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sabato 31 dicembre 2016

Dio salva! - Riflessione sul Vangelo di domenica 1 gennaio 2017

Alla fine dell'anno ci troviamo spesso a fare il bilancio dell'anno appena trascorso e all'inizio del nuovo facciamo propositi e progetti. Qualche volta il bilancio è in attivo perché nel corso dell'anno abbiamo vissuto eventi belli e importanti, altre volte il bilancio è negativo perché ci sono accaduti eventi tristi e dolorosi. Quanto ai progetti e ai propositi non sappiamo quanto ci sarà possibile realizzarli, sappiamo bene che non dipenderà esclusivamente da noi. Forse a considerare bene la nostra storia ma anche quella dell'umanità intera ci potremmo sentire impotenti, potremmo avere la sensazione di essere sballottati da tanti eventi che non possiamo controllare, eventi che decidono della nostra sorte. Tutto questo se ci limitiamo a considerare la storia in termini esclusivamente umani. 
In verità non siamo come navi alla deriva, sballottati dalle onde di una storia che come un mare in tempesta tenta ogni giorno di inghiottirci. La nostra vita è nelle mani di Dio, di un Dio che salva!
Gesù significa "Dio salva" ed è il nome di quel Bambino in cui Dio ha voluto incarnarsi, ha voluto farsi vicino a noi, ha voluto manifestarsi ad ogni uomo, a partire dai più poveri ed emarginati. 
Leggiamo allora la nostra storia alla luce del nome di Gesù, davanti alle catastrofi, davanti alle disgrazie, davanti agli eventi dolorosi ricordiamoci che Dio salva! Davanti alle gioie, davanti ai successi, davanti alle vittorie ricordiamoci che Dio salva! 
Proviamo a rileggere il nostro anno passato alla luce di questa certezza, che in tutto ciò che abbiamo vissuto Dio viene a salvarci, se glielo permettiamo. Anche in quegli eventi che ci sembrano solo tragedie, anche lì Dio salva, anche nelle grandi sofferenze Dio salva! Lodare e ringraziare Dio per gli eventi gioiosi è più semplice, anche se non sempre ci ricordiamo di farlo, iniziamo a farlo anche davanti alle situazioni più difficili certi che anche lì dove tutto ci sembra perduto Dio salva!
Per imparare a lodare Dio sempre, per imparare a fidarci di lui in ogni circostanza impariamo da Maria Santissima. Come lei custodiamo e meditiamo nel cuore tutto ciò che ci accade permettendo allo Spirito Santo di illuminarci, di infonderci speranza, serenità, coraggio. Impariamo a non lasciarci scoraggiare dagli eventi della vita, impariamo ad andare sempre avanti, fiduciosi che Dio non manca mai alle sue promesse, che non ci abbandona ma che tutto volge a nostra salvezza perché ha scelto di farsi uomo per donarci la sua vita eterna. Su questa fiducia e certezza impariamo a lodare Dio, ad annunciare le sue meraviglie, a raccontare quello che ha compiuto nella nostra vita affinché anche i nostri fratelli possano imparare ad aprirgli il cuore, ad accogliere il suo amore e la sua salvezza che è davvero per ogni uomo!

sabato 17 dicembre 2016

Vero coraggio - Riflessione sul Vangelo di domenica 18 dicembre 2016

Nell'antichità c'erano gli eroi dell'epica classica, nel Medioevo i cavalieri, oggi abbiamo i supereroi (è vero, ci abbiamo perso parecchio ma rimandiamo ad altra sede una discussione circa il declino della nostra letteratura): tutti costoro non sono altro che personaggi coraggiosi, che hanno affrontato senza paura imprese leggendarie. Perché tanto interesse intorno a figure di questo tipo? Penso perché abbiamo bisogno di modelli di coraggio, abbiamo bisogno di poter avere davanti agli occhi esempi di persone che hanno compiuto grandi imprese così, forse, suscitano in noi un po' più di coraggio per affrontare le difficoltà quotidiane.
Sapete chi è stato un uomo veramente coraggioso, uno che vale davvero la pena di imitare? San Giuseppe! Sì, proprio il mite e taciturno san Giuseppe.
La pagina di Vangelo di questa domenica è l'unica di cui è protagonista, di lui non ci rimane neppure una parola ma ci ha lasciato un enorme esempio di coraggio.
Coraggio non è latro che una versione provenzale della parola latina cor cuore. Dunque avere coraggio non è sapersi buttare a un ponte con un elastico alle caviglie o correre a trecento chilometri all'ora su una pista; avere coraggio non è altro che avere cuore e saperlo usare bene. Non nel senso smielato e un po' infantile come lo intendiamo oggi, non significa essere romanticoni e teneroni ma essere persone che in quello che fanno ci mettono il cuore e cioè tutto se stessi. Nella Scrittura il cuore è la sede sia dei pensieri che dei sentimenti perché non possono essere separati in quanto gli uni influenzano gli altri e viceversa. Quando amiamo una persona ne pensiamo anche bene, vogliamo il suo bene, la conosciamo sempre meglio e ne comprendiamo i pensieri. Così pure quando iniziamo a conoscere una persona, la stimiamo, ne apprezziamo le idee e i comportamenti iniziamo anche a volerle bene. Per tutto questo, però, serve un cuore puro, limpido, giusto, capace di compassione e misericordia.
Giuseppe aveva un cuore così: giusto nel senso biblico del termine e cioè appunto limpido e puro, misericordioso e compassionevole, un cuore come il cuore di Dio. Avrebbe avuto ogni diritto, anzi, sarebbe stato suo dovere denunciare pubblicamente e lapidare Maria, trovata incinta prima che andassero a vivere insieme. Ma il suo cuore puro non glielo voleva permettere, così mentre cercava una via d'uscita ecco in sogno l'angelo spiegargli come stavano veramente le cose. Quell'invito "non temere" deve aver risuonato nel cuore di Giuseppe molte volte, deve averlo richiamato alla memoria molto spesso mentre faceva da padre al Figlio di Dio. Il segreto di Giuseppe, il suo coraggio è tutto lì è nel suo cuore che ha accolto quell'invito, che ha scelto di non aver paura di una chiamata di Dio che veniva a sconvolgere tutti i suoi piani, i suoi progetti buoni e belli ma terreni. Giuseppe ha avuto coraggio perché ha scelto di fidarsi di Dio, di mettere da parte i suoi disegni per scegliere l'unico disegno che meriti di essere seguito: il disegno d'Amore di Dio.
In questa quarta domenica di Avvento impariamo lo stile di Giuseppe, impariamo ad avere anche noi coraggio, a mettere il cuore in quello che facciamo, a non avere paura della chiamata di Dio, ad alzarci e a compiere quello che Dio ha pensato per noi. Ci cambierà molti dei nostri progetti ma sarà l'occasione per ognuno di noi di fare della nostra vita una occasione di salvezza per tanti fratelli. Qualcuno potrebbe obiettare: ma come si fa a capire la volontà di Dio? Il problema vero non è come capire ma se davvero vogliamo capirla! Spesso non capiamo cosa il Signore vuole da noi semplicemente perché preferiamo non capire, perché abbiamo paura che ci chieda più di quanto siamo disposti a dargli, che ci porti a fare scelte che ci sembrano scomode e impegnative. Impariamo da Giuseppe, purifichiamo il nostro cuore da ogni paura, da ogni egoismo, da ogni superbia, iniziamo a vivere ogni cosa che facciamo mettendoci il cuore, amando le persone che incontriamo, anche chi magari vediamo per pochi minuti e non vedremo mai più nella nostra vita. Mettiamo cuore in ogni nostra azione e il Signore ci manifesterà la sua volontà, il suo disegno d'amore e di salvezza per la nostra vita.

venerdì 2 dicembre 2016

Gesti d'amore che cambiano il cuore - Riflessione sul Vangelo di domenica 4 dicembre 2016

Ci sono persone che, quando parlano di ciò che li appassiona, lo fanno con una forza e una carica tali da affascinare chi ascolta. Conosco persone che quando parlano delle loro passioni letteralmente si accendono, si infervorano, sembrano un fiume in piena e sanno essere coinvolgenti, sanno catturare l'attenzione, ci si ferma ad ascoltarli con interesse. Ciò che conquista non è solo l'argomento ma l'entusiasmo con cui ne parlano, la capacità che hanno di fartene intuire la bellezza, l'importanza, la grandezza. 
Doveva essere così san Giovanni Battista, un uomo appassionato, capace di catalizzare l'attenzione di tante persone che accorrevano a lui da tutta la Giudea. Un uomo che, con forza, annunciava l'arrivo del Messia, con una passione e una forza a cui non si riusciva a resistere. Non era certo un tipo tenero Giovanni, quanto aveva da dire lo diceva in faccia, senza mezzi termini, senza diplomazia eppure la passione che ci metteva nell'annunciare la venuta del Messia era tale che tutti volevano ascoltarlo. Uniamoci anche noi a quelle folle e andiamo ad ascoltarlo, lasciamoci guidare dal suo annuncio a prepararci ad accogliere il Signore Gesù che viene nella nostra vita.
"Convertitevi! Fate frutti degni di conversione!" Diceva Giovanni. La conversione tanto appassionatamente invocata dal Precursore è il cambiamento del modo di pensare, dobbiamo smettere di pensare secondo il mondo mettendo al centro della nostra vita noi stessi e dobbiamo iniziare a pensare secondo Dio, mettendo Lui al centro della nostra vita. Poiché, poi, le nostre azioni rivelano i nostri pensieri, le nostre azioni devono manifestare anche questa conversione.
Ammettiamolo, siamo molto più centrati su noi stessi di quanto non vorremmo. Quando ci accade qualcosa il nostro primo pensiero è alle conseguenze che quell'evento avrà sulla nostra vita, su quanto sconvolgerà i nostri piani su quanto ci costerà o potrà esserci vantaggioso. Quanto è difficile, però, abbandonare questa mentalità. Iniziamo, allora, dalle azioni, impegniamoci a fare azioni degne di chi ha messo il Signore e la sua volontà al centro della propria vita. Dedichiamo un po' del nostro tempo e delle nostre energie a chi ha bisogno, a chi non può esserci di alcun vantaggio, spendiamoci gratuitamente. Davanti alle difficoltà, invece di abbandonarci all'ansia e allo sconforto, mettiamoci a lodare il Signore, non per convincerlo a volgere le cose a nostro vantaggio, ma con la certezza che non ci abbandona e che, ancora una volta, ci mostrerà la sua salvezza. Quando siamo tentati di giudicare una persona, rendiamo grazie a Dio per la sua vita e chiediamogli che ci insegni ad amarla come la ama Lui. Compiamo gesti d'amore, anche se all'inizio saranno faticosi, anche se ci sembrerà di farli contro voglia, o se ci verrà da pensare che non servano a nulla. Scopriremo a poco a poco che non è poi così difficile e che si può veramente iniziare a pensare secondo Dio. Il nostro cuore diventerà ogni giorno di più capace di amare di amore vero, gratuito e sarà così sempre più pronto ad accogliere il Signore che viene a battezzarci in Spirito Santo e fuoco, a immergerci, cioè, nello Spirito che è Dio che ama in noi. Solo un cuore capace di amore donato può accogliere l'amore di Dio che si dona ed è quell'amore che trasforma veramente la nostra vita, che le fa realmente cambiare aspetto. Ci ritroveremo, senza quasi accorgercene, a fare discorsi appassionati come quelli di Giovanni Battista, a invitare i fratelli a incontrare il Signore, a lasciarsi amare da Lui, ad amare chi ci sta accanto perché la nostra vera natura è di amare, amare pienamente e gratuitamente. 
Questo Tempo di Avvento possa essere un tempo nel quale impariamo lo stile della conversione, dell'amore che si dona, tempo nel qual ci prepariamo ad incontrare il Signore che viene a renderci capaci da amare come ama Lui e di trovare così tutta la nostra gioia. 

