare questo grande sogno, impegnarci a costruire questo grande e meraviglioso progetto di Dio che continuerà ad essere luogo dell'incontro d'amore tra il Creatore e la sua creatura.