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sabato 29 ottobre 2016

Amore che converte - Riflessione sul Vangelo di domenica 30 ottobre 2016

Siamo quasi alla fine di questo Giubileo della Misericordia, abbiamo trascorso un anno a raccontare, meditare, contemplare la misericordia di Dio. A ben guardare però forse dovremmo prolungarlo per un'altra cinquantina d'anni! Sì, perché nel corso di questo anno speciale mi è sorta una domanda: perché così tanta gente pensa che Dio sia un giudice severo e intransigente che non vede l'ora di condannare tutti? È vero che in buona parte la colpa di questa idea è di noi preti, per tanto tempo troppo impegnati a condannare il peccato senza curarci abbastanza del peccatore, anzi arrivando a identificare l'uno con l'altro. Andare alla ricerca di colpevoli però non serve a molto. Penso sia più utile concentrarci sull'amore misericordioso di Dio, l'unico che può rettificare queste idee così distorte.
In realtà basterebbe rileggere il Vangelo con un minimo, ma proprio un minimo, di attenzione e cercando di mettere da parte le nostre rigide e spietate convinzioni per renderci conto che a Gesù di condannare e disprezzare un peccatore non gli è proprio mai passato nemmeno per l'anticamera del cervello, non gli ha mai nemmeno fatto la predica! Se c'è una cosa che Gesù ha sempre fatto è sempre stato l'esatto contrario: Gesù ha sempre amato i peccatori, ha mangiato con loro, li ha accolti, li ha perdonati.
Il Vangelo di questa domenica è emblematico: Gesù incontra Zaccheo. Luca, per non lasciare adito a dubbi, ci informa chiaramente che Zaccheo era capo dei pubblicani e ricco, a un ebreo dei tempi di Gesù non serviva altro per capire che tale ricchezza non era certo frutto di abilità imprenditoriali ma di furto ed estorsione a quanti erano tenuti a pagare le tasse ai romani. Zaccheo, dunque, era un peccatore della peggior specie, sente però parlare di Gesù e, come tutti noi, è curioso di vederlo. Essendo basso ed essendoci molta folla, Zaccheo sale su un albero convinto di avere una visuale migliore. Non ci pensa nemmeno a incontrare Gesù faccia a faccia, un rabbì non si mischia certo con persone del suo tipo. Giunto però sotto l'albero Gesù alza lo sguardo e...
Noi che avremmo fatto al posto di Gesù? Probabilmente gli avremmo detto "Vergognati! Tu rubi ai tuoi fratelli! Venduto al nemico!" o qualcosa del genere, andandocene poi con ostentato sdegno.
Gesù invece alza lo sguardo e dice a Zaccheo "Scendi che vengo a mangiare da te!". Ora, ricordiamo che per gli ebrei mangiare alla stessa tavola era sinonimo di condivisione di vita, Gesù quindi sceglie di condividere la sua vita con un peccatore della peggior specie. Zaccheo non crede alle sue orecchie! Il maestro che vuole fermarsi da lui! Ma allora forse c'è speranza anche per un peccatore come lui, forse non è detta l'ultima parola, forse l'ultima parola non è condanna ma misericordia. Zaccheo scende in fretta e colmo di gioia accoglie Gesù in casa sua. Gesù non si mette a fargli la ramanzina, semplicemente si siede a tavola e mangia con gli altri, se avesse fatto un discorso sull'onestà, sulla rettitudine o sul pentimento sicuramente l'Evangelista ce lo avrebbe riportato. Eppure Zaccheo sceglie di convertirsi, di dare la metà delle sue ricchezze ai poveri e di restituire quattro volte tanto quanto rubato. Zaccheo non si converte perché ha ascoltato una predica ma perché è stato amato. Non sono le parole, i giudizi, le regole che ci convertono ma l'amore di Dio, la sua misericordia per ogni uomo, per ogni peccatore.
Quando nella vita ci troviamo nella condizione di Zaccheo, quando pensiamo di aver sbagliato troppo, quando pensiamo che non c'è alcuna speranza per noi, cerchiamo lo sguardo di Gesù, lasciamoci amare da lui, accogliamolo in casa nostra, nella nostra vita, affinché porti, anche a noi la salvezza.
Se invece pensiamo di essere più bravi degli altri, più giusti e corretti e sentiamo in noi l'irrefrenabile bisogno di giudicare, criticare, condannare, quando non possiamo fare a meno di fare una ramanzina al fratello che ha peccato, ricordiamoci che Gesù non lo ha mai fatto e non lo farebbe nemmeno con chi abbiamo davanti. Scegliamo invece di amare chi ha peccato e attraverso il nostro amore sarà l'amore del Signore ad agire e a convertire anche il cuore più ostinato.

