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sabato 25 ottobre 2014

Il ritmo dell'amore - Riflessione sul Vangelo di domenica 26 ottobre 2014

C'è una domanda che tutti, ma davvero tutti, ci poniamo ogni giorno anche se non in maniera esplicita, una domanda che fa da sfondo a tutte le nostre scelte e decisioni: come faccio a vivere una vita felice? 
Innanzi tutto dobbiamo capire chi può darmi la felicità che cerco. Se guardiamo con un po' di obbiettività alla nostra vita ci accorgiamo che le cose di questo mondo, per quanto belle e durature, non riescono a darci una felicità piena e stabile. Spesso quando abbiamo raggiunto la meta che ci eravamo prefissi ci accorgiamo che la felicità vera non è lì e ripartiamo alla ricerca di qualcos'altro che sembra promettere meglio. Abbiamo bisogno di qualcuno che ci insegni la via verso la felicità vera e autentica.
È questa domanda fondamentale nella vita di ciascuna persona umana che è nascosta dietro la domanda che il dottore della Legge pone a Gesù nel Vangelo di questa domenica "Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?"
Prima di guardare alla risposta di Gesù è bene fare una precisazione quanto ai termini usati.
Viviamo in una società che è molto allergica alle norme, alle regole, alle leggi, pensiamo che sia giusto che ognuno faccia quello che vuole e che si sente. Se però consideriamo bene la nostra vita ci accorgiamo che per fare le cose importanti abbiamo bisogno di darci o di seguire delle regole. Facciamo qualche esempio. Nessuno può pensare di laurearsi studiando solo quando gli va, al contrario dovrà darsi una norma, una regola di studio, allo stesso modo nessun atleta potrà mai vincere una medaglia allenandosi solo se ne ha voglia, dovrà invece allenarsi regolarmente, mantenere un'alimentazione molto precisa e accurata, dovrà riposarsi un giusto numero di ore e dovrà imparare a rinunciare a stare alzato fino a tardi per fare baldoria con gli amici. Anche nella vita quotidiana seguiamo delle regole che ci permettono di dare un ritmo salutare alla nostra vita: le medicine le dobbiamo prendere nei tempi e nei modi indicati dal medico perché abbiano effetto, per cucinare una torta dobbiamo seguire bene la ricetta, per giocare una partita di calcio dobbiamo seguire le regole, altrimenti non ci si diverte veramente. La nostra vita ha bisogno di un ritmo stabile, scandito da norme che non sono pensate per limitarci ma per farci vivere bene. 
Quando, dunque, il dottore della Legge chiede a Gesù di indicargli il "grande comandamento" gli sta chiedendo quale sia, secondo Lui, la regola fondamentale, quella che dà poi il ritmo a tutta la vita, quella che poi dà forma a tutte le altre. 
La risposta di Gesù ci potrebbe sorprendere (se non fosse che il brano è ormai così famoso che non ci stupisce più), non è infatti una regola gravosa del tipo "devi lavorare dieci ore al giorno" ma molto più semplicemente "ama Dio!"
Ma che significa amare Dio? Amare significa volere il bene della persona amata, ciò che la rende felice. Ciò che rende felice Dio è la nostra felicità e la nostra felicità è nella sua volontà quindi amare Dio significa volere quello che Lui vuole. Detto così sembra un po' un pensiero articolato e contorto, in realtà è più semplice di quanto non appaia. Amare Dio significa decidere di fidarsi di Lui sempre, in ogni situazione, anche quando quello che accade non lo comprendiamo, quando il senso di ciò che abbiamo davanti ci sfugge. Significa desiderare di compiere la sua volontà e restare in ascolto per capirla e attuarla, se davvero ci abbandoniamo a Lui sarà molto più semplice di quanto non immaginiamo.
Amare, però, non è poi tanto facile, se guardiamo alle nostre relazioni quotidiane notiamo subito come non sempre amiamo i nostri cari come vorremmo, spesso ci sfoghiamo con loro o li trattiamo male. Come allora pensare di poter amare Dio se ci è così difficile amare chi abbiamo accanto?
Se dovessimo amarlo con le sole nostre forze sapremmo in partenza di essere di fronte ad un'impresa impossibile. Dobbiamo però sempre ricordare che l'iniziativa è sempre sua, è Dio che ci ha amati per primo, è Lui a colmarci del suo amore che riempie il nostro cuore e trabocca rendendoci capaci di amare Lui innanzi tutto e poi anche coloro che Egli ama: noi stessi e i nostri fratelli.
Il "secondo comandamento simile al primo" che Gesù cita al dottore della legge non è un tentativo di mettere insieme egoismo e filantropismo ma è l'indicazione di come l'amore di Dio di cui il nostro cuore è colmo si riversa poi nella nostra quotidianità. 
Quando mi scopro immensamente amato da Dio ricambio questo amore amando Lui e anche amando me stesso perché amato da Lui. Questo amore per me stesso non mi porterà più a cercare compensazioni al vuoto che ho nel cuore, perché quel vuoto è ora colmato dall'amore di Dio, non sarò più tentato di pensare al mio benessere sfruttando gli altri a mio vantaggio. Nello stesso tempo imparerò ad amare l'altro che ho davanti perché amato da Dio, perché nel fratello vedrò lo stesso amore che ricolma la mia vita. 
Precisiamo tutto questo non è cosa da preti e suore! Questo comandamento dell'amore è per ogni cristiano e per ogni uomo, è questo comandamento a dare il ritmo giusto alla nostra vita, a dare forma alle nostre azioni, alle nostre parole, alle nostre scelte.
Lasciamoci, quindi, riempire dell'amore di Dio e lasciamoci coinvolgere nel ritmo del suo amore e la nostra vita sarà nella felicità vera, diventerà una festa senza fine!















