Non so voi, ma quando ho qualche evento importante, qualcosa a cui tengo molto, la notte precedente dormo poco e alle prime luci dell'alba sono già sveglio. Un po' è la paura di fare tardi ma soprattutto è l'emozione di vivere quanto sto attendendo con impazienza. Mi affretto, faccio attenzione a non perdere tempo, faccio di tutto per arrivare rapidamente, per non perdere nemmeno un secondo.
Penso che, chi più chi meno, tutti ci siamo trovati in questo particolare stato di eccitazione dato dal desiderio di vedere compiuto ciò che stavamo attendendo.
Come noi, anche Maria deve aver provato questa eccitazione, il Vangelo di questa quarta domenica di Avvento ce la presenta che "si alzò e andò in fretta" a fare visita la cugina Elisabetta. Per capire questa trepidazione di Maria dobbiamo fare un passo indietro, appena prima l'Evangelista ci racconta dell'Annunciazione: l'angelo Gabriele annunciandole che sarebbe diventata la Madre del Figlio dell'Altissimo le lascia come segno proprio la gravidanza inattesa e straordinaria dell'anziana cugina. La dolce attesa di Elisabetta è così il primo segno che quanto annunciato dall'Angelo si sta compiendo, l'inizio della cosa più grande e importante di tutta la storia dell'umanità: Dio si fa uomo, Dio viene ad abitare in mezzo a noi. Maria, quindi, non può farsi sfuggire nemmeno un minuto, non può perdersi nemmeno un secondo di questa meraviglia che il Signore le ha annunciato, in cui avrà una parte fondamentale. Sarà l'occasione per ogni uomo di incontrare Dio faccia a faccia, di sperimentare il suo amore misericordioso non come qualcosa di lontano, di calato dall'alto, ma di vicino, offerto con tenerezza e delicatezza. Maria non può perdersi nemmeno un istante ti tutto questo per cui si alza e va in fretta a trovare Elisabetta. Appena arrivata saluta la cugina e il bambino che questa porta in grembo sussulta di gioia e colma anche la madre di quella gioia ben più grande della più grande delle gioie terrene, di gioia che viene dall'alto, di Spirito Santo. Elisabetta risponde al saluto e in questa risposta troviamo il motivo della gioiosa trepidazione di Maria: "Beata colei che ha creduto nell'adempimento di ciò che il Signore le ha detto".
Maria è piena di entusiasmo perché ha semplicemente scelto di fidarsi di Dio, delle sue parole, del suo invito, del suo disegno d'amore, questo l'ha colmata d'amore, di gioia e di attesa.
"Beata lei!" ci verrà da dire...
Ma beati noi, piuttosto! Già perché Maria si è affrettata ad andare da Elisabetta per vedere il segno dell'inizio del compimento della Salvezza poi ha dovuto affrontare la gravidanza, con tutte le difficoltà e i pericoli che comportava nella sua situazione, è stata Madre del Figlio di Dio, l'ha accompagnato e seguito per tutta la vita, fin sotto la croce, dopo la resurrezione è stata punto di riferimento per gli Apostoli. Maria ha vissuto tutta la nostra redenzione non da un punto di vista privilegiato ma, al contrario, vivendo un compito importante e difficile. In ogni momento della sua vita, però, non ha smesso di credere nell'adempimento di ciò che il Signore le ha detto e così è andata avanti, giorno per giorno, affrontando ogni fatica e difficoltà affinché noi, oggi, potessimo ancora sperimentare che davvero Dio si fa vicino a ciascuno di noi.
Se solo ci pensassimo bene! Ci renderemmo conto che ogni giorno noi abbiamo la possibilità di partecipare non solo al primo segno della salvezza, come Maria nella Visitazione, ma a tutta la Salvezza compiuta! Ogni volta che celebriamo l'Eucarestia il Signore ci parla attraverso la sua Parola come ha parlato a Maria attraverso Gabriele, si dona a noi nel suo Corpo e nel suo Sangue! A pensarci bene dovremmo avere in noi quella stessa trepidazione di Maria ogni volta che ci alziamo e ci avviamo a partecipare alla Messa! Anzi dovrebbe essere anche più grande!
Invece spesso prendiamo parte alla celebrazione dell'Eucarestia con svogliatezza, più perché è un dovere che per incontrare il Signore Gesù. Arriviamo tardi, siamo disattenti, pensiamo ai nostri affari. Qual'è il problema? Che non abbiamo ancora creduto a ciò che il Signore ci ha detto! Per questo non siamo felici, non siamo beati!
In questi ultimi giorni di Avvento chiediamo al Signore che ci renda capaci di credere veramente, con il profondo del cuore, che quello che ci è stato annunciato dalla sua Parola, da tanti testimoni nella nostra vita, catechisti, sacerdoti, amici, religiose, che, cioè, egli è venuto alsalvarci, si è fatto uomo per ciascuno di noi, per mostrarci il suo amore, la sua misericordia, non è una bella favoletta ma realtà! Chiediamogli di credere profondamente e di donarci quella santa e gioiosa trepidazione che fu di Maria nell'andare a far visita a Elisabetta, chiediamo che ci colmi della gioia dello Spirito così che anche noi possiamo continuare con fiducia, serenità e speranza il nostro cammino e vivere ogni giorno secondo il grande disegno d'amore del Padre.
Pensieri e riflessioni di un prete carismatico felicissimo di scoprire ogni giorno l'amore fantasioso e tenerissimo di Dio!!!
sabato 19 dicembre 2015
sabato 12 dicembre 2015
Purificati per gioire veramente - Riflessione sul Vangelo di domenica 13 dicembre 2015
Avete mai organizzato una festa a sorpresa per qualcuno? Se lo avete fatto sicuramente volete molto bene al festeggiato perché è una impresa riuscire ad organizzare tutto senza farsi scoprire ma altrettanto sicuramente il festeggiato si fida molto di voi perché per fare la sorpresa molto probabilmente avete dovuto convincerlo a seguirvi senza fare troppe domande.
Siamo tutti abituati fin da piccoli a determinare la nostra vita, a controllarla, a scegliere cosa fare e cosa non fare. Ci piace molto poter decidere liberamente e quando questa libertà ci viene negata rimaniamo molto contrariati, scegliere poi di fidarci e lasciarci condurre da altri è davvero una cosa molto rara.
Anche nella vita spirituale ragioniamo così, pensiamo sia una questione di cose da fare, di scelte radicali, di cambiare totalmente le nostre abitudini, di eliminare tanti comportamenti. Quest'idea è ben radicata in ciascuno di noi ed è ciò che ci fa rimandare la scelta della conversione sempre a domani, come l'inizio della dieta, perché, in fondo come la dieta, capiamo che la conversione ci farebbe bene ma ci piace tanto quello che abbiamo che preferiamo rimandare ancora.
Le folle che avevano ascoltato la predicazione di Giovanni Battista avevano intuito che quello che il Precursore annunciava era ciò che avrebbe cambiato radicalmente la loro vita, era la salvezza che tanto stavano aspettando, per cui, forse con un po' di timore, avevano chiesto a Giovanni "cosa dobbiamo fare?"
La risposta del Battista deve averli stupiti, come deve stupire noi oggi: continuate a vivere la vostra vita, scegliete solo di vivere con giustizia e carità. Nessuna spogliazione, nessuna rinuncia, nessuna privazione, vivi solo la tua vita con attenzione a chi ha bisogno e svolgendo il tuo lavoro con onestà e giustizia.
A noi non è chiesto di fare altro, non dobbiamo voler controllare anche la nostra conversione! Viviamo con giustizia e carità e poi lasciamo che faccia il Signore.
È il Signore Gesù che ci battezza in Spirito Santo e fuoco, è lui a compiere la conversione in noi, è la sua grazia che ci insegna a discernere il bene dal male, il vero dal falso, il giusto dall'ingiusto. Dobbiamo solo lasciarci immergere nello Spirito Santo che è l'Amore del Padre e del Figlio, dobbiamo solo lasciare a lui il controllo della nostra vita, dobbiamo iniziare a scegliere secondo la verità che ci rivela, secondo l'amore ce ci ispira, secondo il bene che ci fa desiderare di compiere.
La conversione non è un atto faticoso, è permettere al Signore di trasformare la nostra vita, di renderla conforme al suo amore, di portarla al suo compimento. Senza paura dobbiamo mettere tutta la nostra vita nelle mani del Signore, dobbiamo lasciare che ci faccia vedere cosa ci fa male, cosa ci chiude in noi stessi, cosa ci isola dagli altri e dobbiamo permettergli di purificarci, di bruciare, cioè, nel fuoco del suo amore tutto ciò che non è secondo il nostro bene. Se l'idea ci spaventa almeno un po' è del tutto normale, siamo abituati ad avere il pieno controllo della nostra vita, siamo affezionati ad ogni sua parte e l'idea di lasciare il controllo ad un altro e permettergli di togliere ciò che non va è normale che ci atterrisca.
Ma possiamo fidarci? Io direi proprio di sì! Il Signore Gesù viene a salvarci, viene a colmare la nostra vita di gioia, di pace e di serenità. La Chiesa ci invita in questa domenica a gioire perché il Signore è vicino, viene a liberarci dalle nostre schiavitù, a custodirci da ciò che ci fa male.
Ma come si fa a riconoscere l'azione dello Spirito? Basta volerlo! Il Signore parla a ciascuno di noi in modo diverso, così come ciascuno può comprendere. Ci parla attraverso la sua Parola, in ciò che ci accade, attraverso tante persone, in molti modi diversi e non dobbiamo temere perché continua a ripetere ciò che vuole dirci finché non l'abbiamo capito.Il Signore parla alla nostra vita come con una sinfonia in cui tanti strumenti diversi suonano ma tutti compongono un'unica melodia.
Il nostro Avvento continui, allora, nell'attesa del Signore che viene a convertirci, viene a purificare la nostra vita dal male e dalla falsità per donarci la gioia vera.
Siamo tutti abituati fin da piccoli a determinare la nostra vita, a controllarla, a scegliere cosa fare e cosa non fare. Ci piace molto poter decidere liberamente e quando questa libertà ci viene negata rimaniamo molto contrariati, scegliere poi di fidarci e lasciarci condurre da altri è davvero una cosa molto rara.
Anche nella vita spirituale ragioniamo così, pensiamo sia una questione di cose da fare, di scelte radicali, di cambiare totalmente le nostre abitudini, di eliminare tanti comportamenti. Quest'idea è ben radicata in ciascuno di noi ed è ciò che ci fa rimandare la scelta della conversione sempre a domani, come l'inizio della dieta, perché, in fondo come la dieta, capiamo che la conversione ci farebbe bene ma ci piace tanto quello che abbiamo che preferiamo rimandare ancora.
Le folle che avevano ascoltato la predicazione di Giovanni Battista avevano intuito che quello che il Precursore annunciava era ciò che avrebbe cambiato radicalmente la loro vita, era la salvezza che tanto stavano aspettando, per cui, forse con un po' di timore, avevano chiesto a Giovanni "cosa dobbiamo fare?"
La risposta del Battista deve averli stupiti, come deve stupire noi oggi: continuate a vivere la vostra vita, scegliete solo di vivere con giustizia e carità. Nessuna spogliazione, nessuna rinuncia, nessuna privazione, vivi solo la tua vita con attenzione a chi ha bisogno e svolgendo il tuo lavoro con onestà e giustizia.
A noi non è chiesto di fare altro, non dobbiamo voler controllare anche la nostra conversione! Viviamo con giustizia e carità e poi lasciamo che faccia il Signore.
È il Signore Gesù che ci battezza in Spirito Santo e fuoco, è lui a compiere la conversione in noi, è la sua grazia che ci insegna a discernere il bene dal male, il vero dal falso, il giusto dall'ingiusto. Dobbiamo solo lasciarci immergere nello Spirito Santo che è l'Amore del Padre e del Figlio, dobbiamo solo lasciare a lui il controllo della nostra vita, dobbiamo iniziare a scegliere secondo la verità che ci rivela, secondo l'amore ce ci ispira, secondo il bene che ci fa desiderare di compiere.
La conversione non è un atto faticoso, è permettere al Signore di trasformare la nostra vita, di renderla conforme al suo amore, di portarla al suo compimento. Senza paura dobbiamo mettere tutta la nostra vita nelle mani del Signore, dobbiamo lasciare che ci faccia vedere cosa ci fa male, cosa ci chiude in noi stessi, cosa ci isola dagli altri e dobbiamo permettergli di purificarci, di bruciare, cioè, nel fuoco del suo amore tutto ciò che non è secondo il nostro bene. Se l'idea ci spaventa almeno un po' è del tutto normale, siamo abituati ad avere il pieno controllo della nostra vita, siamo affezionati ad ogni sua parte e l'idea di lasciare il controllo ad un altro e permettergli di togliere ciò che non va è normale che ci atterrisca.
Ma possiamo fidarci? Io direi proprio di sì! Il Signore Gesù viene a salvarci, viene a colmare la nostra vita di gioia, di pace e di serenità. La Chiesa ci invita in questa domenica a gioire perché il Signore è vicino, viene a liberarci dalle nostre schiavitù, a custodirci da ciò che ci fa male.
Ma come si fa a riconoscere l'azione dello Spirito? Basta volerlo! Il Signore parla a ciascuno di noi in modo diverso, così come ciascuno può comprendere. Ci parla attraverso la sua Parola, in ciò che ci accade, attraverso tante persone, in molti modi diversi e non dobbiamo temere perché continua a ripetere ciò che vuole dirci finché non l'abbiamo capito.Il Signore parla alla nostra vita come con una sinfonia in cui tanti strumenti diversi suonano ma tutti compongono un'unica melodia.
Il nostro Avvento continui, allora, nell'attesa del Signore che viene a convertirci, viene a purificare la nostra vita dal male e dalla falsità per donarci la gioia vera.
sabato 28 novembre 2015
Tempo di attesa - Riflessione sul Vangelo di domenica 29 novembre 2015
I mezzi di comunicazione sempre più efficienti ci trasmettono in tempo reale quello che accade in ogni angolo del mondo e, purtroppo, spesso quello che ci fanno vedere è molto brutto. Abbiamo ancora molto vivido il ricordo delle immagini giunte da Parigi solo due settimane fa e ogni giorno hanno continuato ad arrivarci altre notizie di violenze, guerre, omicidi. Davanti a tutte queste notizie così tristi e terribili ci ritroviamo inorriditi, tristi, preoccupati, non possiamo fare a meno di chiederci "e se capitasse a me o ai miei cari?".
Questa abbondanza di notizie corredate da immagini strazianti ci hanno portato ad essere molto emotivi, a cercare il senso di quello che vediamo senza riflettere sulle cause, a chiederci "ma dov'è Dio in tutto questo, perché permette questi abomini?"
Il Signore Gesù viene oggi nel nostro mondo ferito dall'odio e dalla violenza, viene accanto a noi appesantiti dalla paura, dall'ansia per il nostro futuro, viene a farci rialzare la testa a ridarci coraggio, a farci guardare oltre questo mondo così cupo.
Iniziamo questa domenica il Tempo dell'Avvento, il tempo dell'attesa del Signore che viene. La Chiesa ci ricorda che non è questa la nostra casa, che non è per questo mondo che siamo stati creati, che quanto accade qui non può toccare ciò che è stato preparato per noi e ci invita ad attendere il Signore Gesù che viene, senza averne paura, con fiducia, con speranza, nella certezza che non manca mai di compiere le sue promesse.
Gesù sa bene che vivere a questo mondo non è facile, che ci troviamo circondati da tanto male, che anche noi spesso ci troviamo a compierlo, magari non compiamo attacchi terroristici, ma anche ciascuno di noi sa di aver fatto male a qualcuno in un momento di rabbia, di gelosia, di invidia. A volte per distrarci cerchiamo di ubriacarci di tante cose, cerchiamo di impegnare la nostra vita in tante attività, in tante occupazioni, per distrarci, per non pensarci, per darci l'illusione che le cose possono anche andare bene. Eppure tutte queste cose, ognuno ha le sue, ci appesantiscono solo , ci stancano e ci fanno adagiare.
Il Vangelo di questa domenica ci invita a rialzare la testa, a guardare oltre le cose di questo mondo, non per trascurarle, non per fingere che non siano importanti o per rintanarci in un mondo fantastico ma per puntare lo sguardo su colui che ci salva da tutto questo.
Le pagine di Vangelo come questa, che annunciano la fine del mondo, non ci stanno mai molto simpatiche, ci mettono sempre un po' d'ansia. Ci hanno sempre dipinto il Giorno del Giudizio come un momento terribile di cui avere paura e così speriamo che arrivi il più tardi possibile. Invece è proprio il contrario, quel giorno sarà il Giorno, il momento del nostro incontro definitivo con il Figlio dell'Uomo, con il Signore Gesù che ci ha amato fino a dare tutta la sua vita per noi, che ci accoglie nel suo Regno dove non c'è più alcuna traccia di male.
Non dobbiamo, dunque, avere paura di quel Giorno, non dobbiamo temere l'incontro col Signore Gesù, anzi dobbiamo aspettarlo con ansia, come si aspetta l'arrivo di una persona cara.
San Paolo ci ha dato le indicazioni di come prepararci a questo incontro: rendendo saldi i nostri cuori nell'amore sovrabbondante. Il nostro amore si consolida innanzi tutto con il perdono, se prima non perdoniamo non potremo nemmeno amare. Iniziamo col perdonare noi stessi, perdoniamoci per gli errori compiuti, per le debolezze, per le fragilità. Tutti fatichiamo a perdonare gli altri perché innanzi tutto non siamo capaci di perdonare noi stessi e così teniamo anche lontano il perdono di Dio.
Con la sua Croce il Signore Gesù ci dice che il Padre perdona chiunque si rivolga con sincerità e pentimento a lui, perché è Dio di misericordia, questo non lo dobbiamo mai dimenticare. Papa Francesco ha voluto indire un Giubileo della Misericordia perché è ciò di cui abbiamo tutti più bisogno. Ma se non siamo disposti a perdonare noi stessi non saremo nemmeno disposti ad accogliere la misericordia di Dio per noi. Impariamo dunque a perdonare noi stessi e diventeremo capaci di perdonare anche chi ci ha fatto del male, inizieremo così ad amare come Gesù ci ama, rinsalderemo il nostro cuore nel suo amore e comprenderemo, col cuore, che non solo non abbiamo nulla da temere dal suo ritorno ma che anzi dobbiamo aspettarlo con tutto noi stessi perché sarà il compimento di tutta la nostra vita.