sabato 22 ottobre 2016

La misericordia che ci rende giusti - Riflessione sul Vangelo di domenica 23 ottobre 2016

Se la nostra epoca storica dovesse prendere il nome da ciò che impazza in televisione questa sarebbe l'era dei Talent Show: spettacoli nei quali persone comuni tentano di diventare cantanti affermati, stelle dello spettacolo o cuochi famosi. I veri protagonisti di questi programmi sono però i giudici che decretano chi possa continuare la gara nella puntata successiva e chi invece debba tornarsene a casa col proprio sogno infranto. Accanto ai giudici ufficiali ci sono poi decine di migliaia di "giudici ufficiosi", i telespettatori che tramite i social network esprimono i loro giudizi su giudici e giudicati. Il vero motivo di tanto successo, infatti, non è la possibilità di diventare famosi data a pochissimi ma la possibilità per tutti gli altri di esprimere il proprio giudizio, spesso molto feroce e quasi sempre incompetente.
Ci piace tanto giudicare! Nessuno ama essere giudicato eppure nessuno di noi può fare a meno di giudicare gli altri. Ci troviamo così tutti imprigionati in una spirale di giudizio: veniamo giudicati per ciò giudichiamo, gli altri si sentono giudicati da noi e ci giudicano a loro volta. Perché allora continuiamo a farlo?
Per ciascuno di noi il giudizio è un'arma di difesa, più o meno inconsciamente ci pensiamo inferiori per qualcosa a chi abbiamo accanto, il giudizio, la critica, il disprezzo, diventano così un modo per abbassare l'altro al nostro stesso livello. Metterne in luce i difetti lo rende meno perfetto quindi più sostenibile.
A volte ci difendiamo convincendoci che il nostro non è un giudizio ma la constatazione di oggettivi errori, limiti, difetti, peccati della persona che ci è accanto. Ma cosa sappiamo davvero di chi ci sta accanto? Fosse anche la persona che meglio conosciamo, non siamo sicuramente nel suo cuore, non abbiamo vissuto la sua vita, non abbiamo idea di quali eventi abbia affrontato, quali ferite possano aver lasciato nel suo cuore, ferite che lo fanno soffrire, che quasi gli impediscono di reagire come vorrebbe a determinate situazioni. Siamo in grado di vedere solo la superficie di chi abbiamo davanti, mai quello che è nel profondo del suo cuore. Per questo solo Dio può giudicare, lui solo, infatti, conosce le profondità del  nostro cuore.
La pagina di Vangelo di questa domenica ci riporta una parabola che Gesù racconta "per alcuni che avevano l'intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri". Un fariseo prega nel tempio "tra sé", non ha bisogno di Dio, basta a se stesso, il Signore è solo chiamato a fare da notaio, a registrare la sua buona condotta e, per dimostrare ancora meglio di essere davvero un'ottima persona, si paragona al pubblicano, peccatore, rifiuto della società. Il pubblicano, invece si limita a riconoscersi peccatore e ad invocare la misericordia di Dio. Sa bene di aver fatto scelte sbagliate, di aver peccato, sa di non aver diritto al perdono perciò si affida alla misericordia di Dio. Soprattutto non guarda agli altri, non cerca di trovare qualcuno peggiore di lui con cui raffrontarsi e poter dire "però io sono migliore di questo". Sarà proprio il pubblicano, con la sua umile ammissione di colpa, a ricevere la misericordia di Dio, ad essere reso giusto, ad essere, cioè, reso simile a Dio.
Spezziamo la spirale del giudizio, smettiamo di giudicare gli altri, di cercare di apparire migliori di quello che siamo. Impariamo anche noi a riconoscere umilmente, davanti a Dio, che senza di Lui non siamo nulla, la nostra vita è vuota e senza senso. Impariamo a riconoscere con umiltà i nostri errori, i nostri peccati, accostiamoci alla Riconciliazione con fiducia, è il dono della misericordia del Padre per noi, lì ci rende giusti come ha fatto col pubblicano del Vangelo.
Non permettiamo nemmeno che i giudizi degli altri possano influenzarci, possano scoraggiarci o addirittura bloccarci. Se qualcuno ci critica prima cerchiamo di capire se non abbia ragione, se davvero ci stia aiutando a riconoscere un nostro errore, se è così correggiamoci e rendiamo grazie a Dio di averci mandato un fratello ad aiutarci. Se invece la critica è ingiustificata ricordiamoci che la nostra vita vale il Sangue di Cristo versato per dono d'amore per ciascuno di noi! Chiediamo a Signore che ci insegni a non giudicare ma a guardare tutti con la stessa misericordia con cui Egli guarda a noi.