sabato 18 ottobre 2014

A ciascuno il suo - Riflessione sul Vangelo di domenica 19 ottobre 2014

Questa settimana inizio con un piccolo sfogo personale, penso e spero che in molti concorderete con me. 
Sono piuttosto stanco e stufo di vivere in un mondo di continue divisioni, separazioni, opposizioni, che continua a farci mettere gli uni contro gli altri. Un mondo in cui ciascuno pensa per se stesso e se ci si allea è per riuscire a eliminare un nemico comune, poi si torna a farsi la guerra. Un mondo in cui del bene comune non importa a nessuno perché siamo troppo impegnati a cercare ognuno il proprio comodo. Un mondo in cui l'unica cosa importante è salvaguardare i propri capricci, facendoli passare per diritti, infischiandosene se poi ci vanno di mezzo i più deboli e i più poveri. Un mondo in cui la Verità, quella vera, non ha diritto di cittadinanza perché è stata esiliata dalle opinioni dei singoli imposte a tutti spesso con l'inganno e il sotterfugio.
È il mondo dei farisei di duemila anni fa e di oggi, è il mondo degli ipocriti che riconoscono di essere nella falsità e per questo cercano di far fuori chi dice la verità con trucchi e inganni.
Il Vangelo di questa domenica ci racconta del trabocchetto che i farisei di allora hanno teso a Gesù cercando di metterlo con le spalle al muro, cercando di farlo cadere nella loro trappola: è lecito pagare il tributo a Cesare? Ovvero: a chi sei fedele a Roma o al Popolo di Israele?
So bene che di solito questa pagina di Vangelo è utilizzata per ribadire che il buon cristiano deve pagare le tasse ma di per sé questa è una semplicissima questione di giustizia: abiti in uno Stato, usufruisci dei servizi che offre quindi devi pagare quello di cui usufruisci. Per altro non è questione di fede: anche il cittadino ateo o di altra religione è tenuto a pagare le tasse, sempre per una questione di giustizia e di civiltà. Per essere ancora più esplicito: chi non paga le tasse semplicemente è incivile!
Con la frase diventata celeberrima "Rendete a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio" Gesù non vuole dirci semplicemente di fare i bravi cittadini, di comportarci bene e di pagare le tasse senza lamentarci troppo. Sarebbe una sorta di invito alla rassegnazione davanti a un mondo che può andare solo in una direzione, ma questo non è lo stile di Gesù.
Ancora una volta il Signore ci invita a convertirci, a cambiare cioè modo di pensare, a guardare la realtà in cui viviamo in una prospettiva diversa. Smettiamola di cercare scappatoie e accomodamenti, smettiamola di cercare di tenere insieme i nostri interessi materiali e la verità di Dio, impariamo a distinguere e a capire a chi apparteniamo.