Questa abbondanza di notizie corredate da immagini strazianti ci hanno portato ad essere molto emotivi, a cercare il senso di quello che vediamo senza riflettere sulle cause, a chiederci "ma dov'è Dio in tutto questo, perché permette questi abomini?"
Il Signore Gesù viene oggi nel nostro mondo ferito dall'odio e dalla violenza, viene accanto a noi appesantiti dalla paura, dall'ansia per il nostro futuro, viene a farci rialzare la testa a ridarci coraggio, a farci guardare oltre questo mondo così cupo.
Iniziamo questa domenica il Tempo dell'Avvento, il tempo dell'attesa del Signore che viene. La Chiesa ci ricorda che non è questa la nostra casa, che non è per questo mondo che siamo stati creati, che quanto accade qui non può toccare ciò che è stato preparato per noi e ci invita ad attendere il Signore Gesù che viene, senza averne paura, con fiducia, con speranza, nella certezza che non manca mai di compiere le sue promesse.
Gesù sa bene che vivere a questo mondo non è facile, che ci troviamo circondati da tanto male, che anche noi spesso ci troviamo a compierlo, magari non compiamo attacchi terroristici, ma anche ciascuno di noi sa di aver fatto male a qualcuno in un momento di rabbia, di gelosia, di invidia. A volte per distrarci cerchiamo di ubriacarci di tante cose, cerchiamo di impegnare la nostra vita in tante attività, in tante occupazioni, per distrarci, per non pensarci, per darci l'illusione che le cose possono anche andare bene. Eppure tutte queste cose, ognuno ha le sue, ci appesantiscono solo , ci stancano e ci fanno adagiare.
Il Vangelo di questa domenica ci invita a rialzare la testa, a guardare oltre le cose di questo mondo, non per trascurarle, non per fingere che non siano importanti o per rintanarci in un mondo fantastico ma per puntare lo sguardo su colui che ci salva da tutto questo.
Le pagine di Vangelo come questa, che annunciano la fine del mondo, non ci stanno mai molto simpatiche, ci mettono sempre un po' d'ansia. Ci hanno sempre dipinto il Giorno del Giudizio come un momento terribile di cui avere paura e così speriamo che arrivi il più tardi possibile. Invece è proprio il contrario, quel giorno sarà il Giorno, il momento del nostro incontro definitivo con il Figlio dell'Uomo, con il Signore Gesù che ci ha amato fino a dare tutta la sua vita per noi, che ci accoglie nel suo Regno dove non c'è più alcuna traccia di male.
Non dobbiamo, dunque, avere paura di quel Giorno, non dobbiamo temere l'incontro col Signore Gesù, anzi dobbiamo aspettarlo con ansia, come si aspetta l'arrivo di una persona cara.
San Paolo ci ha dato le indicazioni di come prepararci a questo incontro: rendendo saldi i nostri cuori nell'amore sovrabbondante. Il nostro amore si consolida innanzi tutto con il perdono, se prima non perdoniamo non potremo nemmeno amare. Iniziamo col perdonare noi stessi, perdoniamoci per gli errori compiuti, per le debolezze, per le fragilità. Tutti fatichiamo a perdonare gli altri perché innanzi tutto non siamo capaci di perdonare noi stessi e così teniamo anche lontano il perdono di Dio.
Con la sua Croce il Signore Gesù ci dice che il Padre perdona chiunque si rivolga con sincerità e pentimento a lui, perché è Dio di misericordia, questo non lo dobbiamo mai dimenticare. Papa Francesco ha voluto indire un Giubileo della Misericordia perché è ciò di cui abbiamo tutti più bisogno. Ma se non siamo disposti a perdonare noi stessi non saremo nemmeno disposti ad accogliere la misericordia di Dio per noi. Impariamo dunque a perdonare noi stessi e diventeremo capaci di perdonare anche chi ci ha fatto del male, inizieremo così ad amare come Gesù ci ama, rinsalderemo il nostro cuore nel suo amore e comprenderemo, col cuore, che non solo non abbiamo nulla da temere dal suo ritorno ma che anzi dobbiamo aspettarlo con tutto noi stessi perché sarà il compimento di tutta la nostra vita.
sabato 21 novembre 2015
Re della verità - Riflessione sul Vangelo di domenica 22 novembre 2015
Nell'aula della mia quinta elementare c'era una grande cartina dell'Italia con le regioni colorate con colori diversi e quando la maestra ci interrogava in geografia per prima cosa ci chiedeva di indicare i confini di ogni regione. All'epoca non mi era ben chiaro quale fosse la ragione di tanta attenzione proprio ai confini, capii successivamente che i confini erano importanti per identificare l'appartenenza di un determinato luogo all'una o all'altra regione.
Dall'inizio della sua predicazione, Gesù ha parlato del Regno di Dio, nel Vangelo di questa domenica si proclama egli stesso Re, ma quali sono i confini di questo Regno?
Gesù stesso precisa che il suo Regno non è di questo mondo, è dunque inutile cercarne i confini sulla cartina geografica, eppure è un regno in cui tutti siamo invitati ad entrare, di cui siamo stati resi cittadini con il Battesimo.
Non è facile per noi da capire, siamo abituati alle cose di questo mondo che hanno dei confini precisi, non solo gli stati o le regioni, tutto ha dei confini, anche noi abbiamo dei confini, potremmo dire che la nostra pelle è il confine del nostro corpo. Il Regno di Dio non è di questo mondo, quindi dobbiamo partire con l'idea che si tratta di qualcosa di diverso da ciò a cui siamo abituati, cercare dei confini fisici sarebbe inutile. Tuttavia anche il Regno di Dio ha un confine: la verità. Gesù afferma davanti a Pilato di essere venuto per dare testimonianza alla verità e chi è dalla verità ascolta la sua voce. Dunque il Regno di Dio è il regno della verità e Gesù è il Re della verità perché ci conduce alla verità.
Ma cosa significa che il Regno di Dio è il regno della verità?
Guardiamo alla nostra vita, quante volte non siamo veri, non solo quando diciamo le bugie, non siamo veri nemmeno quando ci comportiamo in modo autentico, quando fingiamo di essere diversi da quello che siamo per essere come gli altri ci vogliono. Non viviamo secondo verità quando non siamo disposti a riconoscere le nostre debolezze, i nostri limiti, e cerchiamo di nasconderli, di negarli, di mascherarli. Non viviamo secondo verità quando le nostre relazioni non sono gratuite ma interessate, quando siamo amici di qualcuno perché ci fa comodo, quando cerchiamo di approfittarci delle situazioni. In tutte queste situazioni, e in molte altre, non siamo veri, non viviamo secondo verità e così non siamo nemmeno liberi, siamo schiavi della menzogna che ci costringe a vivere in modo falso. Quante volte ci sentiamo appesantiti, siamo tristi, scoraggiati, delusi dalla vita che abbiamo, è perché non viviamo secondo verità, forse perché ne abbiamo paura, forse perché pensiamo che possa farci male.
Gesù è il nostro Re, è il Re della verità e, come ogni buon re, guida i suoi verso il Regno. Lasciamoci guidare da Gesù a vivere la verità, lasciamoci liberare dalla schiavitù della menzogna, scegliamo di seguirlo, di riconoscerlo come nostro Re.
Per fare tutto questo dobbiamo solo metterci in ascolto della sua parola di verità, che ci libera, che ci salva.
Per ascoltare dobbiamo innanzi tutto fare silenzio noi poi dobbiamo mettere a tacere le tante voci che risuonano intorno a noi e nella nostra mente che ci spingono alla menzogna. Quando avremo fatto silenzio nella nostra vita potremo metterci in ascolto della parola del Signore Gesù, all'inizio sarà difficile da comprendere, come quando si impara una lingua nuova, poi piano piano ci diventerà familiare, impareremo a riconoscerne le caratteristiche, come riconosciamo la voce delle persone care. Il Signore parla a ciascuno di noi in modo diverso ma possiamo riconoscere la sua voce perché è l'unica che ci dice la verità della nostra vita, della nostra esistenza.
Vieni a regnare nella mia vita, Signore Gesù, a riportare verità, vieni a sconfiggere la menzogna, la falsità, l'inganno, vieni a liberarmi da ciò che mi costringe a portare una maschera, a fingere di essere diverso da quello che sono, sarò così, finalmente, libero da ciò che mi ha fatto soffrire, che mi ha intristito e angosciato e inizierò a vivere la vita che il Padre desidera per me, quella di figlio amato.
Dall'inizio della sua predicazione, Gesù ha parlato del Regno di Dio, nel Vangelo di questa domenica si proclama egli stesso Re, ma quali sono i confini di questo Regno?
Gesù stesso precisa che il suo Regno non è di questo mondo, è dunque inutile cercarne i confini sulla cartina geografica, eppure è un regno in cui tutti siamo invitati ad entrare, di cui siamo stati resi cittadini con il Battesimo.
Non è facile per noi da capire, siamo abituati alle cose di questo mondo che hanno dei confini precisi, non solo gli stati o le regioni, tutto ha dei confini, anche noi abbiamo dei confini, potremmo dire che la nostra pelle è il confine del nostro corpo. Il Regno di Dio non è di questo mondo, quindi dobbiamo partire con l'idea che si tratta di qualcosa di diverso da ciò a cui siamo abituati, cercare dei confini fisici sarebbe inutile. Tuttavia anche il Regno di Dio ha un confine: la verità. Gesù afferma davanti a Pilato di essere venuto per dare testimonianza alla verità e chi è dalla verità ascolta la sua voce. Dunque il Regno di Dio è il regno della verità e Gesù è il Re della verità perché ci conduce alla verità.
Ma cosa significa che il Regno di Dio è il regno della verità?
Guardiamo alla nostra vita, quante volte non siamo veri, non solo quando diciamo le bugie, non siamo veri nemmeno quando ci comportiamo in modo autentico, quando fingiamo di essere diversi da quello che siamo per essere come gli altri ci vogliono. Non viviamo secondo verità quando non siamo disposti a riconoscere le nostre debolezze, i nostri limiti, e cerchiamo di nasconderli, di negarli, di mascherarli. Non viviamo secondo verità quando le nostre relazioni non sono gratuite ma interessate, quando siamo amici di qualcuno perché ci fa comodo, quando cerchiamo di approfittarci delle situazioni. In tutte queste situazioni, e in molte altre, non siamo veri, non viviamo secondo verità e così non siamo nemmeno liberi, siamo schiavi della menzogna che ci costringe a vivere in modo falso. Quante volte ci sentiamo appesantiti, siamo tristi, scoraggiati, delusi dalla vita che abbiamo, è perché non viviamo secondo verità, forse perché ne abbiamo paura, forse perché pensiamo che possa farci male.
Gesù è il nostro Re, è il Re della verità e, come ogni buon re, guida i suoi verso il Regno. Lasciamoci guidare da Gesù a vivere la verità, lasciamoci liberare dalla schiavitù della menzogna, scegliamo di seguirlo, di riconoscerlo come nostro Re.
Per fare tutto questo dobbiamo solo metterci in ascolto della sua parola di verità, che ci libera, che ci salva.
Per ascoltare dobbiamo innanzi tutto fare silenzio noi poi dobbiamo mettere a tacere le tante voci che risuonano intorno a noi e nella nostra mente che ci spingono alla menzogna. Quando avremo fatto silenzio nella nostra vita potremo metterci in ascolto della parola del Signore Gesù, all'inizio sarà difficile da comprendere, come quando si impara una lingua nuova, poi piano piano ci diventerà familiare, impareremo a riconoscerne le caratteristiche, come riconosciamo la voce delle persone care. Il Signore parla a ciascuno di noi in modo diverso ma possiamo riconoscere la sua voce perché è l'unica che ci dice la verità della nostra vita, della nostra esistenza.
Vieni a regnare nella mia vita, Signore Gesù, a riportare verità, vieni a sconfiggere la menzogna, la falsità, l'inganno, vieni a liberarmi da ciò che mi costringe a portare una maschera, a fingere di essere diverso da quello che sono, sarò così, finalmente, libero da ciò che mi ha fatto soffrire, che mi ha intristito e angosciato e inizierò a vivere la vita che il Padre desidera per me, quella di figlio amato.
sabato 14 novembre 2015
Pronti all'incontro più importante - Riflessione sul Vangelo di domenica 15 novembre 2015
Quando ero in Seminario, per la festa della Madonna della Fiducia, il Papa veniva ad incontrare noi seminaristi. Era un momento molto emozionante e i giorni precedenti erano dedicati a tanti preparativi: si tiravano a lucido tutti gli ambienti, arrivavano le piante e i fiori per adornare i corridoi, la sala e il refettorio dove avremmo ricevuto il Santo Padre, si apparecchiavano i tavoli con piatti e bicchieri preziosi... ognuno aveva un compito specifico, tutti ci preparavamo ad un incontro speciale.
Forse non a tutti sarà capitato di dover incontrare il Papa ma penso che tutti abbiamo sperimentato la trepidazione dell'attesa di un incontro speciale, l'attenzione nel preparare tutto, il timore che qualcosa possa andare storto... Gli incontri importanti vanno preparati con cura.
Ognuno di noi, nella vita, si trova a dover fare degli incontri importanti, tutti però ci stiamo preparando ad un incontro speciale, l'incontro più importante di tutta la nostra esistenza: l'incontro con il Signore Gesù.
Il Vangelo di questa domenica ci parla proprio di questo incontro ma lo fa con un linguaggio un po' difficile. In gergo tecnico si chiama linguaggio apocalittico perché diffuso in molti libri di profeti, in alcune pagine del Vangelo e nel libro dell'Apocalisse, nei quali Dio rivela il compimento della salvezza che il Signore Gesù è venuto a portarci. Nulla a che fare, dunque, con l'idea di catastrofi e sconvolgimenti vari. Dobbiamo tenere conto che quanto descritto non va preso alla lettera ma compreso nella prospettiva di tutta la Buona Notizia della salvezza.
Per comprendere, allora, la pagina di Vangelo che la Chiesa ci consegna questa domenica seguiamo l'indicazione di Gesù che ci invita a guardare all'albero del fico. Ora noi non abbiamo più molte competenze botaniche ma all'epoca di Gesù si faceva molta attenzione ai cambiamenti della natura per comprendere il corso dell'anno. Il fico è una delle poche piante della Palestina che perde le foglie durante il breve inverno e, non appena la temperatura inizia a risalire fa rispuntare le sue foglie, si prepara a lasciarsi illuminare e riscaldare dal sole affinché possa poi produrre i suoi frutti maturi e dolci.
Anche noi dobbiamo prepararci all'incontro con il Signore Gesù, anche noi dobbiamo disporci a lasciarci illuminare dalla sua luce, riscaldare dal suo amore affinché la nostra vita possa ancora portare frutto. Attorno a noi vediamo tanti eventi che ci preoccupano, che ci inquietano, che ci spaventano. Gli inumani attentati terroristici di questi giorni sono solo uno dei tanti eventi dolorosi e spaventosi che potrebbero indurci a dubitare che il Signore stia ancora pensando a noi, che potrebbero farci pensare che ci abbia abbandonato la male, alla crudeltà, alla barbarie.
No, il Signore non ci ha dimenticato, viene a radunare i suoi, da tutti i confini della terra, non ci lascia soli, ce lo ha promesso e la sua promessa non viene mai meno. Il Signore Gesù è venuto a donarci la vita eterna, a radunarci nel suo Regno e se anche sembra che non risolva i problemi di questo mondo è perché ha preparato per noi qualcosa di ben più importante e prezioso. San Paolo, nella Lettera ai Romani, afferma "Ritengo che le sofferenze del tempo presente non siano paragonabili alla gloria futura che dovrà essere rivelata in noi". Ciò che ora ci sconvolge, ci fa soffrire, ci confonde, non è nulla di fronte alla gloria che il Signore ha preparato per noi tutti, non lasciamoci distrarre, non permettiamo al male di questo mondo di toglierci la virtù teologale della Speranza che è l'attesa del Signore Gesù che viene a salvarci, a liberare la nostra vita. Non permettiamo al male di questo mondo di coinvolgerci nel suo meccanismo autodistruttivo, non cediamo alla tentazione dell'odio e della paura.
Non sappiamo quando il Signore Gesù verrà, meglio, così possiamo iniziare a prepararci da oggi stesso e non rischiare di non essere pronti quando verrà il giorno in cui entreremo nella pienezza della gloria di Dio, in quella patria che è pronta per ciascuno di noi.
Forse non a tutti sarà capitato di dover incontrare il Papa ma penso che tutti abbiamo sperimentato la trepidazione dell'attesa di un incontro speciale, l'attenzione nel preparare tutto, il timore che qualcosa possa andare storto... Gli incontri importanti vanno preparati con cura.
Ognuno di noi, nella vita, si trova a dover fare degli incontri importanti, tutti però ci stiamo preparando ad un incontro speciale, l'incontro più importante di tutta la nostra esistenza: l'incontro con il Signore Gesù.
Il Vangelo di questa domenica ci parla proprio di questo incontro ma lo fa con un linguaggio un po' difficile. In gergo tecnico si chiama linguaggio apocalittico perché diffuso in molti libri di profeti, in alcune pagine del Vangelo e nel libro dell'Apocalisse, nei quali Dio rivela il compimento della salvezza che il Signore Gesù è venuto a portarci. Nulla a che fare, dunque, con l'idea di catastrofi e sconvolgimenti vari. Dobbiamo tenere conto che quanto descritto non va preso alla lettera ma compreso nella prospettiva di tutta la Buona Notizia della salvezza.