sabato 26 novembre 2016

Vigiliamo! - Riflessione sul Vangelo di domenica 27 novembre 2016

Quando siamo molto concentrati a fare qualcosa può capitare che qualcuno ci chiami e noi nemmeno lo sentiamo. Ci capitava da bambini quando giocavamo: quante volte le nostre mamme ci dovevano chiamare perché la cena era pronta! A ben pensarci un po' tutta la nostra vita è così. Siamo sempre molto impegnati, preoccupati a seguire tutte le nostre attività e i nostri doveri, anche quando ci dedichiamo a passatempi, allo sport, ad attività ricreative ci mettiamo molta attenzione.
Ma siamo sicuri che in questo modo non rischiamo di perderci qualcosa?
Iniziamo questa domenica il Tempo di Avvento che, come gli altri tempi forti dell'anno liturgico, è un tempo nel quale la Chiesa ci invita a fermarci, ad allentare un po' la tensione, a distogliere almeno per un momento la nostra attenzione dalle cose di questo mondo per considerare il senso vero e profondo della nostra vita. È un tempo che si apre con un invito forte del Signore Gesù: Vigilate!
Gesù non ci invita a fare notti in bianco o a tralasciare i nostri doveri, non ci chiede nemmeno di rinunciare ai nostri passatempi o al nostro relax. Ci invita, però. a vivere tutto senza lasciarci fagocitare completamente da ciò che stiamo facendo, dalle cose di questo mondo.
Quando qualcuno a cui vogliamo bene ci dice che passerà a trovarci noi continuiamo le nostre faccende ma con un orecchio sempre teso al campanello affinché appena suona possiamo correre ad aprirgli. Questa è la vigilanza che il Signore ci chiede in questo tempo di Avvento, continuiamo a svolgere le nostre attività, i nostri doveri, i nostri divertimenti, ma nell'attesa del Signore che viene.
Perché non lo facciamo sempre? Perché ogni anno la Chiesa deve ricordarcelo?
Perché in fondo noi non ci crediamo poi tanto, non pensiamo che il Signore possa davvero venire nella nostra vita perché l'unica venuta del Signore che immaginiamo è l'ultima, quando i sarà in Giudizio Universale. A parte che non sappiamo quando arriverà quel giorno, potrebbe benissimo essere domani, ma non è solo l'Ultimo Giorno che dobbiamo attendere. Il Signore ci invita ad essere vigilanti perché ogni giorno viene nella nostra vita, viene a visitarci, viene a liberarci, viene a guarirci. Se non facciamo attenzione, se non tendiamo l'orecchio, se non siamo pronti e vigilanti, se permettiamo alle cose di questo mondo di assorbire tutta la nostra attenzione rischiamo di perderci il passaggio del Signore nella nostra vita. Quando il Signore viene a visitarci è sempre per la nostra salvezza, per la nostra guarigione, per la nostra liberazione. Conosco tante persone che nella vita avevano già dato tutto per scontato, si erano già rassegnati a vivere fatiche, dolori, ansie, sicuri che nessuno avrebbe mai potuto liberarli. Invece un giorno, quando meno se lo aspettavano, il Signore Gesù è entrato nella loro vita in un modo nuovo, diverso, inatteso e sorprendente e la loro vita è cambiata. Gesù vuole entrare così nella nostra vita, scegliamo, quindi, in questo Tempo di Avvento di vegliare, di attenderlo, di restare attenti a tutte le occasioni che il Signore ci metterà davanti, lì, proprio dove noi meno ce lo aspettiamo, il Signore manifesterà la sua gloria e noi troveremo la nostra gioia.
Maranatha! Vieni Signore Gesù!

sabato 5 novembre 2016

La fonte della vita - Riflessione sul Vangelo di domenica 6 novembre 2016

Da sempre l'uomo è un essere curioso, vuole scoprire, conoscere, capire. Nei tanti secoli di storia dell'umanità molti sono stati gli scienziati che hanno speso la loro vita a studiare i tanti fenomeni che costituiscono il nostro mondo. Di tutti il fenomeno più studiato, nelle sue tante forme, è la vita. Molte sono le branche del sapere che se ne occupano: la biologia, la medicina, la botanica, la zoologia e molte altre. L'uomo di ogni tempo non può non essere affascinato dalla vita: è ciò che ci è più proprio eppure continua a sfuggircene il segreto. Molti filosofi hanno anche cercato di definirla ma anche loro non sono arrivati a un risultato soddisfacente. È qualcosa che tutti sperimentiamo ogni giorno eppure continua a sfuggirci. Non sarà, forse, perché sbagliamo il punto di partenza?
Vogliamo studiare la vita come se si trattasse solo del funzionamento di una macchina composta di cellule invece che di ingranaggi, sia che si tratti di un batterio, di una pianta, di un animale o dell'uomo, vogliamo carpirne il meccanismo. Infatti se si trattasse di un meccanismo, per quanto complesso, potremmo evitare la domanda più spinosa: chi è la fonte della vita?
Se veramente vogliamo carpire il segreto della vita dobbiamo invece proprio partire da qui, dalla sua fonte, da Dio! Dobbiamo abbandonare la nostra pretesa di conoscenza, il nostro razionalismo che ci imprigiona in schemi freddi e rigidi e cominciare a chiederci: perché esiste la vita?
Ci affanniamo tanto a studiare quando basterebbe chiedere! Basta chiedere a Dio, fonte della vita, perché ci hai creati, perché hai creato la vita, quale ne è il senso? E sapete qual è il bello? È che Dio ci ha già risposto! Lo ha fatto in Gesù, lo ha fatto condividendo la nostra vita, per donarci la sua, per farci comprendere che la vita umana è un atto d'amore e che non la comprenderemo mai finché non la ameremo fino in fondo, fino alla sua fonte, finché non ameremo veramente Dio. Quando lo avremo fatto, quando avremo scelto di amare la vita a partire dal suo creatore comprenderemo che non è un meccanismo, che non è qualcosa di relegato a questa realtà che conosciamo ma che è per l'eternità.
Nella pagina di Vangelo di questa domenica Gesù invita i sadducei, e noi con loro, a fare proprio questo cambio di prospettiva, a non considerare la vita a partire da quel poco che conosciamo a questo mondo ma di partire considerando l'autore della vita: Dio che è Dio dei vivi e non dei morti.
Proviamo a fare questo cambiamento, iniziamo a pensare alla nostra vita non come a un fenomeno naturale stretto nelle regole di questo mondo ma per quello che è veramente, un atto d'amore di Dio e, in quanto tale, non limitato nel tempo ma eterno. Molti scienziati hanno paura che partire da questo presupposto ci imprigioni in norme, regole e leggi. In realtà è l'esatto opposto: pensare alla nostra vita e ad ogni vita umana come un atto d'amore di Dio ci libera innanzi tutto dalla solitudine che ci portiamo nel cuore perché sappiamo di non essere soli. Ci libera dalla paura di trovarci abbandonati perché comprendiamo che ogni altra forma di vita è creata perché sia di sostegno alla nostra vita, è un dono che deve essere custodito e usato con rispetto e gratitudine. Ci libera dall'egoismo perché perché ci fa scoprire anche chi abbiamo accanto come un dono speciale e prezioso di cui non posso disporre a nostro piacimento. Ci libera dalla paura della morte perché ci fa comprendere che non è la fine ma il passaggio alla pienezza della vita.
La vita che stiamo vivendo qui è solo l'inizio di una esperienza meravigliosa che troverà la sua pienezza nella resurrezione, nella vita eterna che il Signore ha preparato per noi, qualcosa che ora non possiamo comprendere fino in fondo, che vorremmo poter conoscere con ciò a cui siamo abituati qui ma che comprenderemo solo quando la vivremo. Ripartiamo ogni giorno dalla fonte della nostra vita, ripartiamo ogni giorno da Dio, dal suo amore infinito ed eterno e il suo Spirito darà al nostro cuore le risposte che tanto affannosamente cerca.

sabato 29 ottobre 2016

Amore che converte - Riflessione sul Vangelo di domenica 30 ottobre 2016

Siamo quasi alla fine di questo Giubileo della Misericordia, abbiamo trascorso un anno a raccontare, meditare, contemplare la misericordia di Dio. A ben guardare però forse dovremmo prolungarlo per un'altra cinquantina d'anni! Sì, perché nel corso di questo anno speciale mi è sorta una domanda: perché così tanta gente pensa che Dio sia un giudice severo e intransigente che non vede l'ora di condannare tutti? È vero che in buona parte la colpa di questa idea è di noi preti, per tanto tempo troppo impegnati a condannare il peccato senza curarci abbastanza del peccatore, anzi arrivando a identificare l'uno con l'altro. Andare alla ricerca di colpevoli però non serve a molto. Penso sia più utile concentrarci sull'amore misericordioso di Dio, l'unico che può rettificare queste idee così distorte.
In realtà basterebbe rileggere il Vangelo con un minimo, ma proprio un minimo, di attenzione e cercando di mettere da parte le nostre rigide e spietate convinzioni per renderci conto che a Gesù di condannare e disprezzare un peccatore non gli è proprio mai passato nemmeno per l'anticamera del cervello, non gli ha mai nemmeno fatto la predica! Se c'è una cosa che Gesù ha sempre fatto è sempre stato l'esatto contrario: Gesù ha sempre amato i peccatori, ha mangiato con loro, li ha accolti, li ha perdonati.
Il Vangelo di questa domenica è emblematico: Gesù incontra Zaccheo. Luca, per non lasciare adito a dubbi, ci informa chiaramente che Zaccheo era capo dei pubblicani e ricco, a un ebreo dei tempi di Gesù non serviva altro per capire che tale ricchezza non era certo frutto di abilità imprenditoriali ma di furto ed estorsione a quanti erano tenuti a pagare le tasse ai romani. Zaccheo, dunque, era un peccatore della peggior specie, sente però parlare di Gesù e, come tutti noi, è curioso di vederlo. Essendo basso ed essendoci molta folla, Zaccheo sale su un albero convinto di avere una visuale migliore. Non ci pensa nemmeno a incontrare Gesù faccia a faccia, un rabbì non si mischia certo con persone del suo tipo. Giunto però sotto l'albero Gesù alza lo sguardo e...
Noi che avremmo fatto al posto di Gesù? Probabilmente gli avremmo detto "Vergognati! Tu rubi ai tuoi fratelli! Venduto al nemico!" o qualcosa del genere, andandocene poi con ostentato sdegno.
Gesù invece alza lo sguardo e dice a Zaccheo "Scendi che vengo a mangiare da te!". Ora, ricordiamo che per gli ebrei mangiare alla stessa tavola era sinonimo di condivisione di vita, Gesù quindi sceglie di condividere la sua vita con un peccatore della peggior specie. Zaccheo non crede alle sue orecchie! Il maestro che vuole fermarsi da lui! Ma allora forse c'è speranza anche per un peccatore come lui, forse non è detta l'ultima parola, forse l'ultima parola non è condanna ma misericordia. Zaccheo scende in fretta e colmo di gioia accoglie Gesù in casa sua. Gesù non si mette a fargli la ramanzina, semplicemente si siede a tavola e mangia con gli altri, se avesse fatto un discorso sull'onestà, sulla rettitudine o sul pentimento sicuramente l'Evangelista ce lo avrebbe riportato. Eppure Zaccheo sceglie di convertirsi, di dare la metà delle sue ricchezze ai poveri e di restituire quattro volte tanto quanto rubato. Zaccheo non si converte perché ha ascoltato una predica ma perché è stato amato. Non sono le parole, i giudizi, le regole che ci convertono ma l'amore di Dio, la sua misericordia per ogni uomo, per ogni peccatore.
Quando nella vita ci troviamo nella condizione di Zaccheo, quando pensiamo di aver sbagliato troppo, quando pensiamo che non c'è alcuna speranza per noi, cerchiamo lo sguardo di Gesù, lasciamoci amare da lui, accogliamolo in casa nostra, nella nostra vita, affinché porti, anche a noi la salvezza.
Se invece pensiamo di essere più bravi degli altri, più giusti e corretti e sentiamo in noi l'irrefrenabile bisogno di giudicare, criticare, condannare, quando non possiamo fare a meno di fare una ramanzina al fratello che ha peccato, ricordiamoci che Gesù non lo ha mai fatto e non lo farebbe nemmeno con chi abbiamo davanti. Scegliamo invece di amare chi ha peccato e attraverso il nostro amore sarà l'amore del Signore ad agire e a convertire anche il cuore più ostinato.