Gesù, infatti, ribalta la visuale, non parla di pagare ma di rendere, restituire al proprietario ciò che gli appartiene, ne fa una questione di appartenenza. Il denaro che gli viene mostrato porta l'immagine e il nome di Cesare quindi appartiene a Cesare e a lui deve essere restituito. Impariamo allora a capire quali cose della nostra vita portano il volto e il nome del mondo e restituiamole al mondo, liberiamocene! Invidia, arroganza, arrivismo, avidità, rancore, falsità, ingiustizia, sono tutte cose che portano impresso il volto del mondo, che gli appartengono e se non vogliamo appartenergli anche noi dobbiamo saperne fare a meno, dobbiamo rendere al mondo quello che è suo.
Ma a Dio cosa appartiene? Dato che il denaro appartiene a Cesare perché ne porta il nome e il volto, a Dio appartiene ciò che ne porta il volto e il nome: noi, la nostra vita! Dio ci ha creati a sua immagine e somiglianza, portiamo in noi l'immagine di Dio, quindi gli apparteniamo e a Lui dobbiamo tornare. Rendiamo a Dio quello che è suo, la nostra vita! 
Ma come si fa? Impariamo a vivere come vive Lui, iniziamo ad amare, sempre, comunque, in ogni circostanza, prendendoci cura di chi soffre, facendo giustizia, faticando nella carità, dicendo la verità, anche quando questa è rifiutata o derisa. 
Abbandoniamo la logica del profitto personale, che poi è quella che causa le guerre e le crisi economiche, e facciamo nostra la logica del bene comune, iniziamo a capire che se non stiamo bene tutti non starà mai bene nessuno! Ma iniziamo dalle nostre case, dalle nostre famiglie, dai luoghi di lavoro e di studio. Una famiglia in cui uno sta bene e gli altri stanno male non è una famiglia felice, una classe in cui si litiga è una classe in cui si studia male e ci si prepara male alla vita, un ufficio in cui ci sono meschinità e invidie è un ufficio in cui è lo stress a farla da padrone e a fiaccare le energie. 
Io penso che ci siamo un po' tutti rassegnati al fatto che il mondo meglio di così non possa andare e che, tutto sommato, ci conviene accontentarci, cercando di vivere il meglio possibile, lasciando che gli altri facciano un po' come vogliono, in cui ci sono "nuove verità" a cui uniformarci perché è più semplice.
Gesù non ci chiede di fare guerre o battaglie, non ci chiede di osteggiare ciò che non è secondo la verità e il vero bene, ci chiede di renderlo al mittente, di non farlo nostro e, invece, di affermare la bellezza della vita secondo il disegno di Dio, di annunciare che si può vivere una vita diversa, piena e autentica. Il Signore ci chiede di essere testimoni di gioia e di speranza, di amore e di pace, non come vaghe emozioni che passano come un colpo di vento ma come scelte vere, concrete, operative. Ci chiede di dimostrare con la nostra vita che si può smettere di vivere secondo il mondo e iniziare a vivere secondo Dio, di cui portiamo l'immagine impressa in noi, e che così troviamo la nostra gioia. 