Per comprendere, allora, la pagina di Vangelo che la Chiesa ci consegna questa domenica seguiamo l'indicazione di Gesù che ci invita a guardare all'albero del fico. Ora noi non abbiamo più molte competenze botaniche ma all'epoca di Gesù si faceva molta attenzione ai cambiamenti della natura per comprendere il corso dell'anno. Il fico è una delle poche piante della Palestina che perde le foglie durante il breve inverno e, non appena la temperatura inizia a risalire fa rispuntare le sue foglie, si prepara a lasciarsi illuminare e riscaldare dal sole affinché possa poi produrre i suoi frutti maturi e dolci.
Anche noi dobbiamo prepararci all'incontro con il Signore Gesù, anche noi dobbiamo disporci a lasciarci illuminare dalla sua luce, riscaldare dal suo amore affinché la nostra vita possa ancora portare frutto. Attorno a noi vediamo tanti eventi che ci preoccupano, che ci inquietano, che ci spaventano. Gli inumani attentati terroristici di questi giorni sono solo uno dei tanti eventi dolorosi e spaventosi che potrebbero indurci a dubitare che il Signore stia ancora pensando a noi, che potrebbero farci pensare che ci abbia abbandonato la male, alla crudeltà, alla barbarie.
No, il Signore non ci ha dimenticato, viene a radunare i suoi, da tutti i confini della terra, non ci lascia soli, ce lo ha promesso e la sua promessa non viene mai meno. Il Signore Gesù è venuto a donarci la vita eterna, a radunarci nel suo Regno e se anche sembra che non risolva i problemi di questo mondo è perché ha preparato per noi qualcosa di ben più importante e prezioso. San Paolo, nella Lettera ai Romani, afferma "Ritengo che le sofferenze del tempo presente non siano paragonabili alla gloria futura che dovrà essere rivelata in noi". Ciò che ora ci sconvolge, ci fa soffrire, ci confonde, non è nulla di fronte alla gloria che il Signore ha preparato per noi tutti, non lasciamoci distrarre, non permettiamo al male di questo mondo di toglierci la virtù teologale della Speranza che è l'attesa del Signore Gesù che viene a salvarci, a liberare la nostra vita. Non permettiamo al male di questo mondo di coinvolgerci nel suo meccanismo autodistruttivo, non cediamo alla tentazione dell'odio e della paura.
Non sappiamo quando il Signore Gesù verrà, meglio, così possiamo iniziare a prepararci da oggi stesso e non rischiare di non essere pronti quando verrà il giorno in cui entreremo nella pienezza della gloria di Dio, in quella patria che è pronta per ciascuno di noi.
venerdì 6 novembre 2015
Tutto quello che abbiamo per vivere - Riflessione sul Vangelo di domenica 8 novembre 2015
Una volta, l'unico tipo di telefono esistente era quello fisso e accanto aveva sempre la rubrica su cui segnare i numeri di telefono di parenti, amici, dell'elettricista, dell'idraulico e del medico. Oggi tutti abbiamo gli smartphones che, tra le mille funzioni che svolgono, hanno anche la rubrica di tutti i nostri contatti permettendoci di ordinarla secondo i nostri criteri. Possiamo così indicare alcuni numeri come preferiti così da averli subito a disposizione. Sì perché ognuno di noi ha tante amicizie ma non sono tutte uguali, ci sono amici per i quali siamo sempre pronti e disponibili e altri ai quali ci dedichiamo solo quando ne abbiamo voglia.
Ci sono amici per i quali siamo disposti a rinunciare ai nostri progetti, alle nostre comodità, al riposo e al relax, ce ne sono altri a cui rispondiamo solo se proprio non abbiamo nient'altro di meglio da fare. Ad alcuni siamo disposti di donare tutto quello che abbiamo, ad altri solo il superfluo.
Non tutte le persone con cui siamo in relazione hanno per noi la stessa importanza, inutile negarlo, ma è del tutto umano. Anzi, se vogliamo capire quanto teniamo ad una persona chiediamoci cosa siamo disposti a fare per lei, quanto di noi siamo disposti a donare.
Nel Vangelo di questa domenica Gesù è nel tempio e con i suoi discepoli guarda la gente che entra e getta la propria offerta nel tesoro: ci sono tanti ricchi che gettano tante monete tintinnanti e poi c'è una povera vedova che vi getta solo due spiccioli. Uno sguardo umano porta a pensare che i ricchi abbiano contribuito molto di più ma Gesù, che legge i cuori, svela ai suoi discepoli che la povera vedova ha dato molto più degli altri perché ha dato tutto quello che aveva.
Sappiamo bene che il Vangelo non è solo una cronaca di fatti avvenuti duemila anni fa, parla a ciascuno di noi e questa domenica ci chiede: e tu? Cosa sei disposto a dare a Dio? Gli doni il superfluo o tutto quello che hai, tutta la tua vita?
Tante volte, forse senza nemmeno rendercene veramente conto, diamo a Dio solo il superfluo, siamo presi da mille impegni, mille progetti, mille necessità, e gli dedichiamo solo pochi minuti al giorno per una rapida preghiera. Magari ci sembra di aver dato tanto ma se guardiamo bene si tratta solo del superfluo, abbiamo paura a dare altro, a rinunciare alle nostre aspirazioni, ai nostri desideri e piaceri, temiamo di non avere poi abbastanza per noi.
Forse pensiamo di non avere abbastanza, che quello che possiamo dare al Signore è poco perché magari siamo avanti in età e le forze ci hanno abbandonato, magari siamo giovani ma abbiamo mille impegni lavorativi, familiari, di studio, ci sembra che non resti gran che da offrire. Non importa! Impariamo ad offrire al Signore tutta la nostra vita, i nostri progetti, le nostre aspirazioni, i nostri impegni, le nostre azioni, offriamogli tutta la nostra vita senza la paura di restare senza il necessario, Dio si prende cura di noi, non ci fa mancare nulla.
Ma come si fa a dare al Signore tutta la nostra vita? Significa che dobbiamo scegliere tutti la vita consacrata? No! O meglio, sì! La nostra vita è già consacrata, lo è dal giorno del nostro battesimo. Basta ora scegliere di vivere secondo il nostro battesimo. Donare a Dio la nostra vita significa mettere tutto quello che siamo e abbiamo a sua disposizione affinché faccia di noi degli strumenti della sua salvezza. Detto così sembra difficile, faticoso, impegnativo, invece basta solo fidarsi di lui, lasciando che ci coinvolga nel suo disegno di salvezza. Basta non aver paura di rinunciare a ciò che ci fa comodo e ci piace ed essere pronti a lasciarci smobilitare dalle occasioni della vita. Basta essere disposti a farci insegnare ad amare come ama lui, senza paura di restare senza nulla perché, in fin dei conti, l'unica cosa di cui abbiamo veramente bisogno nella vita è l'amore!
Donare tutto quello che abbiamo per vivere a Dio non è altro che questo iniziare ad amare come ama lui, in modo del tutto gratuito e libero. Non c'è bisogno di chiedersi: cosa devo fare? L'amore non sta mai con le mani in mano, si mette sempre in azione per compiacere l'amato. Lasciamo che Dio trasformi la nostra vita in amore donato e troveremo la gioia senza fine.
sabato 31 ottobre 2015
Alla ricerca delle felicità - Riflessione sul Vangelo di domenica 1° novembre 2015
Molti di noi da bambini, ma forse anche da grandi, hanno partecipato almeno una volta a una caccia al tesoro, gioco abbastanza diffuso e sicuramente divertente il cui scopo è, appunto, ricercare il tesoro. Un mio caro amico con cui eravamo insieme catechisti dei ragazzi era bravissimo a organizzare cacce al tesoro, ci costringeva a correre da una parte all'altra del paese, a risolvere enigmi e a superare prove per riuscire a trovare il tesoro finale. Di solito si trattava di una scatola con qualche dolcetto o con un portachiavi per ciascun membro della squadra, poca cosa, ma la soddisfazione era essere arrivati a trovare il tesoro.
Forse non tutti hanno avuto la fortuna di incontrare animatori e catechisti così bravi da organizzare cacce al tesoro divertenti e coinvolgenti ma sicuramente tutti partecipiamo ogni giorno ad una vera e propria caccia al tesoro: la vita.
In fondo la vita è una caccia al tesoro dove il tesoro non è altro che la felicità. Ogni nostra attività non è altro che una ricerca della felicità, ogni nostra scelta è un tentativo di raggiungere il tesoro che il nostro cuore desidera.
Proprio come in una caccia al tesoro andiamo per tentativi, la cerchiamo nelle relazioni, nello studio, nell'impegno lavorativo e professionale, nelle amicizie, la cerchiamo anche nei beni materiali, nelle ricchezze, la cerchiamo in tutte le cose che ci danno l'impressione di farci stare bene ma non riusciamo a trovarla.
Possiamo andare avanti così tutta la vita, continuando a tentare, oppure possiamo chiedere a chi l'ha trovata: i santi!
I santi sono persone come noi, con le nostre stesse capacità, con vite simili alle nostre, che hanno vissuto fatiche, difficoltà e problemi come li viviamo noi, che hanno cercato anche loro la felicità e, ad un certo punto della loro vita l'hanno trovata. Proviamo allora a chiedere a loro: diteci, dov'è la felicità?
I santi sono davvero tantissimi, hanno vite tanto diverse ed esperienze le più disparate, eppure tutti sono felici, cercate quanto volete, non troverete mai nessun santo triste.
I santi, con le loro esperienze di vita ci dicono che la nostra felicità è Dio e lui soltanto. L'unico che può donare felicità alla nostra vita è il Signore e, dunque, per trovare la felicità basta aprire il cuore a lui, quindi dobbiamo imparare a evitare tutte quelle situazioni della vita quotidiana che ci portano a chiudere il nostro cuore, a ripiegarci su noi stessi.
Gesù ci ha tracciato la strada con le beatitudini e i santi l'hanno percorsa prima di noi così ora ci possono rassicurare che è quella giusta.
A noi sembra assurdo perché la strada che Gesù traccia passa proprio da quelle situazioni che vorremmo evitare perché pensiamo che possano solo portarci male e invece è proprio lì che troviamo la nostra beatitudine.
La gioia è nel sapersi riconoscere bisognosi di tutto, nel saper riconoscere la propria povertà perché ricchezza e superbia ci chiudono in noi stessi, ci fanno confidare solo nelle nostre capacità.
La gioia è nell'affrontare le situazioni difficili della vita, quelle che ci fanno piangere, perché sono quelle che ci fanno crescere, che ci plasmano, che ci rendono attenti agli altri.
La gioia è nella mitezza perché la prepotenza ci conduce alla solitudine.
La gioia è nella ricerca della giustizia perché la furbizia e la disonestà ci rende antipatici e infidi e nessuno vuole più starci accanto.
La gioia è nella misericordia perché anche noi abbiamo bisogno di sentirci amati e perdonati.
La gioia è nella purezza perché malizia e furbizia ci portano a considerare le persone che abbiamo accanto alla stregua di oggetti da sfruttare.
La gioia è nella pace perché litigi e guerre feriscono il cuore in modo indelebile.
La gioia è nella pazienza anche davanti all'ingiustizia subita perché la vendetta porta con sé tristezza e rabbia.
La gioia è nel vivere pienamente la nostra vita con il Signore Gesù, anche quando chi abbiamo accanto non ci capisce, non approva la nostra scelta, ci tratta male, ci perseguita, perché solo lui dona gioia vera alla nostra vita.
Se i santi fossero solo una decina potremmo pensare che siano stati solo un piccolo gruppo di matti ma sono migliaia e migliaia e tutti felici.
Lasciamoci guidare da loro, incamminiamoci per la strada delle beatitudini e troveremo il tesoro della nostra vita, l'amore di Dio per ciascuno di noi.
Forse non tutti hanno avuto la fortuna di incontrare animatori e catechisti così bravi da organizzare cacce al tesoro divertenti e coinvolgenti ma sicuramente tutti partecipiamo ogni giorno ad una vera e propria caccia al tesoro: la vita.
In fondo la vita è una caccia al tesoro dove il tesoro non è altro che la felicità. Ogni nostra attività non è altro che una ricerca della felicità, ogni nostra scelta è un tentativo di raggiungere il tesoro che il nostro cuore desidera.
Proprio come in una caccia al tesoro andiamo per tentativi, la cerchiamo nelle relazioni, nello studio, nell'impegno lavorativo e professionale, nelle amicizie, la cerchiamo anche nei beni materiali, nelle ricchezze, la cerchiamo in tutte le cose che ci danno l'impressione di farci stare bene ma non riusciamo a trovarla.
Possiamo andare avanti così tutta la vita, continuando a tentare, oppure possiamo chiedere a chi l'ha trovata: i santi!
I santi sono persone come noi, con le nostre stesse capacità, con vite simili alle nostre, che hanno vissuto fatiche, difficoltà e problemi come li viviamo noi, che hanno cercato anche loro la felicità e, ad un certo punto della loro vita l'hanno trovata. Proviamo allora a chiedere a loro: diteci, dov'è la felicità?
I santi sono davvero tantissimi, hanno vite tanto diverse ed esperienze le più disparate, eppure tutti sono felici, cercate quanto volete, non troverete mai nessun santo triste.
I santi, con le loro esperienze di vita ci dicono che la nostra felicità è Dio e lui soltanto. L'unico che può donare felicità alla nostra vita è il Signore e, dunque, per trovare la felicità basta aprire il cuore a lui, quindi dobbiamo imparare a evitare tutte quelle situazioni della vita quotidiana che ci portano a chiudere il nostro cuore, a ripiegarci su noi stessi.
Gesù ci ha tracciato la strada con le beatitudini e i santi l'hanno percorsa prima di noi così ora ci possono rassicurare che è quella giusta.
A noi sembra assurdo perché la strada che Gesù traccia passa proprio da quelle situazioni che vorremmo evitare perché pensiamo che possano solo portarci male e invece è proprio lì che troviamo la nostra beatitudine.
La gioia è nel sapersi riconoscere bisognosi di tutto, nel saper riconoscere la propria povertà perché ricchezza e superbia ci chiudono in noi stessi, ci fanno confidare solo nelle nostre capacità.
La gioia è nell'affrontare le situazioni difficili della vita, quelle che ci fanno piangere, perché sono quelle che ci fanno crescere, che ci plasmano, che ci rendono attenti agli altri.
La gioia è nella mitezza perché la prepotenza ci conduce alla solitudine.
La gioia è nella ricerca della giustizia perché la furbizia e la disonestà ci rende antipatici e infidi e nessuno vuole più starci accanto.
La gioia è nella misericordia perché anche noi abbiamo bisogno di sentirci amati e perdonati.
La gioia è nella purezza perché malizia e furbizia ci portano a considerare le persone che abbiamo accanto alla stregua di oggetti da sfruttare.
La gioia è nella pace perché litigi e guerre feriscono il cuore in modo indelebile.
La gioia è nella pazienza anche davanti all'ingiustizia subita perché la vendetta porta con sé tristezza e rabbia.
La gioia è nel vivere pienamente la nostra vita con il Signore Gesù, anche quando chi abbiamo accanto non ci capisce, non approva la nostra scelta, ci tratta male, ci perseguita, perché solo lui dona gioia vera alla nostra vita.
Se i santi fossero solo una decina potremmo pensare che siano stati solo un piccolo gruppo di matti ma sono migliaia e migliaia e tutti felici.
Lasciamoci guidare da loro, incamminiamoci per la strada delle beatitudini e troveremo il tesoro della nostra vita, l'amore di Dio per ciascuno di noi.
sabato 24 ottobre 2015
Grida forte, il Signore ti ascolta - Riflessione sul Vangelo di domenica 25 ottobre 2015
Se dovessimo descrivere con un'immagine la vita ideale potremmo utilizzare l'immagine di una passeggiata in un bel parco in una bella giornata di sole, serena e tranquilla. Spesso però la nostra vita non assomiglia ad una bella passeggiata, ma piuttosto ad un percorso ad ostacoli, ad un corso di sopravvivenza, spesso ci sentiamo come in un vicolo cieco, schiacciati dalle difficoltà e dalle fatiche, dai problemi e dalle sofferenze. Ci troviamo a mendicare affetto e attenzione da chi abbiamo intorno, ci sembra di non avere nulla se non il bisogno di tutto.
Così doveva sentirsi Bartimeo, cieco e mendicante, schiacciato dalle fatiche imposte dalla sua cecità, costretto a sperare nel buon cuore di chi si trovava a passargli accanto.
Tutto cambiò il giorno in cui gli passò accanto Gesù e lui, con tutto il fiato che aveva in corpo gli gridò "Figlio di Davide, abbi pietà di me" e non si fermò nemmeno quando tutti gli dicevano di tacere. Bartimeo sapeva, in cuor suo, che solo Gesù l'avrebbe potuto salvare così non smise di gridare, anzi alzò ancora di più la voce. Gesù ascoltava non solo con le orecchie ma col cuore e non gli sfuggiva mai un grido di aiuto, un'invocazione fatta con fede. Si fermò e lo fece chiamare. Bartimeo balza in piedi e si libera dell'unica sua ricchezza, il mantello, è così sicuro che l'incontro con Gesù sarà la cosa più importante che possa capitargli, tutto il resto ormai non conta più nulla.
È più che ovvio quale sia la necessità di Bartimeo eppure Gesù gli chiede "cosa vuoi che io faccia per te?" Il Signore non ama imporre nulla a nessuno, vuole una relazione libera con chi ha dinanzi, vuole che sia Bartimeo a chiedergli la vista, in piena libertà. Così avviene ma la risposta di Gesù rivela che c'è un miracolo ben più grande del recupero della vista che è avvenuto nella vita di Bartimeo: la fede. Il dono che Bartimeo ha ricevuto in quel giorno non è stato la vista ma la fede, la relazione con Dio.
Gesù dice a Bartimeo: "la tua fede ti ha salvato". Gli sarebbe servita a ben poco la vista se poi la sua vita fosse tornata ad essere un vicolo cieco affollato di sofferenze e preoccupazioni. Bartimeo ha sentito parlare di Gesù, ha scelto di fidarsi di lui, di chiedergli la cosa di cui più aveva bisogno ma non aveva ancora capito che quando si è trovato davanti al Signore la cosa più importante già l'aveva: la fede in lui. Infatti poi Bartimeo inizia a seguirlo.