sabato 22 ottobre 2016

La misericordia che ci rende giusti - Riflessione sul Vangelo di domenica 23 ottobre 2016

Se la nostra epoca storica dovesse prendere il nome da ciò che impazza in televisione questa sarebbe l'era dei Talent Show: spettacoli nei quali persone comuni tentano di diventare cantanti affermati, stelle dello spettacolo o cuochi famosi. I veri protagonisti di questi programmi sono però i giudici che decretano chi possa continuare la gara nella puntata successiva e chi invece debba tornarsene a casa col proprio sogno infranto. Accanto ai giudici ufficiali ci sono poi decine di migliaia di "giudici ufficiosi", i telespettatori che tramite i social network esprimono i loro giudizi su giudici e giudicati. Il vero motivo di tanto successo, infatti, non è la possibilità di diventare famosi data a pochissimi ma la possibilità per tutti gli altri di esprimere il proprio giudizio, spesso molto feroce e quasi sempre incompetente.
Ci piace tanto giudicare! Nessuno ama essere giudicato eppure nessuno di noi può fare a meno di giudicare gli altri. Ci troviamo così tutti imprigionati in una spirale di giudizio: veniamo giudicati per ciò giudichiamo, gli altri si sentono giudicati da noi e ci giudicano a loro volta. Perché allora continuiamo a farlo?
Per ciascuno di noi il giudizio è un'arma di difesa, più o meno inconsciamente ci pensiamo inferiori per qualcosa a chi abbiamo accanto, il giudizio, la critica, il disprezzo, diventano così un modo per abbassare l'altro al nostro stesso livello. Metterne in luce i difetti lo rende meno perfetto quindi più sostenibile.
A volte ci difendiamo convincendoci che il nostro non è un giudizio ma la constatazione di oggettivi errori, limiti, difetti, peccati della persona che ci è accanto. Ma cosa sappiamo davvero di chi ci sta accanto? Fosse anche la persona che meglio conosciamo, non siamo sicuramente nel suo cuore, non abbiamo vissuto la sua vita, non abbiamo idea di quali eventi abbia affrontato, quali ferite possano aver lasciato nel suo cuore, ferite che lo fanno soffrire, che quasi gli impediscono di reagire come vorrebbe a determinate situazioni. Siamo in grado di vedere solo la superficie di chi abbiamo davanti, mai quello che è nel profondo del suo cuore. Per questo solo Dio può giudicare, lui solo, infatti, conosce le profondità del  nostro cuore.
La pagina di Vangelo di questa domenica ci riporta una parabola che Gesù racconta "per alcuni che avevano l'intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri". Un fariseo prega nel tempio "tra sé", non ha bisogno di Dio, basta a se stesso, il Signore è solo chiamato a fare da notaio, a registrare la sua buona condotta e, per dimostrare ancora meglio di essere davvero un'ottima persona, si paragona al pubblicano, peccatore, rifiuto della società. Il pubblicano, invece si limita a riconoscersi peccatore e ad invocare la misericordia di Dio. Sa bene di aver fatto scelte sbagliate, di aver peccato, sa di non aver diritto al perdono perciò si affida alla misericordia di Dio. Soprattutto non guarda agli altri, non cerca di trovare qualcuno peggiore di lui con cui raffrontarsi e poter dire "però io sono migliore di questo". Sarà proprio il pubblicano, con la sua umile ammissione di colpa, a ricevere la misericordia di Dio, ad essere reso giusto, ad essere, cioè, reso simile a Dio.
Spezziamo la spirale del giudizio, smettiamo di giudicare gli altri, di cercare di apparire migliori di quello che siamo. Impariamo anche noi a riconoscere umilmente, davanti a Dio, che senza di Lui non siamo nulla, la nostra vita è vuota e senza senso. Impariamo a riconoscere con umiltà i nostri errori, i nostri peccati, accostiamoci alla Riconciliazione con fiducia, è il dono della misericordia del Padre per noi, lì ci rende giusti come ha fatto col pubblicano del Vangelo.
Non permettiamo nemmeno che i giudizi degli altri possano influenzarci, possano scoraggiarci o addirittura bloccarci. Se qualcuno ci critica prima cerchiamo di capire se non abbia ragione, se davvero ci stia aiutando a riconoscere un nostro errore, se è così correggiamoci e rendiamo grazie a Dio di averci mandato un fratello ad aiutarci. Se invece la critica è ingiustificata ricordiamoci che la nostra vita vale il Sangue di Cristo versato per dono d'amore per ciascuno di noi! Chiediamo a Signore che ci insegni a non giudicare ma a guardare tutti con la stessa misericordia con cui Egli guarda a noi.

sabato 15 ottobre 2016

Promessa mantenuta - Riflessione sul Vangelo di domenica 16 ottobre 2016

Quando abbiamo a che fare con la burocrazia sappiamo che dovremo avere molta pazienza, che dovremo riempire moduli, apporre marche da bollo, ottenere timbri e vidimazioni, allegare fotocopie di documenti... Tutto per ottenere qualcosa di cui abbiamo diritto. Diciamocelo, la burocrazia non piace a nessuno eppure la sopportiamo come fosse un male necessario.
Abbiamo già molte volte avuto modo di notare come le abitudini della nostra vita quotidiana passino anche nella nostra relazione con Dio. Non sorprendiamoci, allora, se ripensando al nostro modo di pregare vi ritroviamo tratti tipici della burocrazia. Pensiamo alla preghiera come a una procedura per richiedere grazie speciali, qualcosa da eseguire in modo corretto, qualcosa di stabilito, schematico, obbligatorio, tanto che se un giorno ci dimentichiamo di "dire le preghiere" ci chiediamo (o lo chiediamo al parroco) se dobbiamo ricominciare tutto da capo, se Dio mi ascolterà lo stesso, se otterrò comunque quello che chiedo... Sono esagerato? L'esperienza mi dice di no!
La pagina di Vangelo di questa settimana inizia con una breve parabola e, per evitarci di interpretarla male, l'Evangelista precisa che Gesù l'ha raccontata per sottolineare la necessità di una preghiera incessante. Un giudice iniquo viene continuamente importunato da una vedova che gli chiede giustizia con insistenza senza lasciarsi scoraggiare dalla sua iniquità, alla fine le concede quello che vuole solo per potersela togliere di torno. Questa è una di quelle parabole in cui Gesù usa il contrasto per aiutarci a purificare l'immagine di Dio che ci siamo fatti. Dio non è come quel giudice ingiusto che pensa solo a se stesso, è esattamente il contrario. Dio è giusto, ama cioè ognuno di noi e compie le sue promesse prontamente. La giustizia di Dio non ha nulla a che fare con il nostro giustizialismo, che tanto spesso ha il sapore della vendetta. La giustizia di Dio è il compimento della sua promessa di salvezza. Dicendo "farà loro giustizia prontamente" il Signore Gesù ci assicura che il Padre non ci abbandona mai, che è fedele alla sua promessa d'amore, di sostegno e di salvezza.
Perché allora a volte ci sembra di non essere ascoltati?
La risposta è nella domanda che chiude la pagina di Vangelo di questa domenica: "Ma, il Figlio dell'uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?" A prima vista appare una domanda che non ha alcun legame con la parabola appena raccontata, invece ne è la chiave di lettura. La preghiera, quella vera, è possibile solo nella fede, cioè nella relazione di fiducia col Padre e il Figlio nello Spirito. La fede non è semplice ammissione dell'esistenza di Dio,è desiderio di dialogo con lui, è fiducia nella sua Parola, nelle sue promesse. La preghiera è dunque il dialogo della fede, è lo spazio in cui apriamo il cuore a Dio, in cui gli consegniamo la nostra vita, senza bisogno di domande in carta bollata ma con la certezza che Egli compirà la sua promessa di salvezza sempre e comunque, anche se tutto ciò che ci circonda sembra dirci il contrario. Preghiamo incessantemente, dunque, non come se stessimo compilando moduli ma nel dialogo d'amore con un Padre fedele che non ci abbandona mai, che tutto ha già disposto per la nostra gioia, per la nostra pienezza, per la nostra vita eterna.

sabato 8 ottobre 2016

Canterò in eterno la tua lode - Riflessione sul Vangelo di domenica 9 ottobre 2016

Fin da bambini abbiamo imparato a valutare gli eventi della nostra vita in base al risultato che portano. Quando frequentavamo la scuola tutto andava bene non in base a quanto avevamo imparato ma ai voti che avevamo preso. Anche nel gioco seguivamo lo stesso principio (e lo continuiamo a fare anche da adulti) l'importante non è divertirsi ma vincere.  Diventati adulti le cose non sono cambiate, nella maggior parte dei casi il profitto è l'unico metro di valutazione sul lavoro che svolgiamo. Siccome, poi, la nostra vita non è fatta a compartimenti stagni questo principio, il principio del risultato, lo applichiamo anche alla vita spirituale per cui ci impegniamo in intense preghiere di richiesta quando qualcosa ci affligge ma raramente mettiamo poi lo stesso impegno per ringraziare quando abbiamo ottenuto quanto desiderato. Ancora meno siamo capaci di rendere grazie a Dio per ciò che abbiamo perché lo diamo per scontato, quasi che tutto quello che fa parte della nostra vita sia un nostro diritto.
Hanno fatto così i lebbrosi del Vangelo di questa domenica, vanno incontro a Gesù e ad alta voce gli chiedono di aver misericordia di loro, chiedono la guarigione. Una volta ottenuta e certificata dalla competente autorità, i sacerdoti, nove di loro proseguono la loro vita senza nemmeno pensare di tornare indietro a ringraziare per il dono miracoloso. Subito approfittano della ritrovata salute e tornano alle loro occupazioni, ai loro affari, a cercare nuovi risultati, lodare Dio e ringraziare è solo una perdita di tempo perché non produce nulla. Che maleducati, ci viene da commentare, ma siamo così sicuri che non avremmo fatto lo stesso? Anzi, siamo sicuri che non facciamo ogni giorno lo stesso? Quanta della nostra preghiera è ringraziamento e lode? Quanta, invece è richiesta?
Abbiamo bisogno di riscoprire la preghiera di lode e ringraziamento che, a ben guardare, è la prima e più importante forma di preghiera nella Scrittura. Lodare Dio e ringraziarlo per quanto ci ha dato non è una perdita di tempo, nella nostra vita quello che conta non è il risultato ma la comunione con Dio! Una vita piena di buoni risultati ma priva della relazione fondamentale con il Signore sarebbe una vita vuota, triste, buia. Non sono i risultati e i traguardi in questo mondo che ci riempiono di gioia, che ci fanno sentire veramente soddisfatti di noi stessi ma la comunione con Dio, vivere secondo il suo disegno d'amore. Per tutto ciò la vi maestra è la preghiera di lode.
Con la preghiera di lode non chiediamo nulla a Dio, semplicemente ci fidiamo di lui, riconosciamo la sua grandezza, il suo amore infinito per noi, la sua tenerezza, la sua premura, la sua provvidenza. Quando la preghiera di lode diventa abituale nella nostra vita di fede, quando è l'inizio di ogni nostra preghiera, vedremo aumentare la nostra fiducia nel Signore, contemplando le meraviglie che ha operato e continua a compiere nella nostra vita capiremo che la preghiera di ringraziamento diventa quasi superflua perché Dio vuole già la nostra salvezza, non c'è alcun bisogno di convincerlo. La preghiera di lode apre il nostro cuore a Dio, ci rende anche più disponibili ad ascoltarlo, ad accogliere la sua volontà, meno capricciosi ed esigenti.
Proviamoci! Facciamo della preghiera di lode l'inizio di ogni nostra preghiera, se non sappiamo come fare, se ci sentiamo impacciati, scegliamo un salmo di lode, ricopiamolo, portiamolo sempre con noi e iniziamo con quello e poi lasciamo che sia il nostro cuore a far sgorgare come una fontana la lode a Dio. Vedremo con i nostri occhi quali grandi doni ha in serbo il Signore per noi!