sabato 11 ottobre 2014

Invitati a nozze eterne - Riflessione sul Vangelo di domenica 12 ottobre 2014

Se abitate a Roma, ma anche se siete solo di passaggio, e vi trovate un sabato pomeriggio a passeggiare sull'Aventino vi capita sicuramente di incontrare molti invitati a nozze. Li potete riconoscere subito da due particolari l'abito elegante e il sorriso sul volto che quando si partecipa ad un matrimonio sono d'obbligo.
A tutti, penso, è capitato di partecipare al matrimonio di un caro amico o di un parente a cui si è particolarmente affezionati, è un momento importante e di grande gioia per tutti, per gli sposi e per tutti coloro che vogliono loro bene. Una occasione così speciale deve quindi essere sottolineata e valorizzata con una grande festa, un sontuoso banchetto (e noi italiani siamo famosi in tutto il mondo per i nostri pranzi di nozze!), abiti eleganti e tanta allegria. Pensiamo anche ai giorni che precedono la festa di nozze, quanta trepidazione, quanta attesa, già si pregusta la felicità della giornata e subito il cuore si riempie di gioia.
Il Signore Gesù, questa domenica, per spiegarci cosa sia il Regno di Dio lo paragona proprio ad un banchetto di nozze a cui tutti siamo invitati.
L'invito a questa festa, la partecipazione di nozze, è la Parola di Dio attraverso cui il Padre ci invita ad entrare nel suo Regno, impariamo, allora, ad ascoltarla, ad accoglierla nel cuore, a tenerla a mente, proprio come teniamo nel cuore l'annuncio di matrimonio di una persona cara.
Forse mi sembra strano che il Padre abbia invitato anche me che non sempre gli sono stato proprio fedele, non sempre mi sono comportato bene, eppure la festa è per tutti, cattivi e buoni, tutti siamo invitati ad entrare perché Dio non fa preferenze, non ha la lista V.I.P. all'ingresso. Non siamo abituati perché noi invece facciamo preferenze e portiamo rancore per cui se una persona non ci piace gran ché o ci ha fatto qualche sgarbo non la invitiamo alle nostre feste. Dio invece ci ama così tanto che ci vuole in casa sua anche se non sempre siamo stati amabili con Lui perché il suo amore per noi è immensamente più grande del nostro peccato.
Quando si partecipa ad un matrimonio anche il nostro aspetto comunica la gioia del nostro cuore, non ci si va sporchi e vestiti di stracci malconci, ci si lava e si indossa l'abito più bello ed elegante che si ha. Iniziamo allora a svestirci dell'abito logoro e sudicio che abbiamo addosso: le nostre abitudini cattive, i nostri peccati, i nostri egoismi, le nostre meschinerie. Abbandoniamo le abitudini che ci fanno vivere secondo il nostro esclusivo guadagno, il nostro guardare solo a noi stessi, i rancori verso amici e parenti, il nostro rifiuto a perdonare... Sono tutte cose che ci rendono sporchi e brutti, ripuliamoci, meglio lasciamoci ripulire dal Signore con il Sacramento della Riconciliazione, permettiamogli di toglierci di dosso le abitudini al male che, come un vestito brutto, vecchio e sporco, ci rendono impresentabili.
Il giorno del nostro Battesimo ci è stata donata una veste bianca e il sacerdote consegnandocela ci ha detto "...sei divenuto nuova creatura e ti sei rivestito di Cristo...". Gesù stesso si è fatto per noi abito ed è questo l'abito nuziale di cui parla la parabola di questa domenica, dobbiamo lasciarci rivestire di Lui, le sue abitudini devono essere le nostre abitudini: l'amore per i fratelli, il dono di sé, la ricerca della giustizia, l'affermazione della verità.
Nella parabola sembra però mancare un elemento importante per un matrimonio: il Re è Dio Padre che organizza una festa di nozze per il proprio Figlio, il Signore Gesù... ma chi è la sposa?
La Sposa di Cristo è la sua Chiesa! Dunque siamo tutti noi! La festa di nozze che il Padre organizza e prepara con tanta attenzione è dunque anche per noi, siamo gli invitati e anche gli ospiti d'onore.
Questo concetto è un po' più difficile da capire perché l'immagine che abbiamo del matrimonio è sempre tra un uomo e una donna, proviamo però a guardare solo all'amore, vero protagonista di ogni matrimonio. L'amore che lega due sposi è un amore di dono totale di sé all'altro, è smettere di pensare da soli per iniziare a pensare insieme, è smettere di cercare il proprio interesse per cercare il bene dell'altro. Il Signore ci chiama a questo, a vivere con Lui questo amore sponsale, questo mettere Lui al centro della nostra vita, donandoci totalmente a Lui. Gesù l'ha fatto per ciascuno di noi, ci ha amato fino a dare la sua vita per noi e continua ad amarci donandoci la sua Vita eterna.
Camminiamo, allora, con gioia verso questo banchetto nuziale che è anche il nostro, liberati dalla sporcizia del nostro peccato e rivestiti dell'abito d'amore e di luce che il Signore ci dona, ci ha invitato un Padre che ci ama di amore tenerissimo, uno Sposo che ha dato la sua vita per noi nell'Amore, che è lo Spirito Santo, che rende anche il nostro fragile cuore capace di amare di amore eterno.












sabato 4 ottobre 2014

Il giusto valore di quello che abbiamo - Riflessione sul Vangelo di domenica 5 ottobre 2014

