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sabato 30 settembre 2017

Sì a Dio, sì alla nostra gioia - Riflessione sul Vangelo di domenica 1° ottobre 2017

Ah, se i muri delle nostre abitazioni potessero parlare! Quante volte racconterebbero delle richieste di mamma e papà di fare una certa cosa seguite da nostri sì rimasti solo parole al vento! Ma anche di quanti no di cui poi ci siamo pentiti e alla fine abbiamo compiuto quanto richiesto.
Gesù conosce bene la nostra vita e sa quali esempi possono toccarci da vicino!Racconta la breve parabola del Vangelo di questa domenica ai sacerdoti e agli anziani del popolo, coloro che più di ogni altro in Israele erano a contatto ogni giorno con la parola di Dio, con il Tempio, coloro che più di ogni altro potevano vantare una reputazione impeccabile. E proprio a loro Gesù dice "pubblicani e prostitute vi passeranno avanti nel Regno dei cieli"! Che smacco! Senza mezzi termini denuncia che verso Dio il loro comportamento è come quello di quei figli che subito rispondono di sì ai genitori ma poi non compiono quanto richiesto. Beninteso non è che sacerdoti e anziani del popolo avessero chissà quali scheletri nell'armadio, non nascondevano sordidi segreti, perversioni o terribili delitti. Semplicemente continuavano per la loro strada, cercavano i loro interessi, si assicuravano la loro stabilità. Gesù ancora una volta li invita alla conversione, a cambiare modo di pensare, di relazionarsi con la vita, li invita a iniziare a pensare secondo Dio. Pubblicani e prostitute, ovvero i peggiori peccatori della società, l'hanno fatto, hanno deciso di ascoltare la predicazione di Giovanni Battista prima e di Gesù poi e hanno compreso che i loro comportamenti li tenevano lontano da Dio, dal suo amore, dalla sua grazia e hanno scelto di cambiare.
Gesù, naturalmente, non si è rivolto solo ai sacerdoti e agli anziani, oggi si rivolge a noi e attraverso questa medesima parabola ci chiede di domandarci che figlio siamo: quello che dice sì e poi non va o quello che dice no e poi va a lavorare secondo la volontà del Padre? Fuori dalla parabola: che effetto ha la Parola di Dio nella nostra vita, la cambia o rimane intatta?
Quando sentiamo parlare di conversione pensiamo subito che riguardi i grandi peccatori, i violenti, i ladri, gli assassini. Siamo convinti che i peccati siano solo i delitti più gravi e le azioni più turpi invece ogni scelta che mi allontana da Dio, dal suo amore e dalla sua verità è peccato, non solo il male ma anche il rifiuto del bene è peccato. Ma cos'è il peccato? È una mancanza di amore pieno, concreto, vero. Ogni volta che non vivo un amore vero, pieno e autentico io mi sto allontanando da Dio perché sto cercando la mia soddisfazione in altro o mi sto accontentando di vivere a metà e sto rifiutando la possibilità di vivere una vita piena. Peccato non è una fonte di sensi di colpa, peccato è ciò che mi fa male perché rovina la relazione di fiducia tra me e Dio e tra me e i fratelli.
Quando Gesù avverte che pubblicani e prostitute ci passeranno avanti nel Regno dei cieli, non ci sta invitando ad imitarli, semplicemente registra come chi è più lontano da Dio vede più chiaramente le conseguenze dolorose e terribili del peccato nella propria vita e sa meglio cogliere le occasioni di misericordia che Dio dona. Il Signore è sempre disposto a venire a riprenderci, anche quando abbiamo toccato il fondo ma se si potesse evitare, se ci fidassimo ora e subito di lui, se ci lasciassimo oggi toccare dalla sua parola, se ci lasciassimo trasformare il cuore ne guadagneremmo sicuramente in gioia e serenità.