sabato 1 ottobre 2016

Un dono per tutti - Riflessione sul Vangelo di domenica 2 ottobre 2016

La ricerca scientifica e lo sviluppo tecnologico ci stanno facendo fare passi da gigante, abbiamo debellato molte malattie un tempo incurabili, abbiamo migliorato le colture, siamo in grado di volare, di percorrere lunghe distanze in poco tempo, di comunicare con l'altro capo del mondo... mai come oggi l'uomo è sicuro delle proprie capacità, delle proprie potenzialità, delle proprie conoscenze. Eppure continuano a proliferare sette di ogni tipo, i cartomanti e gli astrologi continuano a fare affari d'oro, dai calendari sono spariti i santi del giorno ma non c'è quotidiano che non abbia il suo oroscopo. Sembra paradossale eppure è la realtà! Perché? Perché l'uomo di oggi, così tanto sicuro di sé, ha ancora bisogno di queste cose?
Perché astrologia, cartomanzia, ideologie settarie e simili costituiscono la risposta più semplice e meno impegnativa ad una domanda che ciascuno di noi si porta nel cuore: chi o cosa c'è sopra di me?
Anche i più razionalisti non possono nascondere, almeno a se stessi, di avvertire, in fondo al cuore, la sensazione di una presenza trascendente, invisibile agli occhi, che sembra sfuggire, della quale però sappiamo di non poter fare a meno. C'è una risposta a questa domanda? C'è un modo per pacificare questa inquietudine? Sì, c'è, si chiama fede!
Ma cos'è la fede? Tanti dicono sia un dono e in effetti è così ma non è il premio di una lotteria che qualcuno ha vinto e qualcun altro no. La fede è un dono che è per tutti, nessuno escluso.
La fede è la relazione con Dio, una relazione intima e, come tutte le cose intime, difficile da descrivere, inconfondibile eppure anche inesprimibile.
Molti pensano che la fede sia una cosa difficile e ardua, faticosa e impegnativa, invece è semplice abbandono, è la decisione di fidarsi di Dio, di accoglierlo nella propria vita, di lasciarsi guidare da lui.
Come non pensare a sant'Agostino, un grande cercatore di Dio, un uomo così a lungo inquieto, un uomo convinto delle sue conoscenze e certezze ma anche pronto a metterle in discussione, assetato di Dio. Nelle confessioni dice "Tardi t’amai, bellezza così antica, così nuova, tardi t’amai! Ed ecco, tu eri dentro di me ed io fuori di me ti cercavo e mi gettavo deforme sulle belle forme della tua creazione… Tu hai chiamato e gridato, hai spezzato la mia sordità, hai brillato e balenato, hai dissipato la mia cecità, hai sparso la tua fragranza ed io respirai, ed ora anelo verso di te; ti ho gustata ed ora ho fame e sete, mi hai toccato, ed io arsi nel desiderio della tua pace."
Quante persone mi chiedono come si faccia ad avere più fede, come si possa credere, molti mi confessano di sforzarsi di provarci ma di non riuscirci. La lotta della fede non è mai con Dio, Egli non vede l'ora di donarsi a noi, di rivelarci la sua luce, la sua gioia, la sua pace. La lotta della fede è sempre con noi stessi, con le nostre certezze che non vogliamo lasciare, con le nostre paure che ci incatenano alle fragili sicurezze di questo mondo, che ci ingannano facendoci credere che possa esistere solo quello che possiamo vedere, toccare, controllare. Questa lotta, che tutti ci troviamo ad affrontare prima o poi, si vince solo scegliendo di cedere a ciò che ancora non conosciamo, a ciò che non ci è ancora stato rivelato. Questa lotta si vince solo scegliendo di fidarci di Dio, quel Dio che ci viene incontro nella nostra vita attraverso la testimonianza dei nostri fratelli, attraverso la guida della sua Chiesa.
Molte volte ho provato ad immaginare la mia vita senza la fede... non ci sono riuscito. Non riesco a pensare alla mia vita senza la certezza di non essere solo, senza la possibilità di guardare in alto, senza la serenità di sapere che la mia vita non dipende da me ma da colui che l'ha voluta, che mi ha amato da sempre, che ha dato la sua vita per me. Non riuscirei a vivere in un mondo in cui io sono l'inizio e la fine, mi sentirei in gabbia, schiacciato e oppresso.
Nel Vangelo i discepoli chiedono a Gesù "Aumenta la nostra fede", chiediamolo anche noi! Impariamo a ripetere tante volte al giorno "Gesù voglio credere in te, voglio fidarmi di te!" Se impariamo a ripetere questa semplicissima invocazione molte volte nella nostra giornata anche il cuore più duro, anche la mente più razionale, si scioglierà all'amore di Dio e la vita non sarà più la stessa e anche noi, come sant'Agostino e tanti altri avremo trovato il vero tesoro della nostra vita.

sabato 24 settembre 2016

La mia vita la decido io - Riflessione sul Vangelo di Domenica 25 settembre 2016

Alcuni anni fa andammo a vedere un film al cinema con alcuni amici, all'uscita un giornalista ci chiese cosa ci avesse colpito di più e, benché avessimo visto tutti lo stesso film, ognuno di noi diede una risposta diversa. Nulla di strano, quando guardiamo un film, assistiamo ad uno spettacolo o una conferenza, quando leggiamo un testo, ognuno di noi nota maggiormente alcuni particolari e meno altri. A volte però la nostra attenzione può essere così attratta da un determinato elemento da farci perdere il senso generale di ciò che abbiamo davanti.
Potremmo correre questo rischio con il Vangelo di questa domenica, la parabola del ricco e del povero Lazzaro. A prima vista, infatti, potremmo essere colpiti dalla disparità di possibilità economiche dei due protagonisti, potremmo essere indotti a pensare che l'argomento principale sia, ancora una volta, la ricchezza. Potremmo così trovarci a chiederci come mai il Signore ce l'abbia tanto con la ricchezza di questo mondo.
Il centro di questa parabola però non è la ricchezza ma la vita eterna.
Gesù vuole metterci in guardia, vuole portarci a riflettere: la nostra vita non si conclude su questa terra, non è fatta solo per i pochi anni che trascorriamo qui, è fatta per la vita eterna ma come sarà quella lo decidiamo noi ora.
Riguardiamo insieme gli elementi fondamentali della parabola.
Due uomini: un ricco che vive nel lusso più sfrenato, che ogni giorno si abbuffa a lauti banchetti e che non nota neppure la presenza dell'altro uomo, il povero Lazzaro che coperto di piaghe spera di poter mangiare almeno gli avanzi ma non gli vengono concessi neppure quelli. Entrambi muoiono e nell'aldilà la loro sorte è rovesciata: Lazzaro è accanto ad Abramo, il ricco è tormentato negli inferi. Notiamo che non c'è un giudizio che stabilisce la sorte dell'uno e dell'altro ma la loro nuova condizione è conseguenza della condotta che hanno avuto in vita. Perché questo contrappasso? Perché le cose debbano essere necessariamente rovesciate? Perché ciò che appartiene a questo mondo è quasi sempre ingannevole, è un'illusione, sembra saziarci, sembra soddisfarci ma non lo fa mai veramente. Quante volte ci siamo convinti di aver bisogno di qualcosa per essere felici e poi quando l'abbiamo avuta ci siamo resi conto di essere esattamente al punto di prima? Inoltre quando inseguiamo le cose di questo mondo, quando pensiamo solo a soddisfare i nostri capricci , senza che nemmeno ce ne accorgiamo, diventiamo ciechi alle necessità dei nostri fratelli, esistiamo solo noi, ci rinchiudiamo in una solitudine dettata dall'avidità e dall'avarizia.
La vita eterna, invece, è la vita in Dio, nella sua verità, lì cadono tutte le menzogne, le illusioni, gli inganni, non possiamo più fingere, non possiamo più cercare noi stessi perché la luce di Dio ci rivela che la nostra pienezza, che lo scopo della nostra vita è amare, donarsi, condividere. Davanti a questa verità chi ha scelto di pensare solo a se stesso si ritrova nel dilaniante tormento di aver compreso di aver sprecato tutto la propria vita. Il ricco si ritrova negli inferi perché il suo cuore non è più capace di amare e chi non sa amare non riesce a stare davanti a Dio che è amore.
Quale soluzione, dunque? Come possiamo evitare di ritrovarci anche noi con un cuore così indurito da non essere capace di alcuna compassione? Ascoltando la Parola di Dio, lasciandoci guidare da Lui a condividere quello che abbiamo con chi non ne ha, a saperci fare vicini a chi è più debole, a chi soffre, ad amare come Dio ama noi. Sembra un compito arduo e faticoso, in realtà si tratta solo di lasciare che lo Spirito Santo agisca in noi, dobbiamo solo abbassare le nostre difese, le nostre paure e il resto lo farà Lui. Gradualmente, con pazienza e delicatezza trasformerà il nostro cuore, ci renderà capaci di amare veramente, di riconoscere le sofferenze dei nostri fratelli e di farcene carico secondo le nostre possibilità. Impareremo che c'è molta più gioia nel condividere che nel tenere tutto per sé.