sabato 15 ottobre 2016

Promessa mantenuta - Riflessione sul Vangelo di domenica 16 ottobre 2016

Quando abbiamo a che fare con la burocrazia sappiamo che dovremo avere molta pazienza, che dovremo riempire moduli, apporre marche da bollo, ottenere timbri e vidimazioni, allegare fotocopie di documenti... Tutto per ottenere qualcosa di cui abbiamo diritto. Diciamocelo, la burocrazia non piace a nessuno eppure la sopportiamo come fosse un male necessario.
Abbiamo già molte volte avuto modo di notare come le abitudini della nostra vita quotidiana passino anche nella nostra relazione con Dio. Non sorprendiamoci, allora, se ripensando al nostro modo di pregare vi ritroviamo tratti tipici della burocrazia. Pensiamo alla preghiera come a una procedura per richiedere grazie speciali, qualcosa da eseguire in modo corretto, qualcosa di stabilito, schematico, obbligatorio, tanto che se un giorno ci dimentichiamo di "dire le preghiere" ci chiediamo (o lo chiediamo al parroco) se dobbiamo ricominciare tutto da capo, se Dio mi ascolterà lo stesso, se otterrò comunque quello che chiedo... Sono esagerato? L'esperienza mi dice di no!
La pagina di Vangelo di questa settimana inizia con una breve parabola e, per evitarci di interpretarla male, l'Evangelista precisa che Gesù l'ha raccontata per sottolineare la necessità di una preghiera incessante. Un giudice iniquo viene continuamente importunato da una vedova che gli chiede giustizia con insistenza senza lasciarsi scoraggiare dalla sua iniquità, alla fine le concede quello che vuole solo per potersela togliere di torno. Questa è una di quelle parabole in cui Gesù usa il contrasto per aiutarci a purificare l'immagine di Dio che ci siamo fatti. Dio non è come quel giudice ingiusto che pensa solo a se stesso, è esattamente il contrario. Dio è giusto, ama cioè ognuno di noi e compie le sue promesse prontamente. La giustizia di Dio non ha nulla a che fare con il nostro giustizialismo, che tanto spesso ha il sapore della vendetta. La giustizia di Dio è il compimento della sua promessa di salvezza. Dicendo "farà loro giustizia prontamente" il Signore Gesù ci assicura che il Padre non ci abbandona mai, che è fedele alla sua promessa d'amore, di sostegno e di salvezza.
Perché allora a volte ci sembra di non essere ascoltati?
La risposta è nella domanda che chiude la pagina di Vangelo di questa domenica: "Ma, il Figlio dell'uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?" A prima vista appare una domanda che non ha alcun legame con la parabola appena raccontata, invece ne è la chiave di lettura. La preghiera, quella vera, è possibile solo nella fede, cioè nella relazione di fiducia col Padre e il Figlio nello Spirito. La fede non è semplice ammissione dell'esistenza di Dio,è desiderio di dialogo con lui, è fiducia nella sua Parola, nelle sue promesse. La preghiera è dunque il dialogo della fede, è lo spazio in cui apriamo il cuore a Dio, in cui gli consegniamo la nostra vita, senza bisogno di domande in carta bollata ma con la certezza che Egli compirà la sua promessa di salvezza sempre e comunque, anche se tutto ciò che ci circonda sembra dirci il contrario. Preghiamo incessantemente, dunque, non come se stessimo compilando moduli ma nel dialogo d'amore con un Padre fedele che non ci abbandona mai, che tutto ha già disposto per la nostra gioia, per la nostra pienezza, per la nostra vita eterna.

sabato 8 ottobre 2016

Canterò in eterno la tua lode - Riflessione sul Vangelo di domenica 9 ottobre 2016