Il Signore passa anche nelle nostre vite, cammina sulle strade della nostra esistenza, lo stesso Signore che ha ridato la vista a Bartimeo, passa anche accanto a noi mentre elemosiniamo dagli altri affetto, attenzione, riconoscimento, fama. Tendiamo l'orecchio come ha fatto Bartimeo, siamo pronti a riconoscere il suo passo e non temiamo, anche noi, di gridare forte "Signore Gesù, abbi pietà di me!" Sì gridiamo forte, con la voce del nostro cuore, non temiamo di disturbarlo, anche se tante voci della nostra vita ci diranno di tacere, ci diranno che non siamo degni della sua attenzione, che Gesù non può certo interessarsi a dei poveracci come noi, ha altre cose più importanti da fare. Non diamo retta a queste voci e continuiamo a gridare "Abbi pietà di me!" Il Signore Gesù ascolta il grido del nostro cuore e non lo lascia cadere si ferma e ci chiama a sé per guarirci, per ridonarci la luce , per colmarci della sua grazia. Lo fa con la sua delicatezza e tenerezza, non abbiamo paura di osare, di chiedere tanto, fidiamoci pienamente di lui e Gesù guarirà la nostra vita, le nostre cecità, ci darà occhi nuovi, capaci di riconoscere il suo amore, la sua luce.
Forse ci hanno insegnato che non bisogna scomodare il Signore per le nostre piccolezze, forse ci hanno insegnato a chiedere senza aspettare che poi le nostre preghiere siano esaudite, forse ci hanno insegnato a rassegnarci a tirare avanti come siamo.
Gesù oggi passa nella tua vita, grida a lui, invoca la sua misericordia, sii pronto a lasciare tutto per lui, scoprirai che l'unica cosa importante è la fede in lui, la relazione con lui perché quando siamo con Lui abbiamo tutto ciò che ci occorre, tutto il resto non conta.
Così doveva sentirsi Bartimeo, cieco e mendicante, schiacciato dalle fatiche imposte dalla sua cecità, costretto a sperare nel buon cuore di chi si trovava a passargli accanto.
Tutto cambiò il giorno in cui gli passò accanto Gesù e lui, con tutto il fiato che aveva in corpo gli gridò "Figlio di Davide, abbi pietà di me" e non si fermò nemmeno quando tutti gli dicevano di tacere. Bartimeo sapeva, in cuor suo, che solo Gesù l'avrebbe potuto salvare così non smise di gridare, anzi alzò ancora di più la voce. Gesù ascoltava non solo con le orecchie ma col cuore e non gli sfuggiva mai un grido di aiuto, un'invocazione fatta con fede. Si fermò e lo fece chiamare. Bartimeo balza in piedi e si libera dell'unica sua ricchezza, il mantello, è così sicuro che l'incontro con Gesù sarà la cosa più importante che possa capitargli, tutto il resto ormai non conta più nulla.
È più che ovvio quale sia la necessità di Bartimeo eppure Gesù gli chiede "cosa vuoi che io faccia per te?" Il Signore non ama imporre nulla a nessuno, vuole una relazione libera con chi ha dinanzi, vuole che sia Bartimeo a chiedergli la vista, in piena libertà. Così avviene ma la risposta di Gesù rivela che c'è un miracolo ben più grande del recupero della vista che è avvenuto nella vita di Bartimeo: la fede. Il dono che Bartimeo ha ricevuto in quel giorno non è stato la vista ma la fede, la relazione con Dio.
Gesù dice a Bartimeo: "la tua fede ti ha salvato". Gli sarebbe servita a ben poco la vista se poi la sua vita fosse tornata ad essere un vicolo cieco affollato di sofferenze e preoccupazioni. Bartimeo ha sentito parlare di Gesù, ha scelto di fidarsi di lui, di chiedergli la cosa di cui più aveva bisogno ma non aveva ancora capito che quando si è trovato davanti al Signore la cosa più importante già l'aveva: la fede in lui. Infatti poi Bartimeo inizia a seguirlo.
Il Signore passa anche nelle nostre vite, cammina sulle strade della nostra esistenza, lo stesso Signore che ha ridato la vista a Bartimeo, passa anche accanto a noi mentre elemosiniamo dagli altri affetto, attenzione, riconoscimento, fama. Tendiamo l'orecchio come ha fatto Bartimeo, siamo pronti a riconoscere il suo passo e non temiamo, anche noi, di gridare forte "Signore Gesù, abbi pietà di me!" Sì gridiamo forte, con la voce del nostro cuore, non temiamo di disturbarlo, anche se tante voci della nostra vita ci diranno di tacere, ci diranno che non siamo degni della sua attenzione, che Gesù non può certo interessarsi a dei poveracci come noi, ha altre cose più importanti da fare. Non diamo retta a queste voci e continuiamo a gridare "Abbi pietà di me!" Il Signore Gesù ascolta il grido del nostro cuore e non lo lascia cadere si ferma e ci chiama a sé per guarirci, per ridonarci la luce , per colmarci della sua grazia. Lo fa con la sua delicatezza e tenerezza, non abbiamo paura di osare, di chiedere tanto, fidiamoci pienamente di lui e Gesù guarirà la nostra vita, le nostre cecità, ci darà occhi nuovi, capaci di riconoscere il suo amore, la sua luce.
Forse ci hanno insegnato che non bisogna scomodare il Signore per le nostre piccolezze, forse ci hanno insegnato a chiedere senza aspettare che poi le nostre preghiere siano esaudite, forse ci hanno insegnato a rassegnarci a tirare avanti come siamo.
Gesù oggi passa nella tua vita, grida a lui, invoca la sua misericordia, sii pronto a lasciare tutto per lui, scoprirai che l'unica cosa importante è la fede in lui, la relazione con lui perché quando siamo con Lui abbiamo tutto ciò che ci occorre, tutto il resto non conta.
sabato 17 ottobre 2015
Amore che si fa servizio - Riflessione sul Vangelo di Domenica 18 ottobre 2015
Tutti, nella vita, ci siamo trovati a dover obbedire agli ordini di qualcun altro, salvo pochi casi, è una situazione quotidiana per molti. Da bambini dovevamo obbedire a mamma e papà e fare quello che ci dicevano loro, poi abbiamo iniziato a dover obbedire agli insegnanti, poi al capoufficio e così via. Qualcuno si è adattato più volentieri, altri con un temperamento più ribelle hanno sopportato con meno pazienza, spesso però non avevamo altra scelta. Sono certo che tutti, almeno una volta nella vita, ci siamo trovati a dire "adesso è così, ma quando comanderò io le cose cambieranno!"
Nessuno, penso, sia del tutto immune al fascino del comando, tutti abbiamo ben chiara l'idea che è più importante chi comanda di più.
Anche gli apostoli erano di quest'idea, due di loro, Giacomo e Giovanni, chiedono apertamente a Gesù di riservargli i posti migliori, quelli alla sua destra e alla sua sinistra. Gli altri non erano da meno, infatti restano indignati per essere stati battuti sul tempo, l'avrebbero chiesto anche loro ma i due fratelli sono stati più veloci.
Ancora una volta, però, Gesù li rimprovera un po' e sorprende loro e noi ribaltando completamente la prospettiva: chi vuole essere davvero importante deve farsi il servo di tutti.
Questo ribaltamento di prospettiva forse ci può sorprendere un po' ma, in fondo, è qualcosa che già ben conosciamo.
Da bambini ci sembrava che i genitori ci comandassero solo per imporci la loro volontà, forse anche per farci dispetto e non permetterci di divertirci come volevamo. Non vedevamo, però, tutto quello che facevano per noi, non notavamo le ore di lavoro faticoso per provvedere alle necessità di tutta la famiglia, la fatica di tenere pulita e in ordine la casa.
Da studenti pensavamo che gli insegnanti provassero quasi un piacere perverso a riempirci di compiti e a terrorizzarci con interrogazioni e verifiche ma non vedevamo il tempo speso a preparare le lezioni, a correggere i compiti in classe, a elaborare nuovi modi di spiegare argomenti che ci risultavano più difficili da capire.
Da lavoratori pensiamo che i superiori si limitino a comandare per guadagnare di più e far fare a noi il lavoro che dovrebbero fare loro, non vediamo però che quello stesso capoufficio, che tanto disprezziamo, invece di uscire alle cinque del pomeriggio resta in azienda fino a tarda sera a finire il lavoro della giornata.
Ci sono anche genitori che comandano per limitare la libertà ai figli, insegnanti che terrorizzano gli studenti per il puro gusto di farlo e dirigenti che spadroneggiano per sentirsi importanti, ma sono cattivi genitori, cattivi insegnanti, cattivi dirigenti.
Chi vuole veramente svolgere al meglio il proprio compito di genitore, di insegnante, di dirigente, capisce ben presto che dovrà impegnarsi di più di quando era figlio, alunno, impiegato, e comprende che c'è un solo modo per svolgere bene un ruolo di responsabilità: l'amore.
L'amore, quello vero, si fa servizio, spinge a sacrificare le nostre comodità per le persone che ci sono affidate. L'amore spinge un papà ad andare ogni giorno al lavoro per provvedere ad ogni necessità dei figli, l'amore fa stare sveglio un insegnante fino a tardi a correggere i compiti degli alunni, l'amore fa restare in ufficio fino a notte fonda un dirigente per mantenere l'azienda in buone condizioni e poter continuare a pagare lo stipendio ai dipendenti (ok, di dirigenti così ce ne sono ben pochi, ma qualcuno c'è e sono quelli che fanno andare avanti davvero le aziende).
Gesù ci invita a cambiare prospettiva, a iniziare a pensare al comando non come alla possibilità di sfogo delle nostre mire megalomani ma come alla possibilità di vivere un amore che si fa concreto.
Come sempre, il Signore Gesù non ci insegna a parole ma, innanzi tutto, con i fatti. Lui che è Dio e che avrebbe tutti i diritti di comandarci senza muovere un solo dito, si è fatto uno di noi, si è messo al nostro servizio, ha preso su di sé le nostre sofferenze, ha fatto sua la nostra morte e ci ha donato la sua vita eterna. Gesù, con la sua vita, ci insegna a farci servi, a spenderci per i fratelli, ci mostra che questo è il vero modo di essere il primo.
Nella mia vita ho incontrato tante persone che comandano ma anche tante persone che si mettono a servizio, che hanno ruoli di comando e sono i primi a rimboccarsi le maniche. I primi, quelli che comandano, sono spesso persone sole, inavvicinabili, di cui tutti hanno timore e che cercano di evitare, i secondi sono sempre persone stimate, con cui si parla volentieri, che si sentono vicine e di cui ci si può fidare.
Dunque vale la pena cambiare prospettiva?
Sì, ne val la pena.
Se anche arrivassimo a comandare il mondo intero a cosa servirebbe se poi questo ci rendesse inavvicinabili, evitati da tutti?
Scegliamo di metterci al servizio gli uni degli altri
e la nostra vita troverà una nuova pace e una nuova serenità che non pensavamo nemmeno possibile perché staremo vivendo quello per cui siamo stati creati: l'amore.
Nessuno, penso, sia del tutto immune al fascino del comando, tutti abbiamo ben chiara l'idea che è più importante chi comanda di più.
Anche gli apostoli erano di quest'idea, due di loro, Giacomo e Giovanni, chiedono apertamente a Gesù di riservargli i posti migliori, quelli alla sua destra e alla sua sinistra. Gli altri non erano da meno, infatti restano indignati per essere stati battuti sul tempo, l'avrebbero chiesto anche loro ma i due fratelli sono stati più veloci.
Ancora una volta, però, Gesù li rimprovera un po' e sorprende loro e noi ribaltando completamente la prospettiva: chi vuole essere davvero importante deve farsi il servo di tutti.
Questo ribaltamento di prospettiva forse ci può sorprendere un po' ma, in fondo, è qualcosa che già ben conosciamo.
Da bambini ci sembrava che i genitori ci comandassero solo per imporci la loro volontà, forse anche per farci dispetto e non permetterci di divertirci come volevamo. Non vedevamo, però, tutto quello che facevano per noi, non notavamo le ore di lavoro faticoso per provvedere alle necessità di tutta la famiglia, la fatica di tenere pulita e in ordine la casa.
Da studenti pensavamo che gli insegnanti provassero quasi un piacere perverso a riempirci di compiti e a terrorizzarci con interrogazioni e verifiche ma non vedevamo il tempo speso a preparare le lezioni, a correggere i compiti in classe, a elaborare nuovi modi di spiegare argomenti che ci risultavano più difficili da capire.
Da lavoratori pensiamo che i superiori si limitino a comandare per guadagnare di più e far fare a noi il lavoro che dovrebbero fare loro, non vediamo però che quello stesso capoufficio, che tanto disprezziamo, invece di uscire alle cinque del pomeriggio resta in azienda fino a tarda sera a finire il lavoro della giornata.
Ci sono anche genitori che comandano per limitare la libertà ai figli, insegnanti che terrorizzano gli studenti per il puro gusto di farlo e dirigenti che spadroneggiano per sentirsi importanti, ma sono cattivi genitori, cattivi insegnanti, cattivi dirigenti.
Chi vuole veramente svolgere al meglio il proprio compito di genitore, di insegnante, di dirigente, capisce ben presto che dovrà impegnarsi di più di quando era figlio, alunno, impiegato, e comprende che c'è un solo modo per svolgere bene un ruolo di responsabilità: l'amore.
L'amore, quello vero, si fa servizio, spinge a sacrificare le nostre comodità per le persone che ci sono affidate. L'amore spinge un papà ad andare ogni giorno al lavoro per provvedere ad ogni necessità dei figli, l'amore fa stare sveglio un insegnante fino a tardi a correggere i compiti degli alunni, l'amore fa restare in ufficio fino a notte fonda un dirigente per mantenere l'azienda in buone condizioni e poter continuare a pagare lo stipendio ai dipendenti (ok, di dirigenti così ce ne sono ben pochi, ma qualcuno c'è e sono quelli che fanno andare avanti davvero le aziende).
Gesù ci invita a cambiare prospettiva, a iniziare a pensare al comando non come alla possibilità di sfogo delle nostre mire megalomani ma come alla possibilità di vivere un amore che si fa concreto.
Come sempre, il Signore Gesù non ci insegna a parole ma, innanzi tutto, con i fatti. Lui che è Dio e che avrebbe tutti i diritti di comandarci senza muovere un solo dito, si è fatto uno di noi, si è messo al nostro servizio, ha preso su di sé le nostre sofferenze, ha fatto sua la nostra morte e ci ha donato la sua vita eterna. Gesù, con la sua vita, ci insegna a farci servi, a spenderci per i fratelli, ci mostra che questo è il vero modo di essere il primo.
Nella mia vita ho incontrato tante persone che comandano ma anche tante persone che si mettono a servizio, che hanno ruoli di comando e sono i primi a rimboccarsi le maniche. I primi, quelli che comandano, sono spesso persone sole, inavvicinabili, di cui tutti hanno timore e che cercano di evitare, i secondi sono sempre persone stimate, con cui si parla volentieri, che si sentono vicine e di cui ci si può fidare.
Dunque vale la pena cambiare prospettiva?
Sì, ne val la pena.
Se anche arrivassimo a comandare il mondo intero a cosa servirebbe se poi questo ci rendesse inavvicinabili, evitati da tutti?
Scegliamo di metterci al servizio gli uni degli altri
e la nostra vita troverà una nuova pace e una nuova serenità che non pensavamo nemmeno possibile perché staremo vivendo quello per cui siamo stati creati: l'amore.
sabato 10 ottobre 2015
Al di sopra di tutto - Riflessione sul Vangelo di domenica 11 ottobre 2015
Qualche mattina fa sono andato con un amico a fare colazione al bar, un tipico cappuccino&cornetto, tutto romano. Arrivati però davanti al vassoio dei cornetti ecco il dilemma: meglio quello con la crema o quello con la marmellata, integrale col miele o il fagottino con le mele? Scelta importante perché prendendone uno avrei escluso tutti gli altri, e così è stato. La scelta di un cornetto per colazione, tutto sommato, non è una decisione così importante ma ci può aiutare a riflettere sul fatto che ogni giorno tutti ci troviamo di fronte a delle scelte, a volte piccole, a volte grandi e ogni scelta porta con sé una rinuncia, scegliendo una cosa rinunciamo a tutto il resto. A volte rinunciamo a poco, come a un secondo cornetto, altre volte, invece, le rinunce impegnative e che ci costano molto, un genitore che sceglie di passare la notte in bianco per vegliare il figlio con la febbre alta, il figlio che sceglie di rinunciare alle vacanze per accudire i genitori anziani. Altre ancora sono rinunce che facciamo sono per tutta la vita: quando scegliamo un corso di studi stiamo rinunciando a tutti gli altri, quando iniziamo un lavoro rinunciamo ad altre professioni. Ci sono poi le scelte fondamentali della nostra vita che implicano delle rinunce molto importanti, rinunce che vanno poi rinnovate ogni giorno: chi si sposa compie rinuncia ad avere altre relazioni di coppia mentre chi si consacra rinuncia ad avere una famiglia propria.
Ma cos'è che ci porta a fare queste scelte e a rinunciare anche a cose importanti e belle? Quale meccanismo c'è dietro ogni scelta?
Forse non ci siamo mai fermati a pensarci, non abbiamo mai trascritto una lista ma ciascuno di noi ha una propria classifica delle cose più importanti della sua vita ed è in base a questa classifica che facciamo le nostre scelte e le conseguenti rinunce. Tutto ciò che fa parte della nostra vita, anche se non ce ne accorgiamo, è ordinato in una lista di priorità, anche le cose più banali e quotidiane come il cornetto della colazione. Nella mia, per esempio il cornetto alla crema viene prima di quello alla marmellata, nella classifica di una mamma c'è prima la salute del suo bambino che il proprio riposo, nella lista di un marito c'è prima la felicità della sua famiglia che il suo bisogno di relax.
Se questa lista fosse scritta dovrebbe essere tenuta sotto stretta sorveglianza perché è da essa che dipende la nostra felicità, basta una scelta sbagliata e ci possiamo trovare ad affrontare fatiche, difficoltà, dispiaceri. Questa lista non scritta ma così importante, dovrebbe avere come criterio il bene autentico della persona, a volte, invece, disponiamo le diverse voci di questa lista non secondo ciò che realizza quello che siamo ma secondo i nostri capricci e i nostri istinti.