venerdì 16 settembre 2016

La ricchezza vera - Riflessione sul Vangelo di domenica 18 settembre 2016

Qualche giorno fa ho letto una notizia che mi ha fatto molto riflettere: quintali di prodotti agricoli sono stati distrutti perché eccedenti le quote stabilite dalla Comunità Europea. Non è certo la prima volta che leggo notizie simili, ricordiamo tutti alcuni anni fa le proteste sulle "quote latte". Davanti a tanto cibo sprecato e considerando quanti milioni di persone nel mondo ogni giorno soffrono la fame e ne muoiono anche, ho chiesto spiegazioni ad amici economisti e mi è stato risposto che sono misure necessarie per evitare svalutazioni dei prodotti, crescita dell'inflazione e altre conseguenze economiche. Forse la semplifico un po' troppo ma mi sembra di aver capito che l'Italia, uno dei Paesi più ricchi, distrugge il cibo per continuare a restare tale, uno dei Paesi più ricchi del mondo. Beninteso questa stessa cosa si fa anche nelle altre Nazioni! Che ricchezza e povertà esistano da quando esiste l'umanità non è certo un segreto, così come non è un segreto che la ricchezza sia la causa di ogni conflitto dall'alba dei tempi ad oggi. In molti hanno anche cercato di trovare soluzioni che diminuissero il divario tra ricchi e poveri, sono state elaborate ideologie di indirizzo diverso che sono poi diventate correnti politiche che hanno tentato di politicizzare l'economia ottenendo però il risultato opposto: oggi è l'economia che comanda anche sulla politica. 
Ma tutto questo cosa c'entra col Vangelo? Il Vangelo non parla solo di cose spirituali? 
Il Vangelo parla della nostra vita e alla nostra vita, dunque ci aiuta anche a riconoscere le menzogne e gli inganni del mondo, ci insegna a scegliere la verità e il bene, quello vero.
Nel Vangelo di questa domenica Gesù definisce la ricchezza di questo mondo disonesta. Parola forte che forse ci ferisce un po' perché quello che possediamo possiamo con serenità affermare di averlo guadagnato in piena onestà. Purtroppo però è tutto il sistema che è disonesto, che stabilisce da sé le proprie regole in modo che alcuni restino avvantaggiati a scapito degli altri. 
Per Gesù la ricchezza di questo mondo è disonesta perché nel disegno del Padre i beni di questo mondo sono per la sussistenza di tutti i suoi figli, non solo di alcuni. Tratteniamoci dalla tentazione di attribuire a Gesù ideologie che non gli appartengono e che sono decisamente successive alla sua predicazione e cerchiamo invece di capire cosa vuole indicarci.
Posto che la ricchezza è disonesta e più di tanto non possiamo fare per evitarlo, cerchiamo per lo meno di usarla bene, cerchiamo di fare in modo di gestirla secondo quello che era il disegno originale, impariamo a condividerla con chi ne è privo. Con attenzione, nei modi giusti, curando che quanto diamo sia davvero utile a ci riceve. Gesù ci invita a condividere nella carità: dividere cioè quello che è in nostro possesso con il fratello che ha bisogno non per tacitarci la coscienza ma per amore del fratello, provvedendogli quanto gli serve, non per soddisfarne capricci o per assecondarne vizi, ma per alleviarne le sofferenze. 
Viene però da chiedersi se sia davvero così necessario, se sia proprio indispensabile. Se vogliamo la vita eterna lo è! Non perché Dio voglia punirci se abbiamo tenuto tutto per noi ma perché la vita eterna è piena condivisione, piena comunione d'amore. Se non iniziamo a vivere da oggi questa comunione, se non iniziamo da ora a riconoscere in chi abbiamo davanti un fratello da amare non saremo capaci di entrare nel Regno di Dio, se non impariamo ora a condividere non saremo capaci di condividere un giorno la gioia del Paradiso. 
L'unica vera ricchezza della nostra vita non è il denaro ma l'amore, di quello dobbiamo arricchirci condividendo ciò che abbiamo con i fratelli che il Signore ci mette accanto ogni giorno.

sabato 10 settembre 2016

Misericordiosi come il Padre - Riflessione sul Vangelo di domenica 11 settembre 2016

Quando, poco più di un anno fa, Papa Francesco ha iniziato a parlare di Giubileo della Misericordia, alcuni hanno cominciato subito a chiedersi se fosse davvero così necessario, se servisse veramente fermarsi per un intero anno a meditare sulla misericordia di Dio.
Io penso che basti guardarsi intorno, sfogliare i giornali, ascoltare le notizie o anche solo fare la fila alla posta o al supermercato, per capire che la nostra società, che tutti noi abbiamo bisogno di misericordia. Abbiamo bisogno di scoprirci "misericordiati" (come dice il Papa) e abbiamo bisogno di imparare ad avere misericordia.
Il Vangelo di questa domenica è un concentrato di misericordia, è il capitolo del Vangelo di Luca che raccoglie le tre parabole della misericordia: la pecora smarrita, la moneta perduta, il figlio prodigo. Tutte parabole che conosciamo benissimo, che abbiamo ascoltato molte volte, che forse sappiamo anche a memoria. ma che, come una gemma preziosissima, ci svelano continuamente nuove sfumature, continuano ad essere strumento prezioso con cui il Signore parla alla nostra vita.
Papa Francesco ha voluto dare a questo Giubileo della Misericordia un motto "Misericordiosi come il Padre" dobbiamo cioè imparare dal Padre ad essere misericordiosi. Soffermiamo dunque la nostra attenzione proprio sugli atteggiamenti del Padre che Gesù mette in luce con queste tre parabole.
A me colpiscono due aspetti. Innanzi tutto il Padre non è fermo, statico, non resta in attesa del nostro ritorno, è lui a muoversi, a cercarci, a venirci incontro. Il pastore si mette in cerca della pecora smarrita, la donna spazza la casa, il padre corre incontro al figlio prodigo che ritorna. Dio non si dà mai per vinto, non si rassegna mai quando ci siamo allontanati da lui, continua a cercarci, a venirci incontro, a desiderare con tutto se stesso di poterci riabbracciare. Non ci rimprovera, non ci sgrida, non ci fa la ramanzina, anzi ci carica sulle sue spalle, si prende cura di noi, ci ridona dignità, pace, serenità.
Ci sono tante persone che vivono schiacciate da sensi di colpa, magari perché nella vita hanno commesso errori, hanno fatto peccati gravi, di cui si vergognano e di cui non sanno trovare la forza di perdonarsi. Capita che vengano a celebrare la Riconciliazione e vogliano confessare per l'ennesima volta quel peccato così doloroso. Non è il perdono di Dio che cercano ma il proprio. In fondo al cuore sanno che veramente Dio le ha già perdonate ma sono loro a non saper perdonare se stesse.
In queste tre parabole non c'è il minimo accenno a un qualunque tipo di rimprovero, di accusa, perché Dio non rimprovera né accusa, Dio accoglie e fa festa.
Ecco il secondo grande elemento: la gioia, la festa. Dio è felice quando può perdonarci, quando ci lasciamo trovare, quando ci lasciamo abbracciare e coccolare da lui. Fa festa, una festa per noi, una festa in cui la nostra vita così segnata dal male e dal peccato, così schiacciata dal dolore e dalla colpa, può finalmente tornare a gioire, ad essere così come era stata pensata. Essere "misericordiati"è esattamente questo.
Dobbiamo poi imparare anche noi ad essere misericordiosi, lasciamo da parte le accuse, i giudizi, le critiche, così spesso inquinate da invidia, risentimento, vendetta. Quando qualcuno ci fa del male, prima di reagire cerchiamo di avere compassione, prima di allontanare cerchiamo di accogliere, prima di rispondere con la stessa moneta cerchiamo di perdonare, sempre e comunque, anche quando l'altro non è pentito, anche quando sembra ostinarsi nel male.
Chiediamo al Signore che renda il nostro cuore desideroso di misericordia, ricevuta e donata, senza condizioni, senza paure. Forse potrebbe sembrare un atteggiamento da perdenti, da chi si tira indietro, no, è essere misericordiosi come il Padre e provare così la sua stessa gioia.

sabato 3 settembre 2016

Esigenza d'amore - Riflessione sul Vangelo di domenica 4 settembre 2016

Davanti ad alcune pagine di Vangelo d'istinto ci potrebbe venire da chiederci "ma quel giorno Gesù si era alzato male?". Tutti abbiamo le nostre giornate no, quelle in cui siamo un po' più suscettibili e un po' più nervosi ed esigenti. Così ci viene da pensare che forse anche il Signore ha passato giornate così e forse proprio in quelle ha fatto discorsi che siamo disposti ad accogliere solo con molta fatica.
È forse il caso della pagina di Vangelo di questa domenica: prima Gesù afferma chiaro e tondo che se vogliamo essere suoi discepoli dobbiamo amare lui più di ogni altro, più dei genitori, più dei figli, dei fratelli e perfino più della nostra stessa vita. Aggiunge poi una seconda clausola: prendere la propria croce e seguirlo. Se poi avessimo ancora dei dubbi ci avverte con una parabola di valutare bene prima di fare scelte che poi non possiamo portare a termine. "Gesù ti preferivo quando parlavi di pace e accoglienza!" Ci viene da dire.
Attenzione! Ricordiamo sempre che c'è una sola cosa che sta a cuore al Signore Gesù: la nostra salvezza! E ce l'ha così a cuore che si è fatto inchiodare a una croce! Ricordiamo anche che non cerca di complicarci la vita, quello siamo bravissimi a farlo da soli, al contrario, vuole semplificarcela, facendoci riconoscere i nostri errori.
Proviamo allora a leggere in quest'ottica questa difficile pagina di Vangelo.
Nella vita ciascuno di noi ha delle persone che ama più delle altre, quasi sempre sono gli affetti familiari, quelli con cui abbiamo legami di sangue, quelli con cui abbiamo trascorso la maggior parte della nostra vita, che si sono presi cura di noi, di cui noi ci siamo presi cura. Amare queste persone è per noi del tutto naturale, ma le amiamo di un amore terreno spesso fragile, incompleto. A volte ci accorgiamo di non essere capaci di amare come vorremmo, che vorremmo poter fare di più perché intuiamo che è in un amore senza limiti che possiamo trovare tutta la nostra gioia e pienezza.
Quando Gesù ci dice "Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo." ci sta offrendo proprio la possibilità di amare le persone a noi più care, ma anche tutte le altre che incontriamo ogni giorno sul nostro cammino, in un modo nuovo, come lui ha amato noi, donando se stesso e insegnando a noi a fare lo stesso.
Ecco allora che la croce non è uno strumento di tortura, quando Gesù ci dice: "Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo" non ci sta invitando a scegliere un modo per soffrire, ci sta indicando il luogo per amare pienamente. La croce di Gesù non è il simbolo della sua sofferenza ma il luogo del suo amore pieno e totale. La croce della nostra vita non è qualunque cosa ci faccia male, è invece quella situazione, quell'ambito, della nostra vita in cui dobbiamo rinunciare a noi stessi per amore degli altri. Nella croce, così come la intente Gesù, c'è si sofferenza ma c'è soprattutto amore, amore puro, amore donato. È croce il sonno di una mamma che si alza alle tre del mattino nutrire il figlio neonato, è croce la stanchezza di un padre che va al lavoro per provvedere alle necessità della famiglia, è croce la fatica e lo sforzo di un giovane che studia perché vuole dare il suo contributo a rendere il mondo un posto migliore, è croce l'impegno di un catechista che vuole annunciare Cristo ai bambini che gli sono affidati.
Ecco, in questa prospettiva la pagina di Vangelo di questa domenica cambia molto! Gesù non è arrabbiato o scocciato, non è severo perché pretende perfezione, è esigente perché l'amore è di sua natura esigente!

sabato 23 luglio 2016

Preghiera: un abbraccio fiducioso - Riflessione sul Vangelo di Domenica 24 luglio 2016