venerdì 22 settembre 2017

Il valore vero - Riflessione sul Vangelo di domenica 24 settembre 2017

Penso capiti a ciascuno di noi ben più di una volta al giorno di trovarsi in disaccordo con qualcuno, di faticare per far capire il nostro punto di vista, la prospettiva con cui valutiamo una determinata situazione. Caratteristica fondamentale dell'uomo è la ragione che ci permette di guardare la realtà e di interpretarla, di analizzarla e di giudicarla. Il modo con cui guardiamo alle cose della vita, il pensiero che seguiamo determina le nostre scelte e l'andamento di tutta la nostra vita molto più di quanto non ci rendiamo conto.
Molte volte la Scrittura ci ricorda che il modo di pensare di Dio è molto diverso dal nostro, che guardiamo alla realtà in due modi molto diversi.
La pagina di Vangelo di questa domenica ci presenta Gesù che racconta la nota parabola dei lavoratori a giornata. Un padrone esce alle sei del mattino e assume dei lavoratori per la sua vigna per quella giornata accordandosi con loro per la paga di un denaro, il normale salario giornaliero di un lavoratore dell'epoca. Esce poi di nuovo alle nove, a mezzogiorno, alle tre e alle cinque del pomeriggio e continua a mandare operai nella sua vigna. Alle sei il lavoro si conclude e tutti gli operai ricevono il loro salario, iniziano prima quelli arrivati per ultimi i quali ricevono un denaro e così via. Quando anche i primi ricevono un denaro si lamentano col padrone perché dovrebbero ricevere di più, avendo lavorato dodici ore e non una soltanto. Il padrone è irremovibile: con loro ha concordato un denaro e quello è quanto riceveranno, quanto dà agli altri è solo affar suo.
Non c'è bisogno di essere sindacalisti per schierarsi dalla parte degli operai: chi più ha lavorato deve ricevere di più! Ma questa è la mentalità del mondo, una mentalità economica, che mette al centro il profitto, il bene economico, che valuta una persona in base a quanto ha prodotto, a quanto valore ha aggiunto all'impresa.
Il pensiero di Dio è tutt'altra cosa. Per Dio al centro non c'è il profitto ma la persona, non il guadagno ma la vita. Il padrone della parabola dà a tutti la stessa paga perché è ciò che è necessario per vivere, se avesse pagato gli ultimi in base a quanto prodotto non avrebbero avuto di che sfamarsi, non avrebbero potuto portare a casa il pane alla famiglia, si sarebbero trovati a mendicare.
Che guaio sarebbe per noi se Dio ragionasse secondo il mondo! Chi di noi potrebbe pretendere di avere qualcosa visto che nemmeno la vita che viviamo è nostra!
Dio non ragiona come noi ma forse noi potremmo iniziare a ragionare come lui, potremmo iniziare a mettere al primo posto non il profitto ma la persona, non l'interesse ma la vita di chi ci sta accanto.
Il mondo continua a mettere al centro il profitto senza rendersi conto quante conseguenze gravi e pericolose questo comporti. Se ciò che è importante è il guadagno, chi non è in grado di produrre perché malato, handicappato, anziano è solo un peso, un fardello inutile. Infatti in molti paesi dove la logica del profitto la fa da padrona si sta facendo di tutto per liberalizzare l'eutanasia e il cosiddetto "aborto terapeutico" (che di terapeutico non ha proprio nulla). La logica del profitto porta a rifiutare chi non produce, chi chiede aiuto, chi è in difficoltà, e di tutto questo ne abbiamo piena la cronaca degli ultimi mesi.
Se invece imparassimo a pensare secondo Dio, a cercare non il profitto ma il bene delle persone, se dessimo a tutti la possibilità di lavorare secondo le proprie possibilità (perché la logica di Dio non approva i fannulloni, ciascuno deve contribuire per quanto può) e poi dessimo a tutti ciò che è necessario per vivere, se imparassimo a condividere i beni e non a concentrarli nelle mani di pochi, tutta la società ne trarrebbe grande giovamento.
Prima che qualcuno mi tacci di ideologie sinistroidi faccio presente che questo non è comunismo, il quale non ha nulla a che fare col Vangelo, questa è comunità. Noi ragioniamo come imprenditori, Dio ragiona come Padre che si prende cura di ciascuno dei suoi figli e fa in modo che nessuno di loro muoia di fame.
Chiediamo al Signore di aiutarci a convertire i nostri pensieri, a mettere al centro del nostro modo di pensare l'incommensurabile valore della persona umana per proporre modi nuovi di guardare alle cose, di vivere insieme, per iniziare ad essere più famiglia, a comportarci da figli di Dio.