Fin da bambini abbiamo imparato a valutare gli eventi della nostra vita in base al risultato che portano. Quando frequentavamo la scuola tutto andava bene non in base a quanto avevamo imparato ma ai voti che avevamo preso. Anche nel gioco seguivamo lo stesso principio (e lo continuiamo a fare anche da adulti) l'importante non è divertirsi ma vincere.  Diventati adulti le cose non sono cambiate, nella maggior parte dei casi il profitto è l'unico metro di valutazione sul lavoro che svolgiamo. Siccome, poi, la nostra vita non è fatta a compartimenti stagni questo principio, il principio del risultato, lo applichiamo anche alla vita spirituale per cui ci impegniamo in intense preghiere di richiesta quando qualcosa ci affligge ma raramente mettiamo poi lo stesso impegno per ringraziare quando abbiamo ottenuto quanto desiderato. Ancora meno siamo capaci di rendere grazie a Dio per ciò che abbiamo perché lo diamo per scontato, quasi che tutto quello che fa parte della nostra vita sia un nostro diritto.
Hanno fatto così i lebbrosi del Vangelo di questa domenica, vanno incontro a Gesù e ad alta voce gli chiedono di aver misericordia di loro, chiedono la guarigione. Una volta ottenuta e certificata dalla competente autorità, i sacerdoti, nove di loro proseguono la loro vita senza nemmeno pensare di tornare indietro a ringraziare per il dono miracoloso. Subito approfittano della ritrovata salute e tornano alle loro occupazioni, ai loro affari, a cercare nuovi risultati, lodare Dio e ringraziare è solo una perdita di tempo perché non produce nulla. Che maleducati, ci viene da commentare, ma siamo così sicuri che non avremmo fatto lo stesso? Anzi, siamo sicuri che non facciamo ogni giorno lo stesso? Quanta della nostra preghiera è ringraziamento e lode? Quanta, invece è richiesta?
Abbiamo bisogno di riscoprire la preghiera di lode e ringraziamento che, a ben guardare, è la prima e più importante forma di preghiera nella Scrittura. Lodare Dio e ringraziarlo per quanto ci ha dato non è una perdita di tempo, nella nostra vita quello che conta non è il risultato ma la comunione con Dio! Una vita piena di buoni risultati ma priva della relazione fondamentale con il Signore sarebbe una vita vuota, triste, buia. Non sono i risultati e i traguardi in questo mondo che ci riempiono di gioia, che ci fanno sentire veramente soddisfatti di noi stessi ma la comunione con Dio, vivere secondo il suo disegno d'amore. Per tutto ciò la vi maestra è la preghiera di lode.
Con la preghiera di lode non chiediamo nulla a Dio, semplicemente ci fidiamo di lui, riconosciamo la sua grandezza, il suo amore infinito per noi, la sua tenerezza, la sua premura, la sua provvidenza. Quando la preghiera di lode diventa abituale nella nostra vita di fede, quando è l'inizio di ogni nostra preghiera, vedremo aumentare la nostra fiducia nel Signore, contemplando le meraviglie che ha operato e continua a compiere nella nostra vita capiremo che la preghiera di ringraziamento diventa quasi superflua perché Dio vuole già la nostra salvezza, non c'è alcun bisogno di convincerlo. La preghiera di lode apre il nostro cuore a Dio, ci rende anche più disponibili ad ascoltarlo, ad accogliere la sua volontà, meno capricciosi ed esigenti.
Proviamoci! Facciamo della preghiera di lode l'inizio di ogni nostra preghiera, se non sappiamo come fare, se ci sentiamo impacciati, scegliamo un salmo di lode, ricopiamolo, portiamolo sempre con noi e iniziamo con quello e poi lasciamo che sia il nostro cuore a far sgorgare come una fontana la lode a Dio. Vedremo con i nostri occhi quali grandi doni ha in serbo il Signore per noi!