Sant'Agostino sostiene che in ciascuno di noi c'è un anelito, un desiderio, una nostalgia di Dio, in tutti! Anche in quanti si professano atei convinti! Quante volte mi è capitato di incontrare persone che non mettevano piede in chiesa da decenni ma che, trovandosi ad affrontare problemi o dolori molto grandi, hanno sentito il bisogno di pregare, di affidarsi a qualcuno, di provare a credere che la nostra vita non è gettata per caso in questo mondo ma è amata, custodita, difesa. È vero che molti tornano in chiesa quando hanno paura di morire o non sanno più come tirare avanti, è vero che sembra un po' troppo comodo un tale comportamento e forse alla maggior parte di noi appare opportunistico.
Dio però non la pensa così! Dio è un Padre che ama tutti i suoi figli, anche quelli che non si fanno sentire da tanto tempo e quando si rifanno vivi hanno bisogno di qualcosa. Dio è un Padre tenerissimo che non tiene conto dei nostri peccati pur di riabbracciarci, pur di potersi ancora prendere cura di noi.
Tutti noi da bambini abbiamo imparato alcune preghiere: il Padre nostro, l'Ave Maria, l'Angelo di Dio, magari le nostre nonne ci hanno insegnato qualche piccola giaculatoria (quelle preghiere brevi, spesso in rima, da ripetere spesso). Abbiamo imparato che la preghiera è un dovere per un buon cristiano, che è il modo con cui chiediamo a Dio che si occupi delle nostre difficoltà. Purtroppo il risultato di questo genere di educazione è che la nostra preghiera assomiglia a una domanda in carta bollata da presentare allo sportello dell'ufficio richieste del Comune.
La preghiera però è tutt'altro! È questione di fiducia!
La preghiera è l'abbandono fiducioso nelle braccia del Padre. Quando i discepoli hanno chiesto a Gesù di insegnare loro a pregare Gesù ha insegnato il Padre nostro. San Francesco non riusciva ad andare oltre la parola Padre perché poter chiamare Dio Padre gli causava una gioia così grande che no riusciva a dire altro.
Non pensiamo alla preghiera come una richiesta ma come un'abbandonarci con fiducia nell'abbraccio del Padre e lì, quando siamo faccia a faccia, anzi guancia a guancia con Lui, sussurrargli all'orecchio le nostre preoccupazioni, i nostri dolori, le nostre ansie. Il Padre non mancherà di consolarci, di sostenerci, di rasserenarci. "Ci penso io" ci dirà con tenerezza e fermezza.
Quante volte nella preghiera ci troviamo a chiedere cose che non ci servono veramente, avanziamo richieste dettate dalle nostre paure e dalle nostre ansie. Quando, invece, vivremo la preghiera come un'intimità fiduciosa col Padre ecco che non chiederemo più nulla che non ci sia davvero necessario perché sapremo che Egli provvede tutto ciò che ci serve.
Quando sapremo abbandonarci fiduciosi nelle braccia del Padre comprenderemo che uno solo è il vero desiderio del nostro cuore: lo Spirito Santo, essere abitati dall'Amore di Dio, diventare un tutt'uno con Lui affinché sia la nostra luce, la nostra forza, la nostra pace.
In questo tempo estivo cerchiamo dei tempi di intimità col Padre, ritagliamoci qualche tempo di silenzio e di tranquillità per abbandonarci nel suo abbraccio e sperimentare tutta la dolcezza del suo amore per noi.

sabato 16 luglio 2016

Il tempo più prezioso - Riflessione sul Vangelo di domenica 17 luglio 2016

Negli anni trascorsi al Pontificio Seminario Romano Maggiore il periodo più intenso e impegnativo era quello della festa della Madonna della Fiducia, nostra patrona. La mattina veniva celebrata la Messa solenne, presieduta dal Cardinal Vicario e concelebrata da tanti Vescovi e sacerdoti ex alunni, seguiva poi un pranzo a cui erano invitate sempre almeno duecentocinquanta persone, nel pomeriggio ricevevamo la visita del Papa che poi si fermava a cena. Già nei giorni precedenti i preparativi fervevano: tutto veniva tirato a lucido, dalla fioreria vaticana arrivavano le piante per abbellire corridoi e scaloni, per le celebrazioni si preparavano i paramenti e i vasi sacri più belli e preziosi, il refettorio veniva apparecchiato con i servizi decorati, le posate preziose, i bicchieri di cristallo. Era un gran lavoro che coinvolgeva tutta la comunità. Ci tenevamo a far tutto bene, non per fare bella figura, ma perché con l'attenzione e la cura nel preparare tutte le cose più belle intendevamo dimostrare sia che quella era per noi una festa importante sia il rispetto e l'affetto per tutti gli ospiti.
Quello che accadeva in Seminario penso accada anche in ogni nostra casa: quando viene a trovarci qualcuno a cui teniamo particolarmente gli dimostriamo il nostro affetto anche attraverso un'apparecchiamento diverso dal solito, con piatti più prelibati, facendo attenzione che tutto sia pulito e in ordine.
Nella pagina di Vangelo di questa domenica Marta e Maria, due sorelle, accolgono in casa Gesù. La prima si dà subito un gran daffare per preparare tutto l'occorrente per il pranzo, per servire il Maestro, la seconda invece si siede e ascolta le parole del Signore. Ben sappiamo che Marta viene poi a lamentarsi con Gesù per il comportamento della sorella ricevendone, però, una risposta spiazzante: lei si è scelta la parte migliore. Maria ha scelto di non affannarsi in tanti servizi, ha capito che in quel momento l'unica cosa importante era ascoltare il Signore Gesù, che tutto il resto poteva attendere. Marta, dal canto suo, non si stava facendo gli affari propri, si stava preoccupando di servire al meglio Gesù.
Quante volte anche noi ci troviamo in questa situazione, quante volte anche noi vogliamo poter fare qualcosa per servire il Signore. Ci inventiamo servizi, volontariati, impegni, facciamo progetti e proposte, tutti con una buona intenzione, sempre con l'idea di fare qualcosa per Gesù. Ma quanto tempo della nostra giornata è dedicato all'ascolto del Signore, della sua Parola? Quando partecipiamo alla Messa, quanto stiamo ad ascoltare o quanto, invece, continuiamo a pensare alle cose da fare?
La parte migliore è quella che viviamo ai piedi di Gesù, è il tempo che dedichiamo alla preghiera e all'ascolto della sua parola. Solo da quella parte migliore sgorgano poi le attività, altrimenti tutto diventa solo attivismo. Questo Vangelo ci viene annunciato nel tempo più propizio, il tempo estivo in cui tutti abbiamo meno impegni. Cogliamo l'occasione, e scegliamo di sederci ai piedi di Gesù per un po' di tempo ogni giorno. Prendiamo il Vangelo e ascoltiamo il Signore che parla alla nostra vita, che ci dà una direzione, che ci ispira servizi e progetti secondo la sua volontà. Ammalati di efficientismo da questa società che considera solo il profitto, inconsciamente pensiamo che il tempo dedicato alla preghiera e alla meditazione della Parola di Dio sia tempo perso, infruttuoso. La preghiera non è l'ultima cosa ma la prima, un discepolo del Signore prima di fare ogni cosa dovrebbe fermarsi a pregare e ad ascoltare il Signore che gli parla e solo dopo agire.
Impariamo anche noi da Maria a scegliere la parte migliore che non ci sarà tolta, scopriremo che quest'intimità col Signore Gesù nell'ascolto della sua Parola è ciò che colma di pace, di serenità, difiducia e gioia tutta la nostra vita.

sabato 9 luglio 2016

Un cuore che si dà da fare - Riflessione sul Vangelo di domenica 10 luglio 2016

Ci sono alcune pagine del Vangelo che sono diventate così famose da essere entrate anche nei modi di dire. È il caso della parabola del Buon Samaritano che ascoltiamo questa domenica. Attenzione però, proprio perché la conosciamo bene non lasciamoci distrarre, permettiamo al Signore di dirci qualcosa di nuovo anche questa volta.
Alla domanda di un dottore della Legge che chiede cosa fare per avere in eredità la vita eterna la risposta di Gesù è molto chiara: applicare il comandamento dell'amore, amare Dio con tutto se stessi e il prossimo come se stessi. Detto così sembra semplice ma è anche un po' troppo teorico, che significa amare il prossimo come se stessi? Per rispondere a questa domanda Gesù racconta la celebre parabola. Abituati a parlare di "buon samaritano" inconsciamente diamo tutti per scontato che il sacerdote e il levita, che passano accanto all'uomo malmenato senza fermarsi, siano malvagi, ipocriti e spietati. Ma qual è la vera differenza tra loro e il samaritano. Ciò che salta subito agli occhi è il modo di comportarsi davanti al poveretto incappato nei briganti: i primi due passano oltre, il terzo si ferma e se ne prende cura. Questa però è solo la differenza più evidente, ce n'è un'altra molto più importante che è alla base dei diversi comportamenti dei personaggi. I primi due vedono e passano oltre, non si lasciano coinvolgere dalla situazione del poveretto, non provano nulla per lui, continuano a pensare ai propri affari, mettono i propri interessi al di sopra della salute del pover'uomo ferito. Se si fossero fermati a soccorrerlo si sarebbero contaminati con il sangue e non avrebbero potuto svolgere le loro funzioni sacerdotali e levitiche. Restano indifferenti o, comunque, i loro affari hanno un'importanza maggiore.
Il samaritano, invece, vede l'uomo malmenato e ne prova compassione, si lascia commuovere dalla sua condizione, comprende che la vita di quel poveretto è in pericolo e la mette al primo posto delle sue priorità per cui se ne prende cura nel modo che ben conosciamo.
Ecco la differenza tra i primi due e il buon samaritano è tutta nel cuore, quest'ultimo ha un cuore capace di provare compassione, di amare visceralmente, di sentire il dolore dell'altro, che lo porta poi a mettersi in gioco, a darsi da fare, a non tirare dritto ma a prendersi cura.
È chiaro che questa parabola Gesù non l'ha raccontata solo per il dottore della legge, l'ha raccontata anche per noi, interroga anche noi. Come  il mio cuore? È capace di compassione? Sa riconoscere il dolore dell'altro per poi darsi da fare?
Se a queste domande avete avvertito un senso di angoscia e vorreste smettere di leggere, non preoccupatevi, è del tutto normale. Sì, perché l'amore, quello vero, fa paura a tutti proprio perché ci interpella, ci spinge a sporcarci le mani, a lasciare le nostre comodità, ci rende vulnerabili, ci porta ad esporre la parte più fragile di noi: il nostro cuore. Dobbiamo però vincere questa paura di poter soffrire, di esporci, di affezionarci, di voler bene a qualcun altro. Certo, il rischio lo correremo sempre, ogni volta che sceglieremo di amare qualcuno ci esporremo anche alla possibilità della delusione e del dolore ma finalmente il nostro cuore potrà fare ciò per cui è stato creato: amare!
Il nostro cuore, però, è spesso indurito, rattrappito su se stesso, amare gli altri ci resta molto difficile, non sappiamo come fare… Ma Gesù ci ha ben indicato come imparare ad amare: lasciandoci amare da Dio e amandolo con tutto noi stessi. Con pazienza e semplicità mettiamoci davanti al Signore e diciamogli “Signore, ho deciso di amarti con tutto me stesso, il mio cuore però non è molto capace di amare, insegnami tu, donami il tuo Spirito, accenda in me il fuoco dell’Amore vero!”
All’inizio sarà faticoso ma, piano piano, vedrete il vostro cuore rifiorire, scoprirete di saper voler bene anche alle persone non molto simpatiche e poi anche a quelle che vi hanno fatto del male. Vedrete che non potrete fare a meno di prendervi cura di chi soffre accanto a voi e proprio in questo, proprio in ciò che una volta vi faceva paura, troverete la vostra gioia.

sabato 2 luglio 2016

Fidarsi di chi non delude mai - Riflessione sul Vangelo di domenica 3 luglio 2016