Come fare, allora, a riordinarla in modo corretto, secondo il criterio del nostro autentico bene?
È facile, basta solo mettere in cima alla lista l'unico che ci può rivelare il nostro vero bene, l'unico che ci può assicurare che tutto sia nell'ordine giusto: il Signore Gesù.
Nella Parola di Dio di questa domenica il Signore chiede a ciascuno di noi (sì, proprio a tutti, non solo ai consacrati) di mettere lui al numero uno della nostra lista, di imparare a pensarlo più importante di ogni altra cosa, persona, affetto, ricchezza. Rivolge anche a noi l'invito di rinunciare ad ogni nostra ricchezza, non solo materiale ma anche affettiva, perfino ad ogni nostra ricchezza spirituale per poter seguire lui. Probabilmente sembra una richiesta eccessiva, esagerata, possiamo aver paura che accettare tale richiesta ci proietti in una situazione di precarietà economica, affettiva, di completa incertezza, che ci impedisca di avere una vita serena e tranquilla.
Invece è proprio il contrario! Finché alla cima della nostra lista non ci sarà il Signore Gesù tutta la nostra vita sarà incerta, fragile, debole, perché appoggiata sulle nostre deboli capacità, perché in balia dei nostri desideri volubili. Se invece mettiamo il Signore Gesù al primo posto, se lasciamo che sia il suo amore il criterio per ogni nostra scelta, allora la nostra vita sarà salda e sicura.
Ma che significa mettere il Signore Gesù al primo posto?
Noi consacrati abbiamo scelto di accettare questo invito non solo come intenzione del cuore ma anche come scelta pratica di vita. Abbiamo scelto di rinunciare ad una famiglia nostra, ad una carriera, ad avere ricchezze e proprietà. È una scelta che dobbiamo rinnovare ogni giorno, qualche giorno è una scelta facile, altri giorni è una rinuncia faticosa e dolorosa, ma il Signore è fedele alle sue promesse e veramente dona il cento per uno a chi si fida di lui, a chi sceglie di metterlo al primo posto.
Ma per un laico che significa metterlo al primo posto?
Per un marito mettere il Signore Gesù al primo posto, anche al di sopra dell'amore per la propria moglie, significa ritrovarsi proprio l'amore della propria moglie centuplicato. Per un giovane mettere l'amore del Signore Gesù al di sopra delle proprie ambizioni di soddisfazione professionale significa ritrovarsi una vita piena di soddisfazioni inattese e insperate. Per una mamma mettere il Signore Gesù al di sopra dell'amore per il proprio figlio significa saperlo riconoscere come un dono di Dio e non come una proprietà, saperne riconoscere la preziosità al di là delle sue capacità o dei suoi successi.
Scegliere di mettere il Signore Gesù al di sopra di tutto non è facile, ci costa fatica perché dobbiamo lottare contro le nostre insicurezze e le nostre paure, dobbiamo fidarci di una promessa che vedremo realizzata solo dopo che avremo fatto noi la scelta, ma ne vale la pena! Nessuno a questo mondo potrà mai darci la vita eterna, solo il Signore Gesù!
Ma cos'è che ci porta a fare queste scelte e a rinunciare anche a cose importanti e belle? Quale meccanismo c'è dietro ogni scelta?
Forse non ci siamo mai fermati a pensarci, non abbiamo mai trascritto una lista ma ciascuno di noi ha una propria classifica delle cose più importanti della sua vita ed è in base a questa classifica che facciamo le nostre scelte e le conseguenti rinunce. Tutto ciò che fa parte della nostra vita, anche se non ce ne accorgiamo, è ordinato in una lista di priorità, anche le cose più banali e quotidiane come il cornetto della colazione. Nella mia, per esempio il cornetto alla crema viene prima di quello alla marmellata, nella classifica di una mamma c'è prima la salute del suo bambino che il proprio riposo, nella lista di un marito c'è prima la felicità della sua famiglia che il suo bisogno di relax.
Se questa lista fosse scritta dovrebbe essere tenuta sotto stretta sorveglianza perché è da essa che dipende la nostra felicità, basta una scelta sbagliata e ci possiamo trovare ad affrontare fatiche, difficoltà, dispiaceri. Questa lista non scritta ma così importante, dovrebbe avere come criterio il bene autentico della persona, a volte, invece, disponiamo le diverse voci di questa lista non secondo ciò che realizza quello che siamo ma secondo i nostri capricci e i nostri istinti.
Come fare, allora, a riordinarla in modo corretto, secondo il criterio del nostro autentico bene?
È facile, basta solo mettere in cima alla lista l'unico che ci può rivelare il nostro vero bene, l'unico che ci può assicurare che tutto sia nell'ordine giusto: il Signore Gesù.
Nella Parola di Dio di questa domenica il Signore chiede a ciascuno di noi (sì, proprio a tutti, non solo ai consacrati) di mettere lui al numero uno della nostra lista, di imparare a pensarlo più importante di ogni altra cosa, persona, affetto, ricchezza. Rivolge anche a noi l'invito di rinunciare ad ogni nostra ricchezza, non solo materiale ma anche affettiva, perfino ad ogni nostra ricchezza spirituale per poter seguire lui. Probabilmente sembra una richiesta eccessiva, esagerata, possiamo aver paura che accettare tale richiesta ci proietti in una situazione di precarietà economica, affettiva, di completa incertezza, che ci impedisca di avere una vita serena e tranquilla.
Invece è proprio il contrario! Finché alla cima della nostra lista non ci sarà il Signore Gesù tutta la nostra vita sarà incerta, fragile, debole, perché appoggiata sulle nostre deboli capacità, perché in balia dei nostri desideri volubili. Se invece mettiamo il Signore Gesù al primo posto, se lasciamo che sia il suo amore il criterio per ogni nostra scelta, allora la nostra vita sarà salda e sicura.
Ma che significa mettere il Signore Gesù al primo posto?
Noi consacrati abbiamo scelto di accettare questo invito non solo come intenzione del cuore ma anche come scelta pratica di vita. Abbiamo scelto di rinunciare ad una famiglia nostra, ad una carriera, ad avere ricchezze e proprietà. È una scelta che dobbiamo rinnovare ogni giorno, qualche giorno è una scelta facile, altri giorni è una rinuncia faticosa e dolorosa, ma il Signore è fedele alle sue promesse e veramente dona il cento per uno a chi si fida di lui, a chi sceglie di metterlo al primo posto.
Ma per un laico che significa metterlo al primo posto?
Per un marito mettere il Signore Gesù al primo posto, anche al di sopra dell'amore per la propria moglie, significa ritrovarsi proprio l'amore della propria moglie centuplicato. Per un giovane mettere l'amore del Signore Gesù al di sopra delle proprie ambizioni di soddisfazione professionale significa ritrovarsi una vita piena di soddisfazioni inattese e insperate. Per una mamma mettere il Signore Gesù al di sopra dell'amore per il proprio figlio significa saperlo riconoscere come un dono di Dio e non come una proprietà, saperne riconoscere la preziosità al di là delle sue capacità o dei suoi successi.
Scegliere di mettere il Signore Gesù al di sopra di tutto non è facile, ci costa fatica perché dobbiamo lottare contro le nostre insicurezze e le nostre paure, dobbiamo fidarci di una promessa che vedremo realizzata solo dopo che avremo fatto noi la scelta, ma ne vale la pena! Nessuno a questo mondo potrà mai darci la vita eterna, solo il Signore Gesù!
sabato 3 ottobre 2015
Questione di cuore - Riflessione sul Vangelo di domenica 4 ottobre 2015
La Parola di Dio di questa domenica ci presenta due cuori: il cuore di Dio e il cuore dell'uomo.
C'è il cuore di Dio che è amore, che si prende cura delle sue creature, che non vuole che l'uomo resti solo, per questo crea gli animali e, da ultimo, crea la donna "perché l'uomo abbia un aiuto che gli sia simile". Il cuore di Dio è un cuore che ama e che insegna ad amare perché è l'amore la linfa della nostra vita, senza amore non si può vivere.
Poi c'è il cuore dell'uomo, un cuore inaridito come il terreno del deserto, secco, screpolato, sterile, duro. Ogni giorno ognuno di noi affronta difficoltà, problemi, dolori e fatiche che, come il forte sole del deserto, lo inaridiscono e induriscono. Proprio come un terreno secco diventa impermeabile all'acqua, il nostro cuore diventa incapace di accogliere l'amore che è ciò che ci rende fecondi, capaci di donarci e capaci di gioire. Tutto questo non avviene in due giorni, ha tempi molto più lunghi, l'inaridimento del cuore è molto graduale, tanto che spesso non ce ne accorgiamo se non quando è già molto tardi, quando abbiamo smesso di voler bene alle persone che abbiamo accanto, quando ci siamo chiusi in noi stessi, convinti che nessuno possa comprenderci e condividere le nostre sofferenze, quando ormai ci sentiamo soli.
Chi ha il cuore indurito, incapace di amare, è anche incapace di riconoscere il disegno d'amore di Dio, di capire il proprio compito, lo scopo della propria vita, comincia a pensare di essere inutile, di non valere gran ché lasciando campo libero alla tristezza e allo scoraggiamento. Qualcuno tenta di reagire con un impegno maggiore per auto affermarsi ma questo fa solo crescere l'arroganza, la superbia e l'egoismo che chiudono ancora di più in se stessi.
Gesù sa bene quanto possa essere ostinato e sterile un cuore duro, quanto possa essere cieco, incapace di contemplare la bellezza dell'amore di Dio, di lasciarsene conquistare per viverlo pienamente, ad iniziare proprio dalle relazioni più importanti e intime. Sa che un cuore duro cercherà di farsi norme e leggi a proprio uso e consumo, per potersi giustificare, per poter dire di essere in regola, per poter mettere a tacere la coscienza, senza per altro riuscirci davvero. È questa la condizione dei farisei che chiedono a Gesù se sia lecito ripudiare la propria moglie come la Legge di Mosè concedeva.
Ancora una volta, Gesù non risponde direttamente alla domanda ma riporta lo sguardo sul disegno di Dio, sul suo amore, su ciò che è il nostro bene, su ciò che è la verità della nostra vita.
Non siamo venuti al mondo per caso, per fare quello che ci va di fare, siamo venuti al mondo per amare, per donarci, per spendere la nostra vita a servizio degli altri e se non viviamo così, viviamo male.
Gesù non ci abbandona nell'aridità del nostro cuore, ci indica la strada per farlo rifiorire, per renderlo accogliente, nuovamente capace di amare: amare come fanno i bambini, con gratuità e innocenza.
Ci insegna che l'amore vero non è quello che prende ma quello che dona, se vogliamo essere veramente felici non dobbiamo pretendere che gli altri facciano quello che vogliamo noi ma dobbiamo essere noi a donare la vita per loro. Se questo ci fa fatica, se proviamo un moto di ribellione nel pensare di doverci donare a chi abbiamo accanto è perché nel nostro cuore è già in atto un processo di desertificazione, si sta indurendo perché non lo abbiamo irrorato a sufficienza di amore di Dio. Prendiamoci un po' di tempo nella nostra giornata, tutti possiamo ritagliarci qualche decina di minuti per metterci davanti a Dio, presentargli le nostre sofferenze, le nostre ferite, le nostre preoccupazioni. Lasciamoci amare da Lui, lasciamoci consolare, lasciamoci irrigare il cuore del suo amore. Possiamo leggere un salmo, un brano del Vangelo, possiamo pregare una decina del rosario, possiamo ripetere una preghiera a cui siamo affezionati fin da bambini, tanti possono essere i modi con cui metterci davanti a Dio. L'importante è lasciarci amare da Lui, permettergli di trasformare il nostro cuore, di renderlo nuovamente fecondo, ancora capace di donarsi ai fratelli con la semplicità e la spontaneità dei bambini.
Ne vale la pena? Sono convinto di sì e lo sono anche tutti i santi che, con la loro vita ci dimostrano che la durezza di cuore non ha mai portato la felicità a nessuno, lasciarsi, invece, irrigare dall'amore di Dio dona gioia vera.
C'è il cuore di Dio che è amore, che si prende cura delle sue creature, che non vuole che l'uomo resti solo, per questo crea gli animali e, da ultimo, crea la donna "perché l'uomo abbia un aiuto che gli sia simile". Il cuore di Dio è un cuore che ama e che insegna ad amare perché è l'amore la linfa della nostra vita, senza amore non si può vivere.
Poi c'è il cuore dell'uomo, un cuore inaridito come il terreno del deserto, secco, screpolato, sterile, duro. Ogni giorno ognuno di noi affronta difficoltà, problemi, dolori e fatiche che, come il forte sole del deserto, lo inaridiscono e induriscono. Proprio come un terreno secco diventa impermeabile all'acqua, il nostro cuore diventa incapace di accogliere l'amore che è ciò che ci rende fecondi, capaci di donarci e capaci di gioire. Tutto questo non avviene in due giorni, ha tempi molto più lunghi, l'inaridimento del cuore è molto graduale, tanto che spesso non ce ne accorgiamo se non quando è già molto tardi, quando abbiamo smesso di voler bene alle persone che abbiamo accanto, quando ci siamo chiusi in noi stessi, convinti che nessuno possa comprenderci e condividere le nostre sofferenze, quando ormai ci sentiamo soli.
Chi ha il cuore indurito, incapace di amare, è anche incapace di riconoscere il disegno d'amore di Dio, di capire il proprio compito, lo scopo della propria vita, comincia a pensare di essere inutile, di non valere gran ché lasciando campo libero alla tristezza e allo scoraggiamento. Qualcuno tenta di reagire con un impegno maggiore per auto affermarsi ma questo fa solo crescere l'arroganza, la superbia e l'egoismo che chiudono ancora di più in se stessi.
Gesù sa bene quanto possa essere ostinato e sterile un cuore duro, quanto possa essere cieco, incapace di contemplare la bellezza dell'amore di Dio, di lasciarsene conquistare per viverlo pienamente, ad iniziare proprio dalle relazioni più importanti e intime. Sa che un cuore duro cercherà di farsi norme e leggi a proprio uso e consumo, per potersi giustificare, per poter dire di essere in regola, per poter mettere a tacere la coscienza, senza per altro riuscirci davvero. È questa la condizione dei farisei che chiedono a Gesù se sia lecito ripudiare la propria moglie come la Legge di Mosè concedeva.
Ancora una volta, Gesù non risponde direttamente alla domanda ma riporta lo sguardo sul disegno di Dio, sul suo amore, su ciò che è il nostro bene, su ciò che è la verità della nostra vita.
Non siamo venuti al mondo per caso, per fare quello che ci va di fare, siamo venuti al mondo per amare, per donarci, per spendere la nostra vita a servizio degli altri e se non viviamo così, viviamo male.
Gesù non ci abbandona nell'aridità del nostro cuore, ci indica la strada per farlo rifiorire, per renderlo accogliente, nuovamente capace di amare: amare come fanno i bambini, con gratuità e innocenza.
Ci insegna che l'amore vero non è quello che prende ma quello che dona, se vogliamo essere veramente felici non dobbiamo pretendere che gli altri facciano quello che vogliamo noi ma dobbiamo essere noi a donare la vita per loro. Se questo ci fa fatica, se proviamo un moto di ribellione nel pensare di doverci donare a chi abbiamo accanto è perché nel nostro cuore è già in atto un processo di desertificazione, si sta indurendo perché non lo abbiamo irrorato a sufficienza di amore di Dio. Prendiamoci un po' di tempo nella nostra giornata, tutti possiamo ritagliarci qualche decina di minuti per metterci davanti a Dio, presentargli le nostre sofferenze, le nostre ferite, le nostre preoccupazioni. Lasciamoci amare da Lui, lasciamoci consolare, lasciamoci irrigare il cuore del suo amore. Possiamo leggere un salmo, un brano del Vangelo, possiamo pregare una decina del rosario, possiamo ripetere una preghiera a cui siamo affezionati fin da bambini, tanti possono essere i modi con cui metterci davanti a Dio. L'importante è lasciarci amare da Lui, permettergli di trasformare il nostro cuore, di renderlo nuovamente fecondo, ancora capace di donarsi ai fratelli con la semplicità e la spontaneità dei bambini.
Ne vale la pena? Sono convinto di sì e lo sono anche tutti i santi che, con la loro vita ci dimostrano che la durezza di cuore non ha mai portato la felicità a nessuno, lasciarsi, invece, irrigare dall'amore di Dio dona gioia vera.
sabato 26 settembre 2015
Azioni indelebili - Riflessione sul vangelo di domenica 27 settembre 2015
Quando, molto tempo fa, iniziai la scuola elementare, la maestra ci insegnò che l'inchiostro della penna non può essere cancellato, a differenza della matita che può essere cancellata facilmente, quindi prima di scrivere qualcosa è necessario essere ben sicuri che sia la cosa giusta.
Poi hanno inventato le penne cancellabili, il bianchetto e il nastro correttore e così anche quello che pensavamo fosse indelebile ha smesso di esserlo.
Qualcuno ha paragonato la nostra vita ad un libro che ciascuno di noi scrive giorno per giorno con le sue scelte, i suoi comportamenti, le sue parole, un libro che scriviamo a penna, non a matita. Sarebbe molto comodo poter cancellare i nostri errori con una gomma speciale ma non è possibile, ogni nostra azione lascia un segno indelebile nella nostra vita e nella vita di chi ci sta accanto.
Nella pagina di Vangelo di questa domenica il Signore Gesù ci mette in guardia dal minimizzare le conseguenze delle nostre decisioni e dei nostri atti, anzi, con un linguaggio molto duro ci invita a prendere molto sul serio la nostra vita.
Il discorso di Gesù può sembrarci esagerato, forse perché vogliamo continuare ad illuderci che a tutto si possa trovare una soluzione, che "tanto poi mi passa". Ogni nostra scelta errata, ogni nostra decisione incauta, ogni nostro peccato lasciano un segno nella nostra vita, ci incupiscono, ci appesantiscono, ci fanno chiudere in noi stessi. All'inizio non ce ne accorgiamo nemmeno ma con il tempo, se perduriamo nei nostri errori, ci ritroviamo sempre più isolati, ci sembra che gli altri non riescano a capirci, che nessuno sia interessato a noi... Il peccato porta sempre divisione, lontananza, solitudine.