venerdì 8 settembre 2017

Veri fratelli - Riflessione sul Vangelo di domenica 10 settembre 2017

La società in cui viviamo è stata definita con tante espressioni diverse che vogliono metterne in luce le caratteristiche fondamentali. Una di queste è sicuramente l'individualismo. Forse come conseguenza di lunghi periodi di autoritarismo nei quali c'era sempre qualcuno che comandava sugli altri, negli ultimi decenni si è fatto sempre più strada un forte bisogno di autonomia personale, di libertà di opinione, espressione, scelta. Tutte aspirazioni giuste in sé ma che se portate all'eccesso diventano pericolose. I social media sono uno specchio molto fedele di questa rivoluzione culturale: tutti si sentono in diritto di criticare, di esprimere il loro parere, di giudicare le parole e i gesti altrui convinti di essere i detentori della verità tutta intera. Siamo tutti molto bravi a riconoscere e a stigmatizzare i difetti, le debolezze, gli errori altrui, non però per aiutarli a correggersi e a cambiare ma per poter immaginare, almeno per un momento di essere migliori di loro.
Gesù ci propone uno stile ben diverso, ci chiede di amare il fratello che abbiamo accanto e prendercene cura, soprattutto quando questi commette una colpa contro di noi. Ci invita a correggerlo e a tentarle tutte per portarlo a rendersi conto del male commesso. Attenzione, però, non per vendetta e nemmeno con il fare arrogante e presuntuoso di che pensa di sapere tutto! Gesù ci invita alla carità fraterna a correggerci, a prenderci cura gli uni degli altri, a custodirci a vicenda.
Ciò che il Signore vuole condurci a creare è una comunione fraterna autentica, vera, fondata sull'amore, sulla carità, sul dono di se stessi. Sembra faticoso e lo è! Decisamente è più facile occuparci ognuno della propria vita lasciando che gli altri facciano lo stesso, la vita comunitaria è un impegno continuo di accoglienza, pazienza, comprensione.
Dobbiamo chiederci però cosa guadagniamo e cosa rischiamo di perdere?
Occuparci solo di noi stessi ci permetterà di avere sicuramente molto tempo libero che andrà sempre aumentando e poco a poco si rivelerà per ciò che è veramente: tempo di solitudine. L'autonomia esasperata che pretendiamo di avere oggi, la libertà di pensare e credere quello che mi pare ha un prezzo molto alto: la solitudine, appunto.
In gioco, allora, c'è la serenità della nostra vita, la nostra gioia!
Cos'è che ci può salvare da questa deriva individualista? L'amore vero! L'amore autentico, infatti, ci porta ad essere umili per saper riconoscere di non essere i detentori della verità tutta intera e nello stesso tempo ci fa desiderare comprendere sempre meglio la verità profonda di ciò che facciamo, delle nostre scelte, le loro conseguenze. L'amore ci fa accogliere i consigli e gli insegnamenti con attenzione per poter verificare poi la nostra vita. L'amore ci spinge a dimenticare il torto ricevuto e a prenderci cura del fratello che si è comportato male, non per vendicarci ma per aiutarlo a capire che facendo del male a noi ne ha fatto a se stesso. Comunione è volersi bene concretamente, accogliere il fratello così com'è, con i suoi difetti e i suoi pregi, con le sue capacità e le sue debolezze. Accogliere, non tollerare! Si fa tanto parlare oggi di tolleranza ma non ha nulla a che fare col Vangelo! Tolleriamo quello che vorremmo allontanare ma non possiamo, chi vorremmo eliminare ma non ci è possibile. Il Signore ci invita ad amarci gli uni gli altri, ad avere sollecitudine l'uno per l'altro, ad accoglierci così come siamo, d'altro canto è Lui il primo ad accoglierci così come siamo!
Con qualcuno sarà più semplice, con qualcun altro un po' più difficile, iniziamo allora dalla preghiera. Impariamo a pregare insieme, a chiedere al Signore di insegnarci a voler bene ai fratelli coi quali ogni domenica condivido la Messa, quelli della mia parrocchia, della mia comunità. Gesù ci ha promesso che se ci riuniamo nel suo nome, e dunque nel suo amore, egli è con noi. Lasciamo che ci ispiri un desiderio autentico di amare i nostri fratelli e di prendercene cura: è in questo tutta la nostra gioia.