Nei giorni scorsi è comparsa su molti siti internet e molti social network la foto di una monaca carmelitana, suor Cecilia Maria, argentina, morta il 22 giugno scorso di un cancro alla lingua che ha poi intaccato i polmoni. La foto ha avuto tanto seguito perché ritrae suor Cecilia sul letto d'ospedale nei suoi ultimi giorni con un sorriso sul volto che infonde serenità solo a guardarlo. Come è possibile? Come può una donna di 43 anni a pochi giorni dalla sua morte, quando ormai la sua fine è segnata, straziata da dolori terribili, sorridere con tanta serenità e dolcezza? Cosa la rendeva così felice?
Suor Cecilia era così serena e felice perché aveva capito pienamente la frase con cui si conclude il Vangelo di questa domenica "gioite perché i vostri nomi sono scritti nel cielo". Suor Cecilia aveva scelto di seguire il Signore Gesù, di accogliere la sua chiamata, aveva scelto una vita che molti oggi reputano assurda e inutile: la clausura. Aveva scelto una vita di preghiera dopo aver rinunciato a tutto il resto, aveva scelto una vita di sobrietà, di essenzialità, aveva scelto di lasciare tutto il superfluo per potersi dedicare all'unico che poteva dare senso alla sua vita, colui che aveva scelto come suo Sposo, il Signore Gesù.
Come suor Cecilia ci sono tante persone che hanno scelto di fidarsi del Signore, di seguire la sua volontà, di annunciare la sua Parola, di fidarsi della sua provvidenza e sul loro volto c'è la gioia, c'è la serenità. Anche loro affrontano difficoltà e problemi, anche loro devono sopportare sofferenze e malattie, ma tutto fanno con una consapevolezza fondamentale: che i loro nomi sono scritti in cielo. Sanno che la loro vita non è fatta solo per questo mondo, che quello che stiamo compiendo qui è solo un pellegrinaggio, un cammino che ci riporta alla nostra vera patria, il cielo, per l'appunto.
Perché non proviamo anche noi? Anche i nostri nomi sono scritti in cielo! Anche per noi il Signore ha preparato un posto, anche noi siamo amati di un amore infinito ed eterno, un amore che ha già sconfitto ogni dolore, ogni pericolo, ogni problema, persino la morte! Non abbiamo davvero più nulla da temere perché non siamo soli! La paura che ognuno di noi prova davanti alle difficoltà della vita nasce nella solitudine in cui spesso ci troviamo. Abbiamo attorno a noi tante persone ma nel cuore pensiamo che non possano capirci fino in fondo, spesso abbiamo vergogna di confidare i nostri timori, le nostre fragilità e debolezze, così ci chiudiamo in noi stessi e ci sentiamo soli. I nostri nomi sono scritti nel cielo!!! C'è un Padre che ha scritto il nostro nome, che ci conosce, che ci ama, che non si dimentica di noi, che ci provvede quanto abbiamo bisogno, senza mai farci mancare nulla. Dobbiamo solo vincere la nostra paura a lasciarci andare, a lasciarci coinvolgere al suo amore, a mettere da parte le nostre convinzioni, le nostre certezze e le nostre comodità per seguire il Signore, per annunciare la sua Parola, per essere strumenti della sua grazia.
Vorrei poter dire di più, vorrei poter trovare argomenti convincenti, ma solo provando si può capire quanto grande sia la gioia che il Signore Gesù vuole donare a ciascuno di noi. Una sola cosa posso dirvi, ho incontrato tante persone che hanno fatto la scelta di fidarsi completamente di Gesù, in nessuno di loro ho mai trovato tristezza o delusione, Gesù non delude mai, non vuole la nostra tristezza ma la nostra gioia, a qualunque età e in qualunque condizione ci troviamo, basta fidarsi di lui per scoprire quanto è bello avere il proprio nome scritto nel cielo.

sabato 25 giugno 2016

Rinunciare a poco per avere tutto - Riflessione sul Vangelo di domenica 26 giugno 2016

Tra qualche settimana inizieranno le Olimpiadi e gli atleti che gareggeranno già da molto tempo sono impegnati con gli allenamenti. Per poter gareggiare e vincere la tanto desiderata medaglia d'oro, devono ora allenarsi intensamente e tutta la loro vita deve essere regolata per portarli alla migliore forma fisica. Si trovano così a rinunciare a tante cose, devono tenere una certa alimentazione e non possono nemmeno avvicinarsi a determinati cibi, devono riposare molto e non possono fare tardi la sera. Per raggiungere quella medaglia devono, insomma, saper rinunciare a tante cose. Ma in questo momento anche i ragazzi che hanno finito le scuole superiori si trovano in una situazione simile: per poter passare l'esame di maturità devono trascorrere molto tempo a studiare, devono andare a dormire presto, devono rinunciare per un po' ad uscire con gli amici o ad andare al mare.
Nella vita questo ci succede spesso, ogni volta che ci troviamo davanti a qualcosa di molto importante dobbiamo anche saper fare delle scelte, dobbiamo saper rinunciare ad alcune cose che in sé sono anche buone ma che sarebbero di ostacolo. Lo facciamo per conseguire un titolo di studio, per vincere una gara, per un lavoro importante, lo facciamo per la famiglia, per crescere i figli. Le rinunce nella nostra vita sono molto più frequenti e quotidiane di quanto spesso non pensiamo.
Anche la vita di fede chiede delle rinunce per essere vissuta a pieno. Scegliere di vivere pienamente la chiamata ad essere parte del Regno di Dio mi chiede di lasciare alcune cose, che in sé sono anche buone ma che possono diventare distrazioni.
Nel Vangelo di questa domenica Gesù è molto chiaro, molto netto, usa termini molto precisi che possono spaventarci un po'. Ci chiede di saper rinunciare a tutto, di "lasciare che i morti seppelliscano i loro morti", di "mettere mano all'aratro senza voltarsi indietro" e così via. La chiamata di Gesù è una chiamata esigente che chiede di mettere il Regno di Dio al primo posto nella vita, anche al di sopra degli affetti più vicini.
Abitualmente ce la caviamo riservando queste richieste così alte a preti e suore ma non v'è dubbio che queste richieste Gesù le rivolga a tutti coloro che vogliono seguirlo davvero.
Ma si può scegliere di vivere così? Può, oggi, un laico, padre o madre di famiglia, con un lavoro, con impegni vari, mettere il Regno di Dio al di sopra di ogni altra cosa? Se Gesù ce lo propone significa che è possibile, non solo ma che è proprio scegliendo di vivere così che troveremo la nostra gioia. Forse è proprio questo il punto: abbiamo paura che scegliere di seguire veramente il Signore Gesù sia una cosa faticosa e triste. Nella mia vita ho avuto la grazia di incontrare molte persone che hanno accolto seriamente l'invito di Gesù, tanti laici, padri e madri di famiglia, impegnati nel lavoro e nell'educazione dei figli, che però hanno deciso di mettere al primo posto il Regno di Dio. Nei loro occhi ho sempre visto la gioia, anche nelle difficoltà e nei momenti più difficili, perché sanno di non essere soli. Il cammino che il Signore ci propone non è una spedizione in solitaria, non è qualcosa che dobbiamo inventarci da soli, è sempre un atto ecclesiale, ci chiama a seguirlo in una comunità, sia la nostra parrocchia, un movimento ecclesiale, un gruppo diocesano. Le persone che il Signore mi mette accanto non sono semplici compagni di viaggio, diventano fratelli e sorelle, ci si scopre legati da vincoli ben più forti di una semplice amicizia, si comprende che donare la vita al Signore è condividerla con chi abbiamo accanto e trovarla impreziosita e illuminata.
Annunciare il Regno di Dio, come ci chiede Gesù questa domenica, non è un impegno gravoso ma la possibilità di fare della mia vita uno strumento prezioso attraverso cui il Signore possa entrare nella vita delle persone che incontro ogni giorno per salvarli. Dovremmo provare, allora, ad accantonare le nostre paure e i nostri attaccamenti alle comodità e scegliere di fidarci di Gesù, dirgli il nostro sì, temiamo di perderci ma abbiamo invece solo da guadagnarci.

venerdì 17 giugno 2016

Il desiderio più grande - Riflessione sul Vangelo di domenica 19 giugno 2016

Sta arrivando l'estate e con essa il tempo delle vacanze. Tutti le aspettiamo, le desideriamo come un tempo in cui finalmente staccare un po' dal ritmo frenetico dei mesi invernali. La nostra vita è sempre presa da tanti impegni per inseguire le nostre aspirazioni, cerchiamo sempre modi nuovi per ottimizzare i tempi, per far in modo che non vada sprecato nemmeno un minuto della nostra vita, alla ricerca di ciò che può soddisfare la nostra sete di soddisfazione, la nostra sete di senso.
Ciascuno di noi ha nel cuore un desiderio di pienezza e ciascuno la cerca attorno a sé, spesso guardiamo agli altri, a chi abbiamo accanto e ci troviamo a desiderare ciò che hanno gli altri: un determinato lavoro, una casa fatta in un certo modo, determinate amicizie. Quasi sempre, però, quando otteniamo quello che desideriamo non ci troviamo quella soddisfazione che ci aspettavamo.
Come si fa, allora, ad avere una vita che abbia senso, che dia al nostro cuore quella soddisfazione che cerca?  Possiamo seguire i nostri desideri o ci condurranno verso vicoli ciechi?
Sì, possiamo seguire i nostri desideri purché siano quelli più profondi del nostro cuore, non i nostri capricci e le nostre pulsioni che invece si ingannano e ci portano a cercare cose che non ci soddisferanno mai completamente.
Non ci sono persone più felici dei santi e non hanno fatto altro che ascoltare il desiderio più profondo del loro cuore, il desiderio d'amore, un amore grande, pieno, donato. Ognuno a modo suo ha seguito quel richiamo a vivere d'amore, ha seguito la strada che il Signore gli ha tracciato davanti, una strada in cui spendere completamente la loro vita per amore degli altri e in questo hanno trovato la loro gioia.
Nel vangelo di questa domenica Gesù annuncia ai suoi discepoli la sua passione, precisando che dovrà essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi e per questo essere ucciso. Gesù sa che il suo compito di annunciare la salvezza di Dio lo porterà a scontrarsi con i capi del popolo di Israele, ma sa anche che l'umanità intera ha bisogno di questo annuncio di salvezza, ha bisogno di sapere che ha un Padre che ama ogni uomo, ha bisogno di sapere che la vita non è una semplice parentesi ma che tutti siamo fatti per la vita eterna. È per amore di ciascuno di noi che Gesù sceglie di continuare il suo cammino verso Gerusalemme, di annunciare la misericordia del Padre, di far sperimentare, nei suoi gesti e nei miracoli, la tenerezza di Dio. La passione di Gesù non è solo un grande atto di sofferenza ma è innanzi tutto un grande atto d'amore. Gesù ha scelto di amare ciascuno di noi più della sua stessa vita e così ha tracciato davanti a noi una strada, quella della nostra felicità.
Appare più che paradossale che la nostra gioia debba passare attraverso ciò che istintivamente tutti vorremmo fuggire: la sofferenza, il dolore, il rifiuto, la negazione di noi stessi. Ci appare paradossale se concentriamo la nostra attenzione su questi elementi, se, invece, consideriamo il desiderio profondo del nostro cuore, desiderio di condivisione, di amore, di dono di sé. I santi hanno fatto proprio questo, hanno seguito quel desiderio profondo del cuore, non si sono fermati a considerare ciò che avrebbero perso ma ciò che avrebbero guadagnato, non hanno cercato di soddisfare se stessi ma di amare gli altri, non hanno lasciato vincere la paura ma hanno fatto vincere l'amore e hanno trovato la loro gioia. L'obiezione potrebbe essere,ora, "ma loro sono santi, io no!" Eppure nessuno di noi ha ricevuto meno grazia, meno amore di loro. Ogni giorno il Signore ci colma del suo amore, della sua grazia, ci fornisce tutto ciò che ci è necessario per poter anche noi scegliere di vivere la nostra vita spendendola nell'amare i fratelli. Non ci resta che seguire, come la luce di un faro, quel desiderio profondo di amore che c'è nel nostro cuore e vivere come ha vissuto Gesù amando fino alla fine, lì troveremo quella gioia che tanto cerchiamo.