Nel suo celebre romanzo "Il ritratto di Dorian Grey" Oscar Wilde immagina che un giovane uomo faccia un patto col demonio così che le conseguenze delle sue azioni invece di vedersi sul suo volto siano visibili sul suo ritratto. All'inizio sono solo poche rughe e pochi segni ma alla fine di una vita dissoluta il ritratto è diventato irriconoscibile e orrendo. È questo quello che il male fa alla nostra vita, ci rende irriconoscibili e brutti.
Per contro mi vengono in mente molte persone che vivono una vita di fedeltà al Signore, di amore per il prossimo, di accoglienza e condivisione, sui loro volti si vedono i segni del tempo ma conservano una bellezza, una serenità, una pace che non tramontano.
Le nostre azioni però non hanno solo conseguenza su di noi ma anche su quanti ci stano accanto e possono restarne scandalizzati. Quante persone si sono allontanate dalla fede perché scandalizzate dal comportamento di sacerdoti, religiosi e buoni cristiani? Quanti magari partecipano alla Messa domenicale ma non hanno alcuna intenzione di partecipare alla vita comunitaria perché infastiditi dall'atteggiamento di alcuni che spadroneggiano nelle nostre parrocchie?
Quando qualcuno mi racconta di essersi allontanato dalla fede a causa dello scandalo provato davanti al comportamento di qualcuno ne rimango molto amareggiato e addolorato e mi chiedo se con le mie azioni posso aver anche io scandalizzato qualcuno.
Gesù è molto duro e drastico, se qualcosa nella nostra vita crea scandalo dobbiamo eliminarla, senza timori di perdere qualcosa di importante. Il peccato non ha mai fatto bene a nessuno per ciò è inutile affezionarcisi. Naturalmente Gesù non ci invita all'automutilazione fisica ma ci incoraggia a tagliare via dalla nostra vita quegli atteggiamenti, quei vizi, quelle abitudini che sono dannose, che ci portano a scegliere il male. Non è semplice, i vizi sono facili da prendere ma difficili da lasciare, spesso scopriamo di essere attaccati ai nostri peccati più di quanto non pensassimo. Sappiamo però che il Signore è accanto a noi e ci dona tutta la grazia e la forza necessaria per affrontare i nostri errori, per sradicarli dalla nostra vita: di qualcuno verremo a capo in poco tempo, per altri ci vorrà molto impegno, molta fatica e molta pazienza. L'importante è perseverare, se davvero abbiamo compreso che un nostro atteggiamento è dannoso per noi e per chi ci sta accanto dobbiamo impegnarci ogni giorno a eliminarlo dalla nostra vita, senza scoraggiarci se dovessimo ricaderci ma rialzandoci e riprendendo il cammino.
Se scegliamo di restare col Signore Gesù, se ci lasciamo guidare e correggere da Lui, sarà più facile comprendere ciò che ci fa male ed eliminarlo dalla nostra vita affinché
sia tutta nella gioia e nella pace e diventi luce per i fratelli che incontriamo ogni giorno sulla nostra strada.
Poi hanno inventato le penne cancellabili, il bianchetto e il nastro correttore e così anche quello che pensavamo fosse indelebile ha smesso di esserlo.
Qualcuno ha paragonato la nostra vita ad un libro che ciascuno di noi scrive giorno per giorno con le sue scelte, i suoi comportamenti, le sue parole, un libro che scriviamo a penna, non a matita. Sarebbe molto comodo poter cancellare i nostri errori con una gomma speciale ma non è possibile, ogni nostra azione lascia un segno indelebile nella nostra vita e nella vita di chi ci sta accanto.
Nella pagina di Vangelo di questa domenica il Signore Gesù ci mette in guardia dal minimizzare le conseguenze delle nostre decisioni e dei nostri atti, anzi, con un linguaggio molto duro ci invita a prendere molto sul serio la nostra vita.
Il discorso di Gesù può sembrarci esagerato, forse perché vogliamo continuare ad illuderci che a tutto si possa trovare una soluzione, che "tanto poi mi passa". Ogni nostra scelta errata, ogni nostra decisione incauta, ogni nostro peccato lasciano un segno nella nostra vita, ci incupiscono, ci appesantiscono, ci fanno chiudere in noi stessi. All'inizio non ce ne accorgiamo nemmeno ma con il tempo, se perduriamo nei nostri errori, ci ritroviamo sempre più isolati, ci sembra che gli altri non riescano a capirci, che nessuno sia interessato a noi... Il peccato porta sempre divisione, lontananza, solitudine.
Nel suo celebre romanzo "Il ritratto di Dorian Grey" Oscar Wilde immagina che un giovane uomo faccia un patto col demonio così che le conseguenze delle sue azioni invece di vedersi sul suo volto siano visibili sul suo ritratto. All'inizio sono solo poche rughe e pochi segni ma alla fine di una vita dissoluta il ritratto è diventato irriconoscibile e orrendo. È questo quello che il male fa alla nostra vita, ci rende irriconoscibili e brutti.
Per contro mi vengono in mente molte persone che vivono una vita di fedeltà al Signore, di amore per il prossimo, di accoglienza e condivisione, sui loro volti si vedono i segni del tempo ma conservano una bellezza, una serenità, una pace che non tramontano.
Le nostre azioni però non hanno solo conseguenza su di noi ma anche su quanti ci stano accanto e possono restarne scandalizzati. Quante persone si sono allontanate dalla fede perché scandalizzate dal comportamento di sacerdoti, religiosi e buoni cristiani? Quanti magari partecipano alla Messa domenicale ma non hanno alcuna intenzione di partecipare alla vita comunitaria perché infastiditi dall'atteggiamento di alcuni che spadroneggiano nelle nostre parrocchie?
Quando qualcuno mi racconta di essersi allontanato dalla fede a causa dello scandalo provato davanti al comportamento di qualcuno ne rimango molto amareggiato e addolorato e mi chiedo se con le mie azioni posso aver anche io scandalizzato qualcuno.
Gesù è molto duro e drastico, se qualcosa nella nostra vita crea scandalo dobbiamo eliminarla, senza timori di perdere qualcosa di importante. Il peccato non ha mai fatto bene a nessuno per ciò è inutile affezionarcisi. Naturalmente Gesù non ci invita all'automutilazione fisica ma ci incoraggia a tagliare via dalla nostra vita quegli atteggiamenti, quei vizi, quelle abitudini che sono dannose, che ci portano a scegliere il male. Non è semplice, i vizi sono facili da prendere ma difficili da lasciare, spesso scopriamo di essere attaccati ai nostri peccati più di quanto non pensassimo. Sappiamo però che il Signore è accanto a noi e ci dona tutta la grazia e la forza necessaria per affrontare i nostri errori, per sradicarli dalla nostra vita: di qualcuno verremo a capo in poco tempo, per altri ci vorrà molto impegno, molta fatica e molta pazienza. L'importante è perseverare, se davvero abbiamo compreso che un nostro atteggiamento è dannoso per noi e per chi ci sta accanto dobbiamo impegnarci ogni giorno a eliminarlo dalla nostra vita, senza scoraggiarci se dovessimo ricaderci ma rialzandoci e riprendendo il cammino.
Se scegliamo di restare col Signore Gesù, se ci lasciamo guidare e correggere da Lui, sarà più facile comprendere ciò che ci fa male ed eliminarlo dalla nostra vita affinché
sia tutta nella gioia e nella pace e diventi luce per i fratelli che incontriamo ogni giorno sulla nostra strada.
sabato 19 settembre 2015
Grande e piccolo, piccolo e grande - Riflessione sul Vangelo di domenica 20 settembre 2015
Siamo talmente abituati ai litigi che ormai non ci facciamo più molto caso o, perlomeno, ci siamo rassegnati che sia impossibile andare d'accordo con tutti e che quindi siano un male inevitabile. Ma da cosa sono causati? Cos'è che ci porta a litigare?
La pagina di Vangelo di questa domenica ci svela che anche gli apostoli litigavano tra loro e le loro motivazioni non sono molto diverse dalle nostre. Volevano stabilire chi fosse il più grande, chi fosse il più importante, quello che comanda.
Non è forse questo che c'è dietro ogni nostro litigio, anche il più piccolo?
Iniziamo da bambini: litighiamo per chi deve decidere quale gioco fare perché ciascuno vuole far fare agli altri il proprio gioco preferito. Diventando grandi litighiamo perché vogliamo imporre il nostro modo di vedere, le nostre scelte, i nostri desideri, sul coniuge, sui figli, sulla nuora, sui colleghi di lavoro, sugli amici. Se guardiamo con un pizzico di obiettività le nostre litigate ci accorgiamo che in ciascuna di esse stavamo cercando di imporre all'altro il nostro volere.
I litigi, hanno poi degli effetti collaterali che spesso non consideriamo: ci chiudono in noi stessi, ci fanno prestare attenzione solo a chi può esserci di aiuto nel nostro intento di autoaffermazione e ci fanno ignorare chi ci risulta inutile e insignificante. I litigi sgretolano la nostra vita relazionale e con essa la nostra serenità e la pace del nostro cuore e questo ci porta ad essere ancora più litigiosi. I litigi vanno risolti con le scuse, con una richiesta e un'offerta esplicita di perdono e di pace, non basta dire "tanto poi mi passa" perché il rancore resta come un tarlo nel nostro cuore e lo rosicchia senza che noi nemmeno ce ne accorgiamo.
Come si esce da questo circolo vizioso?
Gesù ci propone la sua ricetta, ci traccia una via che passa per la croce, passa per l'offerta di sé. Nel litigio cerchiamo di conquistare l'altro di impossessarci della sua vita facendogli fare quello che vogliamo noi, il Signore Gesù ci insegna, invece, a donarci all'altro, senza aspettarci nulla in cambio, senza calcolare il guadagno ma con vera e autentica gratuità. Ci chiede di accogliere l'altro, soprattutto il più debole, il più piccolo, il più insignificante, come accoglieremmo lui.
Gesù traccia davanti a noi la via dell'amore donato che non solo non si impone sull'altro ma ne cerca il bene prima del proprio, come ha fatto lui morendo per noi.
Nella società in cui viviamo, ma in fondo in ogni altra società umana di ogni tempo e ogni latitudine, questa proposta è ritenuta semplicemente assurda, mettersi a servizio invece di imporsi è considerato un comportamento da perdenti, da stupidi. Forse, però, chi fa tanto il grande, in realtà è molto piccolo e chi invece appare più umile è davvero una grande persona. Forse però dovremmo valutare meglio, dovremmo guardare con obbiettività alla nostra vita e chiederci se l'arroganza ci ha mai davvero fatto bene, se la prepotenza ci ha mai dato una vera pace del cuore e, forse, potremmo cominciare a valutare l'idea, per lo meno, di provare a seguire la via tracciata da Gesù. Chissà che non abbia ragione?
sabato 12 settembre 2015
La via della salvezza - Riflessione sul Vangelo di domenica 13 settembre 2015
Dicono che ciò che ci stressa, che ci mette ansia e ci provoca nervosismo siano le troppe cose che facciamo ogni giorno. Le nostre vite sono così oberate di impegni che arriviamo a sera stanchi e stressati.
Io penso, invece, che ciò che ci crea stress, che ci angoscia e che ci affatica sia il nostro lottare contro ciò che nella nostra vita non va secondo il nostro progetto, tutto ciò che non corrisponde a ciò che consideriamo essere la nostra vita ideale. La nostra stanchezza, il nostro stress, non sono di origine fisica ma psicologica, è la nostra lotta contro quello che non va come lo vorremmo noi.
Un imprevisto che ci fa ritardare, una persona che, alla nostra domanda, non risponde come volevamo noi, i figli che non si comportano come ci aspettiamo da loro, i genitori anziani che non sanno leggerci nel pensiero e avanzano pretese che a noi sembrano assurde, il collega di lavoro che sbaglia qualcosa aumentando il carico del nostro lavoro. Tutte cose che eccedono dal nostro mondo ideale, dalla nostra vita preconfezionata.
Sì, in fondo ciascuno di noi ha in mente come dovrebbe essere la sua vita, un po' come fosse la sceneggiatura di un film: discorsi, eventi, risposte, perfino gli imprevisti vorremmo averli già previsti!
Quando poi le cose non vanno come avevamo immaginato, ci opponiamo, ci arrabbiamo, ci preoccupiamo, inizia una lunga battaglia per lo più interiore che però ci sfinisce e ci angoscia.
San Pietro non si deve essere trovato in una situazione tanto diversa in quel giorno descritto dalla pagina di Vangelo di questa domenica. Gesù aveva appena chiesto di esprimere la loro opinione su di lui, Pietro, a nome di tutti, aveva annunciato "Tu sei il Cristo!" e questo, nei suoi piani, significava un avvenire glorioso. Appena dopo, però, Gesù aveva iniziato a parlare di croce e di morte. Eh no! Questo non corrispondeva al suo piano, non poteva essere così, il Cristo non poteva morire in croce! E glielo aveva detto chiaro e tondo, ricevendone però un sonoro rimprovero. Anzi, di più, Gesù aveva dichiarato che chi avesse voluto essere veramente suo discepolo avrebbe dovuto abbracciare la croce.
Povero Pietro! Vedeva ancora la croce come una sconfitta, come uno strumento di sofferenza e di morte, come poteva Gesù, il Messia, scegliere proprio di abbracciare la croce?
Noi non siamo molto distanti da Pietro, anche a noi l'idea della croce spaventa, anche noi cerchiamo di scappare di fronte a ciò che ne assume i connotati, davanti a ciò che ci fa soffrire, che ci sembra una sconfitta. Al massimo, quando proprio non siamo riusciti a scappare, ci rassegniamo, cerchiamo di convincerci che tanto a questo mondo bisogna soffrire, che non si può fare molto per evitare quel dolore, chiniamo la testa e andiamo avanti, spesso rinchiudendoci in noi stessi.
Ma davvero Gesù vuole che soffriamo?
No, per capire la croce dobbiamo deciderci una buona volta di convertirci, di lasciare che il Signore cambi la nostra prospettiva, che ci faccia vedere la nostra realtà in una maniera diversa, da una angolazione totalmente nuova.
Con Gesù la croce non è uno strumento di dolore e di morte, diventa il luogo dell'incontro con la misericordia del Padre, il luogo dell'abbandono completo a lui, il luogo dell'intimità profonda con colui che ci ama con tutto se stesso.
Certo che Gesù ha sofferto sulla croce, ha sofferto veramente, ma lo ha fatto come atto d'amore, in quel dolore ha espresso tutto il suo amore per ciascuno di noi, ha affrontato quella sofferenza nella fiducia che il disegno del Padre stava preparando qualcosa di più grande e bello, che stava preparando la resurrezione.
Ma noi come dobbiamo fare?
Dobbiamo iniziare a fidarci di Dio, del suo disegno d'amore. Ogni volta che nella nostra giornata qualcosa va storto, o meglio, ci sembra che vada storto, non coincide, cioè con i nostri progetti, fidiamoci di Dio, impariamo a dirgli "Signore, non so perché ora devo affrontare questo ma so che tu mi sei accanto e che anche questa fatica, questo dolore o questa sofferenza, posta nelle tue mani diventerà strumento della mia salvezza".
Iniziamo con le piccole difficoltà quotidiane e impareremo poi ad affrontare anche le sofferenze più grandi, quelle che ci sembrano assurde e senza senso.
Il dolore, la malattia, la sofferenza, se ce li teniamo per noi, se cerchiamo solo di combatterli e li rifiutiamo rimarranno insensati perché il male non ha senso. Se però li accogliamo nella nostra vita, se non ci lasciamo ingannare dalla tentazione di dire che sono più forti di noi, se li affrontiamo con la certezza che il Signore è accanto a noi, ci sostiene, ci dona forza, coraggio e pace per affrontare anche le cose più difficili, allora anche il dolore e la sofferenza acquisteranno un senso perché, nelle mani di Dio, diventeranno strumenti della nostra salvezza. Potremo vedere nella nostra vita il grande miracolo che Gesù ha compiuto trasformando la croce dal più orrendo dei patiboli nello strumento della nostra salvezza e la nostra vita passerà dalla morte alla vita eterna.
Non è facile, è impegnativo e faticoso ma abbiamo l'esempio di milioni di santi, alcuni canonizzati, altri no, che ogni giorno affrontano sofferenze e difficoltà con la certezza che quella croce, messa nelle mani del Signore, diventa il luogo dell'incontro con la sua misericordia e la sua tenerezza.
Vieni, Spirito Santo, colma il nostro cuore di fiducia nel disegno d'amore del Padre, donaci il coraggio di prendere ogni giorno la nostra croce non come una sconfitta ma come lo strumento della nostra vittoria, quella vittoria che Gesù ci ha donato con la sua Croce.
Io penso, invece, che ciò che ci crea stress, che ci angoscia e che ci affatica sia il nostro lottare contro ciò che nella nostra vita non va secondo il nostro progetto, tutto ciò che non corrisponde a ciò che consideriamo essere la nostra vita ideale. La nostra stanchezza, il nostro stress, non sono di origine fisica ma psicologica, è la nostra lotta contro quello che non va come lo vorremmo noi.
Un imprevisto che ci fa ritardare, una persona che, alla nostra domanda, non risponde come volevamo noi, i figli che non si comportano come ci aspettiamo da loro, i genitori anziani che non sanno leggerci nel pensiero e avanzano pretese che a noi sembrano assurde, il collega di lavoro che sbaglia qualcosa aumentando il carico del nostro lavoro. Tutte cose che eccedono dal nostro mondo ideale, dalla nostra vita preconfezionata.
Sì, in fondo ciascuno di noi ha in mente come dovrebbe essere la sua vita, un po' come fosse la sceneggiatura di un film: discorsi, eventi, risposte, perfino gli imprevisti vorremmo averli già previsti!
Quando poi le cose non vanno come avevamo immaginato, ci opponiamo, ci arrabbiamo, ci preoccupiamo, inizia una lunga battaglia per lo più interiore che però ci sfinisce e ci angoscia.