"C'è più gioia nel donare che nel ricevere" dice un proverbio e, a meno di non essere egocentristi irrecuperabili, è vero. È bello fare un regalo speciale a una persona che amiamo, non di quei regali costosi che facciamo più per far bella figura che per fa piacere a chi riceve, quei regali che facciamo col cuore, che magari non valgono gran che o che facciamo con le nostre mani, ma regali pensati e personalizzati. Quanta delusione, però, se quel dono non viene apprezzato, se viene accantonato in fretta e poi rapidamente dimenticato. Ci restiamo male e con ragione, non è per il valore materiale del regalo stesso ma perché vediamo ferito il nostro amore.
Penso che a tutti sia capitata una situazione del genere e sappiamo bene come ci si sente, tenendo bene in mente tutto ciò: quando è stata l'ultima volta che abbiamo ringraziato il Signore per quanto ci ha donato? Non mi riferisco solo ai doni più grandi ma a tutto quello che abbiamo, quello che ci circonda! Per esempio: quando abbiamo ringraziato Dio per l'acqua?
Il mondo in cui viviamo ci porta a correre sempre e a dare per scontate tante cose, pensiamo che ci sia tutto dovuto, che sia normale che il mondo attorno a noi esista, che possiamo sfruttarlo come ci pare, a nostro uso e consumo...
Ma non ci stiamo perdendo qualcosa? Ma davvero abbiamo fatto qualcosa di così grande per meritare questa meraviglia che è l'universo in cui abitiamo, così bello e perfetto? Non so voi, io no!
Possiamo allora iniziare a guardarci intorno con uno sguardo diverso, possiamo iniziare a non dare nulla per scontato, possiamo iniziare a riconoscere in tutto quello che abbiamo un dono speciale di Dio, per nulla scontato e sicuramente non meritato.
Gli scienziati ci dicono che la vita si è sviluppata sulla Terra perché è un ambiente adatto: è alla giusta distanza dal sole, è composta di determinati elementi, ha un'atmosfera composta di gas specifici, sugli altri pianeti non c'è vita perché mancano queste condizioni.
Ma non potrebbe essere letta anche al contrario? Non potrebbe essere che la Terra sia così proprio perché potesse accogliere la vita?
Se proviamo a smettere di pensare alla vita come al frutto del caso e iniziamo a pensare che sia il risultato di un progetto, un progetto che come unico scopo ha l'amore per l'uomo forse cambia la nostra prospettiva, il nostro sguardo sul mondo intero.
Dio ci ama, si prende cura di noi con una grande tenerezza e attenzione, predispone tutto ciò che ci è necessario, ci ha preparato una vigna e ora ce la affida affinché ci possiamo lavorare diventando così suoi collaboratori. Apriamo lo sguardo e iniziamo a riconoscere in ciò che abbiamo un dono di Dio: la nostra famiglia, gli amici, la Chiesa, la nostra Nazione, la città in cui viviamo, le persone che incontriamo, il nostro lavoro, le nostre occupazioni... tutto è vigna di Dio perché non abbiamo fatto nulla per meritarcelo, tutto è un dono speciale.
Ma i doni speciali chiedono di essere custoditi, curati, e utilizzati secondo il loro fine.
La tentazione di ignorare chi sia l'autore di tutto questo, di pensare che tutto quello che abbiamo ci sia dovuto, sia scontato, ci appartenga e ne possiamo disporre a nostro uso e consumo è grande. Questa tentazione però ci porta a sfruttare tutto senza ottenerne un frutto buono ma solo acini acerbi, inutili portandoci ad autocondannarci a una vita triste, angosciata e vuota.
Possiamo, invece, iniziare a considerare tutto ciò che vedo nella mia vita come un dono di Dio che mi chiama a una responsabilità, ad una risposta vera e impegnata.
Iniziamo con il lodare e ringraziare Dio per quanto ci ha donato, tutti i giorni, come prima cosa della giornata, appena apriamo gli occhi al mattino.
Continuiamo il nostro impegno prendendoci cura di ciò che abbiamo e custodendolo come si custodisce il dono prezioso di una persona cara: la nostra famiglia, i nostri amici, il lavoro, l'ambiente... impariamo a custodire!
Lavoriamo, poi, non per il nostro esclusivo tornaconto, cerchiamo il bene di tutti, l'armonia in famiglia, a scuola o al lavoro, nelle amicizie, con tutto il creato.
Se sapremo vivere così la nostra vita inizierà a produrre frutti buoni, a darci gioia e pace, nella condivisione e nell'impegno per il bene comune troveremo ciò che da senso e pienezza alla nostra vita.
Dio ha fatto tanto per ciascuno di noi, impariamo a riconoscerlo e a dargli il giusto valore e la nostra vita sarà nella sua gioia eterna.