sabato 4 giugno 2016

Amore che consola - Riflessione sul Vangelo di domenica 5 giugno 2016

Ascoltando le confessioni, le confidenze, gli sfoghi di tante persone ho compreso da tempo che nella vita di ciascuno di noi arriva il momento in cui ci sembra che tutto ci crolli addosso, ci troviamo privati delle poche sicurezze che avevamo, degli affetti e, sebbene siamo circondati di tante persone, ci sentiamo soli, la nostra vita sembra un corteo funebre verso la tomba.
In questa condizione si trovava la vedova di Nain del Vangelo di questa domenica mentre portava al cimitero il cadavere del suo unico figlio. Sola, privata dell'unico affetto che le era rimasto, privata anche dell'unico che potesse garantirle dei diritti, che potesse prendersi cura di lei. Tutto cambia, però, quando il Signore Gesù incrocia la sua strada, ne prova grande compassione, la consola e la invita a non piangere, tocca la bara del figlio, lo fa tornare in vita e lo restituisce alla madre. Tutti i presenti restano profondamente stupiti e meravigliati e glorificano Dio, riconoscendo in Gesù Dio stesso che visita il suo popolo.
Anche noi restiamo stupiti davanti al racconto di questo miracolo, poi però ci troviamo a pensare che non è sempre così, che ogni giorno nel mondo ci sono madri vedove che portano il figlio al cimitero, che ogni giorno c'è tanta gente che soffre e non riceve miracoli. Tanta gente buona! Sì, perché che la gente cattiva soffra ci sembra quasi giusto, ma che debba soffrire un innocente, una persona buona, non ci sembra giusto. Così ci troviamo a chiedere: perché, Signore? Perché alcuni ricevono il miracolo e altri no?
Non ci accorgiamo che l'errore è proprio nella domanda, anzi, nella prospettiva in cui facciamo una domanda del genere. Chiedere perché? è molto umano ma anche molto terreno, è centrare tutta la nostra attenzione su una soddisfazione immediata dei nostri bisogni. Puntiamo tutta l'attenzione sul fatto che il ragazzo sia tornato in vita e non ci concentriamo sulla cosa più importante: la grande compassione del Signore Gesù!
Ciò che è veramente importante in questo episodio non è il miracolo ma l'amore del Signore Gesù che comprende profondamente, visceralmente, il dolore di questa donna, che la consola, le si fa vicino, non tiene conto delle convenzioni sociali e religiose secondo cui non avrebbe dovuto toccare la bara per non contaminarsi. Al Signore Gesù interessa una sola cosa: consolare la donna.
Noi guardiamo al figlio che torna alla vita perché continuiamo a considerare le cose dal punto di vista terreno, perché consideriamo ancora solo la nostra vita su questa terra e non ragioniamo nei termini della vita eterna. Se però cerchiamo di pensare che la nostra vita non si conclude con la tomba, che la nostra vera patria è nei Cieli, ci rendiamo conto che ciò che conta non è quanti anni trascorriamo su questa terra ma quanto amiamo il Signore Gesù, quanto ci lasciamo amare da Lui.
Nelle difficoltà della vita, nelle sofferenze, non chiediamo al Signore che ce le tolga ma lasciamoci consolare da Lui, l'unico miracolo che dobbiamo cercare, attendere, desiderare è il suo amore misericordioso. Che poi i nostri guai si risolvano come vogliamo noi o no è del tutto secondario, ciò che conta davvero è che il Signore è accanto a noi, ci consola e sostiene, ci ama di amore infinito.
Non è un passaggio semplice, non è facile smettere di ragionare in termini terreni e iniziare a ragionare in termini di vita eterna ma questa è la vera conversione, il cambiare modo di pensare.
In questo anno della misericordia la Chiesa ci invita a contemplare proprio l'amore misericordioso del Padre per ciascuno di noi che si è fatto accanto a noi in Cristo Gesù, morto e risorto per noi. Non perdiamo questa occasione preziosa e in ogni difficoltà della vita permettiamo al Signore di consolarci con la sua grazia.

sabato 28 maggio 2016

Un incontro per incontrare - Riflessione sul Vangelo di domenica 29 maggio 2016

Noi italiani veniamo spesso presi in giro perché teniamo molto, anche troppo secondo alcuni, a due cose: alla famiglia e alla buona tavola. Nei tradizionali pranzi familiari nelle feste queste due nostre passioni si incontrano e danno vita a tavolate affollate di persone e pietanze. Dicano quello che vogliono ma tutto questo è molto bello!
È così bello che lo fa anche Dio, ogni domenica riunisce tutti i suoi figli attorno alla stessa mensa, li ama, li nutre con il dono più prezioso, il Corpo e il Sangue del Signore Gesù.
Purtroppo spesso, noi suoi figli, partecipiamo a questi banchetti meravigliosi in modo molto distratto, un po' per abitudine o per dovere, rischiamo di perdere il senso di ciò a cui stiamo prendendo parte, a non capire quale meravigliosa occasione il Signore ci stia offrendo.
Cerchiamo allora, in questa solennità del Santissimo Corpo e Sangue di Gesù, di comprendere meglio cosa è l'Eucarestia.
A catechismo ci hanno insegnato che nel Sacramento dell'Eucarestia è realmente presente il Signore Gesù con il suo Corpo, il suo Sangue, la sua Anima e la sua Divinità. Dunque quando andiamo a ricevere la Comunione noi stiamo ricevendo Gesù in persona, fattosi cibo per noi, è un incontro personale. Penso che ciascuno di noi abbia sperimentato una certa difficoltà a comprendere che, appunto si tratta di un incontro con una persona viva e non con un oggetto. La tentazione di andare a ricevere la Comunione come fosse una medicina o un porta fortuna è sempre dietro l'angolo!
L'Eucarestia, quindi, è il Signore Gesù che ci viene incontro e lo fa non da solo ma attraverso una famiglia, la sua Chiesa. Non c'è Eucarestia senza la Chiesa e non la possiamo capire se non viviamo la comunità. Diciamo infatti che riceviamo la Comunione ma non è solo comunione con il Signore Gesù è anche comunione con i nostri fratelli, con quanti abbiamo accanto fisicamente, che magari vediamo a Messa tutte le domeniche da anni ma di cui non conosciamo il nome.
IL Signore Gesù ha scelto di farsi cibo per noi, per nutrire la nostra vita, il cibo ci dà energia, ci rende possibile agire, muoverci, vivere. Così quando riceviamo il Signore Gesù realmente presente nel Sacramento, Egli ci rende capaci di essere in comunione con lui e di essere in comunione con i fratelli, trasforma il nostro cuore, ci rende capaci di amare e di prenderci cura di chi abbiamo accanto. Ci chiede però anche un piccolo sforzo, un po' di coraggio nel tendere la mano a chi mi siede vicino nel banco e presentarmi. Non dobbiamo violare la privacy di nessuno ma abbiamo bisogno di conoscere i fratelli che il Signore ci ha messo accanto, altrimenti non saremo in grado di conoscere nemmeno lui! Se non siamo in comunione tra noi non possiamo esserlo nemmeno con il Signore Gesù. Come abbiamo detto domenica scorsa, in Dio conoscere e amare coincidono e la Comunione con il Signore Gesù rende anche noi capaci di vivere questo, ci fa amare e conoscere insieme i nostri fratelli.
Molti dicono che uno dei mali più gravi della nostra società è la solitudine, il Signore Gesù si dona a noi per essere rimedio a questo male subdolo e gravissimo, ci rende capaci di volerci bene, di scoprirci parte di una comunità, di una famiglia, di saperci amati e di imparare ad amare.
La prossima volta che riceveremo la Comunione ricordiamo che stiamo incontrando una Persona, il Signore Gesù, che ci invita ad incontrarne altre, i nostri fratelli, e tendiamo la mano senza paura e la nostra vita cambierà.

sabato 21 maggio 2016

L'incontro più importante - Riflessione sul Vangelo di domenica 22 maggio 2106

Ci avete mai fatto caso? Le persone che conosciamo meglio sono quelle che amiamo di più. C'è una stretta correlazione tra conoscenza e amore. Nessuno vuole bene a una persona perché ne ha letto la biografia o il curriculum, nessuno fa colloqui di amicizia: "prima ti conosco e poi decido se voglio esserti amico, se mi va di volerti bene". Generalmente, più conosciamo una persona e più impariamo a volerle bene, più la amiamo e più la conosciamo. Amore e conoscenza sono strettamente legati, per questo la Scrittura non separa la sede della conoscenza da quella dei sentimenti, nella Bibbia è il cuore il centro della persona, il logo dei pensieri e dei sentimenti insieme.
Concluso il Tempo di Pasqua, la Chiesa ci invita a contemplare il mistero della Trinità: Dio Uno e Trino allo stesso tempo. Quando frequentavamo il catechismo, I catechisti hanno escogitato mille modi diversi per cercare di farci capire questo grande mistero e anche i teologi hanno elaborato molte immagini diverse ma se l'unico nostro scopo è capire, conoscere Dio, senza lasciarci coinvolgere affettivamente, sono tutti sforzi inutili.
Ammettiamolo, con il Signore il nostro atteggiamento è spesso di sospetto, vorremmo prima fargli un colloquio, raccogliere informazioni su di Lui per decidere se fidarci, se aprirgli anche il nostro cuore. Ma, ovviamente, così non può funzionare. Chi di noi sarebbe disposto a farsi fare un esame per iniziare un'amicizia, una storia d'amore? Nessuno!!! Eppure con Dio spesso facciamo così!
In Dio conoscenza e amore coincidono perfettamente dunque se vogliamo che si faccia conoscere dobbiamo anche permettergli di amarci. Scopriremo che è proprio lasciandoci amare e scegliendo di amarlo a nostra volta che Dio si fa conoscere, ci rivela il suo volto che è il volto dell'amore.
Molti, ora si possono aspettare che anche io scelga un'immagine per spiegare come fa Dio ad essere Uno e Trino allo stesso tempo, cosa significa Una Sostanza in Tre Persone... mi spiace ma resteranno delusi. Non voglio cercare un'immagine perché semplicemente non esiste, sarebbe una restrizione, una limitazione. Sant'Agostino diceva "se lo comprendi, non è Dio". Perché allora cercare di accontentarci con un surrogato, con una fotografia!
Volete conoscere Dio? C'è nel vostro cuore questo desiderio, anche se non sapete come ci è arrivato? Ne avete paura ma nello stesso tempo vi sentite attratti dalla conoscenza di Dio? Allora non vi resta che una cosa da fare: aprite il cuore a Lui! Lasciate che lo Spirito Santo effonda il suo amore nei vostri cuori!!! Lasciatevi travolgere la fiume in piena dell'amore di Dio, lasciatevi illuminare, riscaldare, colmare della sua grazia, della sua gioia e capirete che ciò che è importante non è capire Dio ma amarlo! Non abbiate paura di amare il Signore e di lasciarvi amare da Lui!
Prendetevi un po' di tempo, trovatevi un luogo tranquillo, magari immerso nella natura, suo dono per noi, o in una chiesa, o in qualsiasi altro luogo in cui potete essere soli con Lui e apritegli il vostro cuore! Non abbiate paura, è più facile di quanto non sembri. Siate spontanei e naturali, ricordate che Dio conosce il vostro cuore meglio di voi, che sa bene quali siano le vostre difficoltà, i vostri timori, le vostre fatiche e vi ama proprio in tutto questo. Non lottate, lottereste contro voi stessi, imparate semplicemente a dire "Signore sono qui e voglio lasciarmi amare da te!" e dimenticate tutto il resto. non demordete, perseverate, anche se le prime volte sembrerà difficile, o avrete l'impressione di parlare al vento. Non è così, Dio è lì accanto a voi, pronto a colmarvi del suo amore e della sua luce ma anche paziente ad attendere che siate pronti, senza mettervi fretta, senza farvi pressioni.
Non accontentatevi di sentir parlare di Dio, incontratelo, sarà l'incontro più importante di tutta la vostra vita!