San Pietro non si deve essere trovato in una situazione tanto diversa in quel giorno descritto dalla pagina di Vangelo di questa domenica. Gesù aveva appena chiesto di esprimere la loro opinione su di lui, Pietro, a nome di tutti, aveva annunciato "Tu sei il Cristo!" e questo, nei suoi piani, significava un avvenire glorioso. Appena dopo, però, Gesù aveva iniziato a parlare di croce e di morte. Eh no! Questo non corrispondeva al suo piano, non poteva essere così, il Cristo non poteva morire in croce! E glielo aveva detto chiaro e tondo, ricevendone però un sonoro rimprovero. Anzi, di più, Gesù aveva dichiarato che chi avesse voluto essere veramente suo discepolo avrebbe dovuto abbracciare la croce.
Povero Pietro! Vedeva ancora la croce come una sconfitta, come uno strumento di sofferenza e di morte, come poteva Gesù, il Messia, scegliere proprio di abbracciare la croce?
Noi non siamo molto distanti da Pietro, anche a noi l'idea della croce spaventa, anche noi cerchiamo di scappare di fronte a ciò che ne assume i connotati, davanti a ciò che ci fa soffrire, che ci sembra una sconfitta. Al massimo, quando proprio non siamo riusciti a scappare, ci rassegniamo, cerchiamo di convincerci che tanto a questo mondo bisogna soffrire, che non si può fare molto per evitare quel dolore, chiniamo la testa e andiamo avanti, spesso rinchiudendoci in noi stessi.
Ma davvero Gesù vuole che soffriamo?
No, per capire la croce dobbiamo deciderci una buona volta di convertirci, di lasciare che il Signore cambi la nostra prospettiva, che ci faccia vedere la nostra realtà in una maniera diversa, da una angolazione totalmente nuova.
Con Gesù la croce non è uno strumento di dolore e di morte, diventa il luogo dell'incontro con la misericordia del Padre, il luogo dell'abbandono completo a lui, il luogo dell'intimità profonda con colui che ci ama con tutto se stesso.
Certo che Gesù ha sofferto sulla croce, ha sofferto veramente, ma lo ha fatto come atto d'amore, in quel dolore ha espresso tutto il suo amore per ciascuno di noi, ha affrontato quella sofferenza nella fiducia che il disegno del Padre stava preparando qualcosa di più grande e bello, che stava preparando la resurrezione.
Ma noi come dobbiamo fare?
Dobbiamo iniziare a fidarci di Dio, del suo disegno d'amore. Ogni volta che nella nostra giornata qualcosa va storto, o meglio, ci sembra che vada storto, non coincide, cioè con i nostri progetti, fidiamoci di Dio, impariamo a dirgli "Signore, non so perché ora devo affrontare questo ma so che tu mi sei accanto e che anche questa fatica, questo dolore o questa sofferenza, posta nelle tue mani diventerà strumento della mia salvezza".
Iniziamo con le piccole difficoltà quotidiane e impareremo poi ad affrontare anche le sofferenze più grandi, quelle che ci sembrano assurde e senza senso.
Il dolore, la malattia, la sofferenza, se ce li teniamo per noi, se cerchiamo solo di combatterli e li rifiutiamo rimarranno insensati perché il male non ha senso. Se però li accogliamo nella nostra vita, se non ci lasciamo ingannare dalla tentazione di dire che sono più forti di noi, se li affrontiamo con la certezza che il Signore è accanto a noi, ci sostiene, ci dona forza, coraggio e pace per affrontare anche le cose più difficili, allora anche il dolore e la sofferenza acquisteranno un senso perché, nelle mani di Dio, diventeranno strumenti della nostra salvezza. Potremo vedere nella nostra vita il grande miracolo che Gesù ha compiuto trasformando la croce dal più orrendo dei patiboli nello strumento della nostra salvezza e la nostra vita passerà dalla morte alla vita eterna.
Non è facile, è impegnativo e faticoso ma abbiamo l'esempio di milioni di santi, alcuni canonizzati, altri no, che ogni giorno affrontano sofferenze e difficoltà con la certezza che quella croce, messa nelle mani del Signore, diventa il luogo dell'incontro con la sua misericordia e la sua tenerezza.
Vieni, Spirito Santo, colma il nostro cuore di fiducia nel disegno d'amore del Padre, donaci il coraggio di prendere ogni giorno la nostra croce non come una sconfitta ma come lo strumento della nostra vittoria, quella vittoria che Gesù ci ha donato con la sua Croce.
sabato 5 settembre 2015
Ascoltatori attenti, annunciatori veraci - Riflessione sul Vangelo di domenica 6 settembre 2015
Nelle scorse settimane sono stato a Lourdes e, ancora una volta, mi sono stupito per le tante persone che vi giungono da ogni luogo della terra. Alla processione mariana della sera si prega il Rosario recitando le Ave Maria in molte lingue differenti e questo mi fa sempre pensare quanto sia importante il linguaggio nella vita di ciascuno di noi. Fa talmente parte della nostra quotidianità che forse non ci facciamo nemmeno più caso ma poter ascoltare chi abbiamo davanti e poterci esprimere sono doni preziosi.
Quante parole ogni giorno affollano la nostra vita, quante parole ascoltate e quante parole dette.
Ma siamo sicuri di ascoltare le parole giuste? Siamo sicuri che quello che diciamo sia davvero espressione di quello che siamo?
A pensarci bene ci possiamo facilmente rendere conto che non sempre ciò che ascoltiamo ci fa bene, spesso ci troviamo ingannati o ci vengono proposte come vere e corrette idee che non sono che semplici opinioni o addirittura menzogne. Quando poi ci troviamo a discutere o a litigare con qualcuno ci capita sempre di dire cose che non pensiamo veramente, che non ci rappresentano, in quel momento parlano le nostre emozioni, la nostra ira e la nostra superbia oppure per paura o per preoccupazione scegliamo la menzogna piuttosto che dire la verità.
Tutte queste cose rendono pensante la nostra vita, la complicano, ci dividono dagli altri, creano inimicizie, sospetti e separazioni.
Nella vita, allora, è importante scegliere bene a chi dare ascolto e cosa dire.
Il giorno del nostro battesimo il sacerdote ha compiuto su ciascuno di noi lo stesso gesto che Gesù compie sul sordomuto del Vangelo di questa domenica. Ci ha toccato le orecchie e la bocca e ha detto "Il Signore Gesù che fece udire i sordi e parlare i muti ti conceda presto di ascoltare la sua parola e di professare la tua fede a gloria di Dio Padre".
Gesù, attraverso il sacerdote, suo ministro, ha toccato anche le nostre orecchie per aprirle alla sua parola, rendendoci capaci di ascoltare la sua voce e a distinguerla tra le tante voci della vita quotidiana. Ogni giorno siamo bombardati da tante voci diverse, molte ci dicono cose opposte e spesso ci troviamo indecisi, ci sembra che le argomentazioni siano valide da entrambe le parti e non sappiamo decidere chi abbia ragione, dove sia la verità. Dobbiamo fare attenzione, però, alle voci del mondo, sono sempre interessate, cercano sempre di convincerci per poter trarre vantaggi dalla nostra adesione.
Impariamo a dedicare tempo, invece, all'ascolto della Parola di Dio, impariamo ad avere una familiarità con il Signore, con quello che vuole dirci. Sappiamo che Gesù non ci mente, non ha interessi personali, la sola cosa a cui tiene è la nostra gioia, la nostra pace e la nostra salvezza. Sarebbe buona cosa se scegliessimo di dedicare ogni giorno un po' di tempo all'ascolto del Vangelo. Inizialmente possono bastare anche solo pochi minuti, man mano che proseguiremo impareremo a riconoscere il Signore che parla alla nostra vita svelandocene giorno per giorno la verità più profonda, scopriremo che risponde davvero ai nostri interrogativi più profondi, se davvero decidiamo di ascoltarlo.
Gesù guarisce anche la nostra parola, ci rende capaci di esprimere ciò che abbiamo nel cuore, di lasciar emergere la verità di ciò che siamo, di annunciare la nostra fede, la nostra relazione di fiducia con lui.
Nel mondo in cui viviamo diventa ogni giorno più difficile esprimere la propria scelta di fede, spesso si viene derisi o messi a tacere. Le posizioni, le idee, le opinioni di chi è credente vengono scartate a priori, bollate come bigotte e fuori dal tempo così spesso ci scoraggiamo o ci lasciamo intimorire e ci chiudiamo in un vero e proprio mutismo su ciò che riguarda il nostro essere cristiani.
Non si tratta di iniziare crociate contro il mondo ma è importante poter esprimere la nostra fede, è importante che le nostre parole corrispondano a quello che abbiamo nel cuore, che ciò che esprimiamo con la lingua risplenda della luce della fede che il Signore ha acceso in noi.
Chiediamo, in questa domenica, un dono speciale dello Spirito Santo affinché ci renda ascoltatori attenti della Parola di Dio che smascheri le tante menzogne del mondo e ci doni il coraggio di annunciare con serenità e fiducia la gioia della vita con il Signore Gesù.
Quante parole ogni giorno affollano la nostra vita, quante parole ascoltate e quante parole dette.
Ma siamo sicuri di ascoltare le parole giuste? Siamo sicuri che quello che diciamo sia davvero espressione di quello che siamo?
A pensarci bene ci possiamo facilmente rendere conto che non sempre ciò che ascoltiamo ci fa bene, spesso ci troviamo ingannati o ci vengono proposte come vere e corrette idee che non sono che semplici opinioni o addirittura menzogne. Quando poi ci troviamo a discutere o a litigare con qualcuno ci capita sempre di dire cose che non pensiamo veramente, che non ci rappresentano, in quel momento parlano le nostre emozioni, la nostra ira e la nostra superbia oppure per paura o per preoccupazione scegliamo la menzogna piuttosto che dire la verità.
Tutte queste cose rendono pensante la nostra vita, la complicano, ci dividono dagli altri, creano inimicizie, sospetti e separazioni.
Nella vita, allora, è importante scegliere bene a chi dare ascolto e cosa dire.
Il giorno del nostro battesimo il sacerdote ha compiuto su ciascuno di noi lo stesso gesto che Gesù compie sul sordomuto del Vangelo di questa domenica. Ci ha toccato le orecchie e la bocca e ha detto "Il Signore Gesù che fece udire i sordi e parlare i muti ti conceda presto di ascoltare la sua parola e di professare la tua fede a gloria di Dio Padre".
Gesù, attraverso il sacerdote, suo ministro, ha toccato anche le nostre orecchie per aprirle alla sua parola, rendendoci capaci di ascoltare la sua voce e a distinguerla tra le tante voci della vita quotidiana. Ogni giorno siamo bombardati da tante voci diverse, molte ci dicono cose opposte e spesso ci troviamo indecisi, ci sembra che le argomentazioni siano valide da entrambe le parti e non sappiamo decidere chi abbia ragione, dove sia la verità. Dobbiamo fare attenzione, però, alle voci del mondo, sono sempre interessate, cercano sempre di convincerci per poter trarre vantaggi dalla nostra adesione.
Impariamo a dedicare tempo, invece, all'ascolto della Parola di Dio, impariamo ad avere una familiarità con il Signore, con quello che vuole dirci. Sappiamo che Gesù non ci mente, non ha interessi personali, la sola cosa a cui tiene è la nostra gioia, la nostra pace e la nostra salvezza. Sarebbe buona cosa se scegliessimo di dedicare ogni giorno un po' di tempo all'ascolto del Vangelo. Inizialmente possono bastare anche solo pochi minuti, man mano che proseguiremo impareremo a riconoscere il Signore che parla alla nostra vita svelandocene giorno per giorno la verità più profonda, scopriremo che risponde davvero ai nostri interrogativi più profondi, se davvero decidiamo di ascoltarlo.
Gesù guarisce anche la nostra parola, ci rende capaci di esprimere ciò che abbiamo nel cuore, di lasciar emergere la verità di ciò che siamo, di annunciare la nostra fede, la nostra relazione di fiducia con lui.
Nel mondo in cui viviamo diventa ogni giorno più difficile esprimere la propria scelta di fede, spesso si viene derisi o messi a tacere. Le posizioni, le idee, le opinioni di chi è credente vengono scartate a priori, bollate come bigotte e fuori dal tempo così spesso ci scoraggiamo o ci lasciamo intimorire e ci chiudiamo in un vero e proprio mutismo su ciò che riguarda il nostro essere cristiani.
Non si tratta di iniziare crociate contro il mondo ma è importante poter esprimere la nostra fede, è importante che le nostre parole corrispondano a quello che abbiamo nel cuore, che ciò che esprimiamo con la lingua risplenda della luce della fede che il Signore ha acceso in noi.
Chiediamo, in questa domenica, un dono speciale dello Spirito Santo affinché ci renda ascoltatori attenti della Parola di Dio che smascheri le tante menzogne del mondo e ci doni il coraggio di annunciare con serenità e fiducia la gioia della vita con il Signore Gesù.
sabato 1 agosto 2015
Amore che sazia - Riflessione sul Vangelo di domenica 2 agosto 2015
Vi è mai capitato di andare a fare la spesa al supermercato e al ritorno vi siete accorti di aver comprato molte cose in più rispetto alla lista che avevate fatto? A me sì. Si percorrono i corridoi alla ricerca degli alimenti che ci occorrono e la nostra attenzione è catturata da confezioni sgargianti che rappresentano cibi dall'aspetto così invitante e succulento che spesso non possiamo fare a meno di acquistarle anche se non ne abbiamo bisogno. Così spesso acquistiamo cibi poco nutrienti, che non fanno bene al nostro organismo, solo perché la confezione ci ha fatto venire l'acquolina in bocca. Oltretutto, ma forse è solo una mia impressione, raramente il prodotto contenuto si presenta uguale a quello raffigurato sulla scatola. Così quando arriviamo a casa e apriamo le confezioni di prodotti che non ci servivano, l'incantesimo si spezza e noi ci ritroviamo con in mano cibi che non nutrono e che ci fanno solo ingrassare.
La nostra vita, in fondo, è un po' come un grande supermercato in cui troviamo sia alimenti buoni, sani e nutrienti, sia prodotti di scarso valore, che ci fanno male ma che si presentano molto bene, come se fossero quanto di più appetibile possiamo desiderare.
Di cosa nutriamo la nostra vita? Cosa le dà sostanza, la rende piena e autentica? Cosa fa sì che la nostra vita valga davvero la pena di essere vissuta?
Ci troviamo spesso ad inseguire ideali appetitosi ma che si rivelano poi scelte errate che ci tolgono energie e serenità lasciandoci più affamati di prima. Progetti, attese, desideri, ci ammaliano come le immagini delle confezioni sugli scaffali del supermercato e noi ci affanniamo per farli nostri ritrovandoci poi svuotati e delusi.
Ciò che nutre veramente la nostra vita è compiere l'opera di Dio, il suo progetto d'amore per noi.
Tante persone mi hanno chiesto come si faccia a capire la volontà di Dio. La mia risposta è sempre la stessa: non è difficile capire la volontà di Dio, ciò che è difficile è volerla capire.
Se noi di cuore decidiamo di compiere il disegno d'amore che il Padre ha per noi, Egli troverà mille modi per guidare i nostri passi, per indicarci la strada, per dirci quello che ha pensato per noi, in modo inequivocabile, parlando la nostra lingua, spiegandosi in modo più che chiaro.
Siccome, però, "non c'è peggior sordo di chi non vuol intendere", se non siamo realmente convinti di voler compiere la volontà di Dio, se la vogliamo provare, quasi fosse un vestito per vedere come ci sta, se vogliamo sapere in anticipo tutti i passaggi, sarà davvero difficile riuscire a capirla, anzi sarà proprio impossibile.
Da dove si comincia? Dalla fede nel Signore Gesù! "Questa è l'opera di Dio: che crediate in colui che ha mandato". Se iniziamo a fidarci davvero del Signore, se ne ascoltiamo la Parola ogni giorno, non in modo distratto ma lasciandoci interrogare e trasformare da essa, se impariamo a riconoscere i segni della sua grazia nella nostra vita, piano piano impareremo anche a comprendere il linguaggio di Dio, il suo modo di indicarci la via da seguire. Dio non ci chiama a cose strane, a decisioni bislacche, ci guida a vivere la nostra vita, quella che già stiamo vivendo, in un modo nuovo, un modo pieno e nutriente.
Scopriremo che compiere la volontà di Dio è ciò che veramente ci sazia perché la fame che abbiamo nel cuore è fame d'amore, fame d'amore vero, non di surrogati. Solo il Signore Gesù ci nutre di vero amore, solo la sua grazia può saziarci e dissetarci veramente e per l'eternità. Lasciamoci nutrire dal Signore Gesù e le nostre parole, i nostri gesti, le nostre scelte, diventeranno nutrimento per i nostri fratelli che attraverso di noi potranno gustare quanto è buono il Signore.
La nostra vita, in fondo, è un po' come un grande supermercato in cui troviamo sia alimenti buoni, sani e nutrienti, sia prodotti di scarso valore, che ci fanno male ma che si presentano molto bene, come se fossero quanto di più appetibile possiamo desiderare.
Di cosa nutriamo la nostra vita? Cosa le dà sostanza, la rende piena e autentica? Cosa fa sì che la nostra vita valga davvero la pena di essere vissuta?
Ci troviamo spesso ad inseguire ideali appetitosi ma che si rivelano poi scelte errate che ci tolgono energie e serenità lasciandoci più affamati di prima. Progetti, attese, desideri, ci ammaliano come le immagini delle confezioni sugli scaffali del supermercato e noi ci affanniamo per farli nostri ritrovandoci poi svuotati e delusi.
Ciò che nutre veramente la nostra vita è compiere l'opera di Dio, il suo progetto d'amore per noi.
Tante persone mi hanno chiesto come si faccia a capire la volontà di Dio. La mia risposta è sempre la stessa: non è difficile capire la volontà di Dio, ciò che è difficile è volerla capire.
Se noi di cuore decidiamo di compiere il disegno d'amore che il Padre ha per noi, Egli troverà mille modi per guidare i nostri passi, per indicarci la strada, per dirci quello che ha pensato per noi, in modo inequivocabile, parlando la nostra lingua, spiegandosi in modo più che chiaro.