sabato 1 ottobre 2016

Un dono per tutti - Riflessione sul Vangelo di domenica 2 ottobre 2016

La ricerca scientifica e lo sviluppo tecnologico ci stanno facendo fare passi da gigante, abbiamo debellato molte malattie un tempo incurabili, abbiamo migliorato le colture, siamo in grado di volare, di percorrere lunghe distanze in poco tempo, di comunicare con l'altro capo del mondo... mai come oggi l'uomo è sicuro delle proprie capacità, delle proprie potenzialità, delle proprie conoscenze. Eppure continuano a proliferare sette di ogni tipo, i cartomanti e gli astrologi continuano a fare affari d'oro, dai calendari sono spariti i santi del giorno ma non c'è quotidiano che non abbia il suo oroscopo. Sembra paradossale eppure è la realtà! Perché? Perché l'uomo di oggi, così tanto sicuro di sé, ha ancora bisogno di queste cose?
Perché astrologia, cartomanzia, ideologie settarie e simili costituiscono la risposta più semplice e meno impegnativa ad una domanda che ciascuno di noi si porta nel cuore: chi o cosa c'è sopra di me?
Anche i più razionalisti non possono nascondere, almeno a se stessi, di avvertire, in fondo al cuore, la sensazione di una presenza trascendente, invisibile agli occhi, che sembra sfuggire, della quale però sappiamo di non poter fare a meno. C'è una risposta a questa domanda? C'è un modo per pacificare questa inquietudine? Sì, c'è, si chiama fede!
Ma cos'è la fede? Tanti dicono sia un dono e in effetti è così ma non è il premio di una lotteria che qualcuno ha vinto e qualcun altro no. La fede è un dono che è per tutti, nessuno escluso.
La fede è la relazione con Dio, una relazione intima e, come tutte le cose intime, difficile da descrivere, inconfondibile eppure anche inesprimibile.
Molti pensano che la fede sia una cosa difficile e ardua, faticosa e impegnativa, invece è semplice abbandono, è la decisione di fidarsi di Dio, di accoglierlo nella propria vita, di lasciarsi guidare da lui.
Come non pensare a sant'Agostino, un grande cercatore di Dio, un uomo così a lungo inquieto, un uomo convinto delle sue conoscenze e certezze ma anche pronto a metterle in discussione, assetato di Dio. Nelle confessioni dice "Tardi t’amai, bellezza così antica, così nuova, tardi t’amai! Ed ecco, tu eri dentro di me ed io fuori di me ti cercavo e mi gettavo deforme sulle belle forme della tua creazione… Tu hai chiamato e gridato, hai spezzato la mia sordità, hai brillato e balenato, hai dissipato la mia cecità, hai sparso la tua fragranza ed io respirai, ed ora anelo verso di te; ti ho gustata ed ora ho fame e sete, mi hai toccato, ed io arsi nel desiderio della tua pace."
Quante persone mi chiedono come si faccia ad avere più fede, come si possa credere, molti mi confessano di sforzarsi di provarci ma di non riuscirci. La lotta della fede non è mai con Dio, Egli non vede l'ora di donarsi a noi, di rivelarci la sua luce, la sua gioia, la sua pace. La lotta della fede è sempre con noi stessi, con le nostre certezze che non vogliamo lasciare, con le nostre paure che ci incatenano alle fragili sicurezze di questo mondo, che ci ingannano facendoci credere che possa esistere solo quello che possiamo vedere, toccare, controllare. Questa lotta, che tutti ci troviamo ad affrontare prima o poi, si vince solo scegliendo di cedere a ciò che ancora non conosciamo, a ciò che non ci è ancora stato rivelato. Questa lotta si vince solo scegliendo di fidarci di Dio, quel Dio che ci viene incontro nella nostra vita attraverso la testimonianza dei nostri fratelli, attraverso la guida della sua Chiesa.
Molte volte ho provato ad immaginare la mia vita senza la fede... non ci sono riuscito. Non riesco a pensare alla mia vita senza la certezza di non essere solo, senza la possibilità di guardare in alto, senza la serenità di sapere che la mia vita non dipende da me ma da colui che l'ha voluta, che mi ha amato da sempre, che ha dato la sua vita per me. Non riuscirei a vivere in un mondo in cui io sono l'inizio e la fine, mi sentirei in gabbia, schiacciato e oppresso.
Nel Vangelo i discepoli chiedono a Gesù "Aumenta la nostra fede", chiediamolo anche noi! Impariamo a ripetere tante volte al giorno "Gesù voglio credere in te, voglio fidarmi di te!" Se impariamo a ripetere questa semplicissima invocazione molte volte nella nostra giornata anche il cuore più duro, anche la mente più razionale, si scioglierà all'amore di Dio e la vita non sarà più la stessa e anche noi, come sant'Agostino e tanti altri avremo trovato il vero tesoro della nostra vita.