sabato 2 settembre 2017

Relatività spirituale - Riflessione sul Vangelo di domenica 3 settembre 2017

"Tutto è relativo" diceva Einstein, parlava di spazio e tempo, materia e energia, ma in fondo è un principio che possiamo tranquillamente applicare anche alla nostra vita. Tutto dipende dal punto di vista da cui la consideriamo.
Gesù annuncia ai suoi discepoli che a Gerusalemme dovrà molto soffrire a causa degli Anziani e dei Sacerdoti, essere condannato, ucciso e risorgere il terzo giorno. Pietro si oppone a questa profezia e viene severamente rimproverato di pensare secondo gli uomini e non secondo Dio. Poi, tanto per essere chiaro, specifica che chi vuole essere suo discepolo e salvare la propria vita deve fare la stessa cosa, deve prendere la sua croce e seguirlo, altrimenti si troverà a perdere la propria vita.
Eccola qui quella che potremmo chiamare Relatività Spirituale: la vita può essere vissuta pensando secondo gli uomini oppure secondo Dio e il risultato è molto diverso.
Gesù guarda alla sua Passione nell'ottica di Dio, come il più grande atto d'amore, come la definitiva testimonianza della misericordia di Dio contro la malvagità umana. Pietro, e gli altri Apostoli con lui, vedono nella Passione la sconfitta del loro leader, la fine della loro avventura, lo sfumare di ogni speranza di liberazione dall'occupazione romana. Gesù guarda alla croce come un'occasione di amare fino in fondo, Pietro come uno strumento di sofferenza e morte.
Quando sentiamo parlare di croce abbiamo subito un istinto di rigetto, di fuga, questo perché stiamo continuando a ragionare secondo gli uomini, pensiamo che la croce sia solo un'inutile sofferenza, qualcosa da evitare.
Proviamo ora a considerarla dal punto di vista di Dio. Per farlo dobbiamo subito ricordare un fatto fondamentale, che diamo così per scontato che quasi ci dimentichiamo: Dio vuole la nostra salvezza e la nostra gioia, la vuole così tanto da essersi fatto crocifiggere per noi. Ogni volta che dovesse venirci il dubbio se il Signore ci ama davvero oppure no, guardiamo il Crocifisso, la risposta è lì!
Dio, dunque, vuole la nostra salvezza e la nostra gioia le quali sono frutto solo dell'amore donato. Lo capiamo bene con la gioia: i momenti più gioiosi della nostra vita sono quelli in cui abbiamo donato noi stessi. L'esempio migliore è sicuramente la nascita: non c'è gioia più grande di quella di una mamma che ha messo al mondo il proprio figlio e lo ha fatto in mezzo a grandissime sofferenze!
Ecco la croce di cui parla Gesù è questa: accettare di vivere una sofferenza per donare vita, per donare noi stessi per il bene di qualcun altro, in questo è tutta la nostra gioia e la nostra salvezza.
Prendere ogni giorno la croce e seguire il Signore non significa quindi andare a cercarsi nuovi modi di soffrire, Gesù non ci istiga al masochismo! Significa invece accettare tutte quelle piccole e grandi sofferenze che fanno parte della nostra quotidianità: i litigi con il marito o la moglie, le ribellioni dei figli, le esasperazioni dei genitori, le antipatie tra colleghi, le incomprensioni tra vicini, anche solo il fatto che un membro della mia famiglia tiri fuori il latte dal frigo e poi non ce lo rimetta. Tutto quello che ci fa fastidio, che ci disturba o che ci fa soffrire lo possiamo accogliere come occasione per amare di più il fratello molesto che abbiamo davanti. Se iniziamo con le piccole croci quotidiane impareremo a vivere anche le grandi sofferenze della vita come un'occasione di comunione con il Signore Gesù, con la sua croce.
Sembra un comportamento eroico ma non lo è, si tratta semplicemente della nostra umanità vissuta a pieno: non siamo fatti per pensare ai fatti nostri ma per donarci anche rinunciando a noi stessi. Siamo fatti a immagine e somiglianza di Dio e questo è quanto Dio fa con noi ogni giorno, si dona a noi.
Impariamo, quindi, a ragionare secondo Dio e non secondo gli uomini e tutto cambierà prospettiva.