Siccome, però, "non c'è peggior sordo di chi non vuol intendere", se non siamo realmente convinti di voler compiere la volontà di Dio, se la vogliamo provare, quasi fosse un vestito per vedere come ci sta, se vogliamo sapere in anticipo tutti i passaggi, sarà davvero difficile riuscire a capirla, anzi sarà proprio impossibile.
Da dove si comincia? Dalla fede nel Signore Gesù! "Questa è l'opera di Dio: che crediate in colui che ha mandato". Se iniziamo a fidarci davvero del Signore, se ne ascoltiamo la Parola ogni giorno, non in modo distratto ma lasciandoci interrogare e trasformare da essa, se impariamo a riconoscere i segni della sua grazia nella nostra vita, piano piano impareremo anche a comprendere il linguaggio di Dio, il suo modo di indicarci la via da seguire. Dio non ci chiama a cose strane, a decisioni bislacche, ci guida a vivere la nostra vita, quella che già stiamo vivendo, in un modo nuovo, un modo pieno e nutriente.
Scopriremo che compiere la volontà di Dio è ciò che veramente ci sazia perché la fame che abbiamo nel cuore è fame d'amore, fame d'amore vero, non di surrogati. Solo il Signore Gesù ci nutre di vero amore, solo la sua grazia può saziarci e dissetarci veramente e per l'eternità. Lasciamoci nutrire dal Signore Gesù e le nostre parole, i nostri gesti, le nostre scelte, diventeranno nutrimento per i nostri fratelli che attraverso di noi potranno gustare quanto è buono il Signore.
sabato 25 luglio 2015
Fidarsi di colui che fa nuove tutte le cose - Riflessione sul Vangelo di Domenica 26 luglio 2015
Diciamoci la verità, a nessuno sono mai piaciuti i compiti in classe, le interrogazioni, gli esami, da studenti ne avremmo fatto tutti volentieri a meno. Eppure erano utili perché ci permettevano di verificare quale fosse realmente la nostra preparazione. Anche se questo importantissimo scopo lo abbiamo compreso solo molto tempo dopo.
Dicono che gli esami non finiscono mai, è proprio vero!
È molto importante imparare ad esaminarsi, ad esaminare i propri pensieri e i propri sentimenti perché da essi dipendono le scelte della nostra vita.
Il Vangelo di questa domenica racconta il celebre episodio della moltiplicazione dei pani.
Gesù chiede a Filippo un suggerimento di come trovare cibo per tutta la folla accorsa e l'evangelista nota che gli pone questa domanda "per metterlo alla prova". Non è certo Gesù ad avere bisogno di verificare la fede di Filippo, è l'Apostolo che ha bisogno di chiedersi cosa pensa veramente di Gesù.
Se quello fosse stato un esame universitario Gesù avrebbe suggerito a Filippo di tornare all'appello successivo. Ma qual è il problema di Filippo?
Filippo non sa fidarsi pienamente di Gesù, non ha compreso ancora che Gesù può rompere gli schemi a cui siamo abituati, che può dar da mangiare a cinquemila persone con soli cinque pani.
Succede anche a noi di trovarci in situazioni in cui le nostre risorse sono a dir poco ridicole rispetto al compito da assolvere, alla necessità del momento, cosa facciamo? Di solito ci lasciamo prendere dall’ansia e dall’angoscia, cerchiamo soluzioni che, a volte, non sono nemmeno del tutto secondo la verità e la giustizia. Cosa dovremmo fare, invece? Fidarci di Dio! Dirgli: "Signore tu sai tutto, tu sai in quale situazione mi trovo, tu sai quali sono le mie possibilità, io te le metto tutte a disposizione, come il ragazzo del Vangelo, poi pensaci tu!" E se Gesù con cinque pani ha dato da mangiare a cinquemila persone volete forse che non possa risolvere anche le nostre difficoltà? Certo, devono essere difficoltà concrete e necessità reali. Non è che possiamo chiedere al Signore che ci faccia trovare i soldi per fare un mese di vacanza ai Caraibi in resort cinque stelle! Ma per ciò che è realmente necessario, che non è un capriccio o un’ingiustizia, impariamo ad affidarci davvero al Signore Gesù. Ci chiede solo due cose: che gli mettiamo a disposizione tutto quello che abbiamo, tutto! e che ci fidiamo pienamente di lui. Se guardiamo alla vita di molti santi, anche molto recenti, troviamo innumerevoli episodi in cui tutto sembrava perduto, sembrava che il poco che c’era non potesse bastare e invece il Signore non ha fatto mai mancare nulla. Fidiamoci, lasciamolo agire nella nostra vita, affidiamogli tutto ed egli provvederà a tutto ciò di cui abbiamo bisogno.
Dicono che gli esami non finiscono mai, è proprio vero!
È molto importante imparare ad esaminarsi, ad esaminare i propri pensieri e i propri sentimenti perché da essi dipendono le scelte della nostra vita.
Il Vangelo di questa domenica racconta il celebre episodio della moltiplicazione dei pani.
Gesù chiede a Filippo un suggerimento di come trovare cibo per tutta la folla accorsa e l'evangelista nota che gli pone questa domanda "per metterlo alla prova". Non è certo Gesù ad avere bisogno di verificare la fede di Filippo, è l'Apostolo che ha bisogno di chiedersi cosa pensa veramente di Gesù.
Se quello fosse stato un esame universitario Gesù avrebbe suggerito a Filippo di tornare all'appello successivo. Ma qual è il problema di Filippo?
Filippo non sa fidarsi pienamente di Gesù, non ha compreso ancora che Gesù può rompere gli schemi a cui siamo abituati, che può dar da mangiare a cinquemila persone con soli cinque pani.
Succede anche a noi di trovarci in situazioni in cui le nostre risorse sono a dir poco ridicole rispetto al compito da assolvere, alla necessità del momento, cosa facciamo? Di solito ci lasciamo prendere dall’ansia e dall’angoscia, cerchiamo soluzioni che, a volte, non sono nemmeno del tutto secondo la verità e la giustizia. Cosa dovremmo fare, invece? Fidarci di Dio! Dirgli: "Signore tu sai tutto, tu sai in quale situazione mi trovo, tu sai quali sono le mie possibilità, io te le metto tutte a disposizione, come il ragazzo del Vangelo, poi pensaci tu!" E se Gesù con cinque pani ha dato da mangiare a cinquemila persone volete forse che non possa risolvere anche le nostre difficoltà? Certo, devono essere difficoltà concrete e necessità reali. Non è che possiamo chiedere al Signore che ci faccia trovare i soldi per fare un mese di vacanza ai Caraibi in resort cinque stelle! Ma per ciò che è realmente necessario, che non è un capriccio o un’ingiustizia, impariamo ad affidarci davvero al Signore Gesù. Ci chiede solo due cose: che gli mettiamo a disposizione tutto quello che abbiamo, tutto! e che ci fidiamo pienamente di lui. Se guardiamo alla vita di molti santi, anche molto recenti, troviamo innumerevoli episodi in cui tutto sembrava perduto, sembrava che il poco che c’era non potesse bastare e invece il Signore non ha fatto mai mancare nulla. Fidiamoci, lasciamolo agire nella nostra vita, affidiamogli tutto ed egli provvederà a tutto ciò di cui abbiamo bisogno.
sabato 18 luglio 2015
Tempo di riposo e di pace del cuore - Riflessione sul Vangelo di domenica 19 luglio 2015
Il caldo torrido di questi giorni non ci permette di dubitarne: siamo in estate! Siamo nella stagione delle vacanze, le tanto attese e sospirate vacanze!
Aspettiamo le vacanze per poterci riposare dalle fatiche dei tanti impegni della nostra vita quotidiana che spesso ci lasciano sfiniti con il desiderio di mollare tutto per rifocillarci un po'.
La fatica, però, non è tutta uguale, c'è fatica e fatica.
C'è una fatica buona, quella che viene dall'impegno quotidiano nel compimento dei nostri doveri, dal prenderci cura delle persone che abbiamo accanto, dall'impegnarci ogni giorno ad annunciare il Vangelo con i nostri gesti, le nostre parole, le nostre scelte, dal compiere la volontà di Dio.
C'è poi un'altra fatica, questa però non è una fatica buona, la provoca il nostro inseguire i nostri progetti, le nostre idee, i nostri capricci. È una fatica generata dall'ansia del domani, dal pensare che tutto dipenda solo da noi, dalle nostre forze, dalle nostre capacità, un'ansia che ci ritroviamo quando abbiamo chiuso il Signore fuori dalla nostra vita, quando abbiamo deciso che facciamo meglio da soli. È l'ansia di chi non ha una guida sicura e si trova a vagare per la vita continuando a chiedersi se ciò che sta facendo sia la cosa giusta.
La pagina di Vangelo di questa domenica ci presenta entrambe queste fatiche.
C'è la fatica buona dei discepoli che tornano da Gesù e gli raccontano con entusiasmo la loro prima esperienza di annuncio del Vangelo. Gesù ne è felice ma nota anche la loro stanchezza fisica, fatica buona, e li invita a ritirarsi in disparte per riposarsi un po'. Gesù non è un imprenditore interessato solo al profitto, si prende cura dei suoi e li invita a prendere una pausa affinché il riposo faccia ritrovare loro le forze per riprendere poi l'impegno apostolico. Anche il riposo, anche la vacanza è un dono, una grazia di Dio per noi, è l'occasione per ritemprarci per riprendere fiato, anche per riguardare a quanto il Signore ci ha dato di compiere. Sarebbe bello se, durante questo tempo estivo, potessimo ritagliare qualche momento di preghiera in più per raccontare a Gesù quello che abbiamo fatto durante quest'anno. Non serve a lui, sa bene quello che abbiamo combinato, ma serve a noi per poter contemplare ancora meglio quanta grazia il Signore ha riversato nella nostra vita.
C'è poi la fatica che nasce dall'assenza di una guida sicura, dall'inseguire i nostri piani, una fatica che è mista a spaesamento e paura. È la fatica della folla di cui Gesù ha compassione perché "erano come pecore senza pastore". Anche in questo caso Gesù affronta la radice del problema e inizia a insegnare molte cose. Si propone, cioè, come ciò di cui mancano: un pastore, una guida sicura nel cammino di questa vita. Probabilmente ci stanno venendo in mente molte persone che conosciamo che non hanno scelto di avere il Signore Gesù come guida della loro vita. Prima, però, di preoccuparci degli altri, pensiamo a noi stessi. Anche noi possiamo avere alcuni ambiti della nostra vita in cui vogliamo fare di testa nostra, in cui non vogliamo farci guidare perché pensiamo di sapere da soli cosa sia meglio per noi. Sono parti della nostra vita in cui continuiamo a seguire i nostri progetti e le nostre sicurezze a cui non vogliamo rinunciare, ma sono anche le situazioni che più ci preoccupano, ci mettono ansia, ci stancano e innervosiscono. Per queste cose la soluzione non è andare in vacanza, sarebbe solo l'illusione di poter evitare ciò che ci opprime, al nostro ritorno ritroveremmo tutto come prima.
La soluzione per queste situazioni che ci affaticano e ci scoraggiano è lasciarsi guidare dal Signore Gesù, farlo entrare in ciò che non va nella nostra vita, in ciò che ci causa disagio, ci mette angoscia e ci innervosisce. Mettiamoci in ascolto della sua Parola, permettiamogli di illuminare gli angoli bui della nostra vita, lasciamolo entrare anche lì dove vorremmo continuare a decidere da soli. Permettiamogli di provvedere alle nostre necessità, di condurci sulla via che ha tracciato per noi, impariamo a dirgli "Signore, fai tu"! Quando avremo imparato ad affidarci veramente e pienamente al Signore, lo avremo scelto come guida e pastore di tutta la nostra vita, di ogni nostra scelta, allora tutte le tensioni, le ansie, le paure e le preoccupazioni si scioglieranno come un gelato in questa grande calura estiva e lasceranno il posto alla pace profonda del cuore, quella che solo Gesù Buon Pastore sa donarci.
sabato 11 luglio 2015
Liberi di vivere secondo l'amore di Dio - Riflessione sul Vangelo di domenica 12 giugno 2015
La pagina del Vangelo di Marco di questa domenica ci presenta Gesù che chiama a sé i Dodici e li manda a due a due dando loro il potere sugli spiriti impuri, gli Apostoli vanno e proclamano la conversione, scacciano i demoni e guariscono i malati. Gesù non è venuto a insegnarci una teoria, a darci delle nozioni, è venuto a liberarci dal male in tutte le sue forme e consegna ai suoi questo potere perché attraverso di loro possa raggiungere ogni uomo. Gli Apostoli, infatti, prima proclamano la conversione, invitano cioè a compiere un atto di volontà di rinuncia al male, all’egoismo, all’ira, all’orgoglio, alla superbia, poi scacciano i demoni, liberano cioè dalle seduzioni e dalle menzogne del demonio, e guariscono i malati, liberandoli dalle malattie. Negli ultimi decenni questo elemento della liberazione dal male è stato un po’ dimenticato, spesso viviamo una fede molto intellettuale o, peggio, moralistica, quasi che il Vangelo fosse un trattato di teologia o un manuale di buone maniere. Così, però, la fede resta staccata dalla vita, rimane, appunto, una teoria o un inseme di regole da seguire ma la nostra vita resta imprigionata nel male e ce ne accorgiamo perché siamo spesso tristi, scoraggiati, amareggiati, ci lasciamo prendere dall’ansia e dall’angoscia. Abbiamo bisogno, invece, di un incontro con il Signore Gesù, un incontro attraverso coloro che lo hanno incontrato, che da lui sono stati liberati, che da lui hanno avuto il mandato di portare la sua salvezza e la sua liberazione. La Chiesa è tutto questo! Il Signore Gesù ci ha donato i Sacramenti come strumenti della nostra liberazione: il Battesimo, la Riconciliazione, l’Unzione degli infermi sono i doni di grazia che il Signore ci ha lasciato per liberarci dal male, fisico e spirituale. Decidiamo, allora, in questa domenica di convertirci veramente a Lui, non solo con l’intelligenza ma con tutta la vita, lasciamoci raggiungere dalla sua forza liberatrice, accogliamo i doni del suo amore che vengono a spazzare via il male dalla nostra esistenza. Nel mandare i Dodici, Gesù ha pensato anche a ciascuno di noi e ha scelto gli Apostoli proprio perché la sua opera di liberazione potesse raggiungere ogni uomo di ogni tempo. Lasciamoci liberare e scopriremo che la libertà vera non è fare tutto quello che mi passa per la testa ma vivere secondo l’amore di Dio.
sabato 4 luglio 2015
Un'unica certezza - Riflessione sul Vangelo di domenica 5 luglio 2015
Quando leggiamo un libro, ascoltiamo un racconto, guardiamo un film, specie se la trama ci avvince, tendiamo ad immedesimarci nella storia, ci schieriamo con il protagonista, biasimiamo quanti lo ostacolano e gli sono ostili.
Probabilmente questo accade anche quando ascoltiamo il Vangelo durante la Messa. Ci immedesimiamo nella storia, ci schieriamo con gli amici di Gesù e biasimiamo quanti gli si dimostrano contrari.
Probabilmente lo facciamo anche ascoltando il Vangelo di questa domenica, rimaniamo stupiti per l'ottusità dei nazaretani, ci chiediamo come abbiano potuto essere così miopi dal concentrarsi solo su quello che di Gesù già sapevano, senza saper approfittare della sua presenza, della sua parola autorevole, del suo potere taumaturgico. Fossimo stati noi al loro posto ci saremmo comportati in modo ben diverso!
Ma ne siamo così sicuri? Siamo così certi che il loro atteggiamento non sia un po' anche il nostro?
In fondo i nazaretani volevano semplicemente restare attaccati alle loro certezze. La loro certezza era che Gesù era il falegname, il figlio di Maria, lo conoscevano sin da bambino, lo avevano visto crescere, era diventato, sotto i loro occhi, un uomo come tanti. Da dove gli veniva ora tanta sapienza e il potere di fare miracoli? Questo scombinava la quiete del piccolo villaggio di Nazareth, da cui non era mai venuto nessun profeta, e un profeta, si sa, è un prestigio agli occhi degli altri, ma chi se lo ritrova in casa va a finire che poi deve anche dargli ascolto e, magari, anche convertirsi!
Ecco, noi non siamo differenti! Nemmeno noi vogliamo farci scombinare le nostre certezze, nemmeno noi vogliamo permettere al Signore di venire a cambiarci la vita, ci abbiamo messo tanto ad abituarci, a trovare la giusta posizione.
Quante volte ascoltiamo la Parola di Dio in modo distratto pensando "sì, questo brano l'ho già sentito un milione di volte, cosa vuoi che mi dica di nuovo"? Non è forse lo stesso atteggiamento dei nazaretani? Pensiamo che ormai il Signore lo conosciamo bene e ci ha già detto tutto quello che poteva dirci.
Quando ascoltiamo la Parola di Dio, invece, il Signore che parla a ciascuno di noi, dice una cosa nuova alla vita di ognuno, nessuno escluso. Non importa se quella pagina di Vangelo l'abbiamo già ascoltata due milioni di volte, il Signore ci parlerà di nuovo, dicendoci qualcosa di nuovo!
Quante volte, poi, pensiamo che le nostre difficoltà, le nostre sofferenze, i nostri problemi siano ormai irrisolvibili, quante volte ci convinciamo che non ci sia nulla da fare, che niente e nessuno potrà mai cambiare quella situazione, potrà sanare quella relazione andata in pezzi, potrà guarire quella malattia o quella ferita del cuore. Così, però, impediamo al Signore di venire a risanare la nostra vita perché non crediamo veramente che lo voglia fare o lo possa fare.
"Gesù, ci dice l'Evangelista, non poteva compiere nessun prodigio a causa della loro incredulità".
Il Signore ci vuole amare non ci vuole costringere, non ci vuole imporre la sua salvezza se noi non la vogliamo. Se noi non siamo disposti ad affidargli le nostre sofferenze, i nostri problemi, le nostre fatiche, se non ci crediamo che lui solo possa guarirci, siamo noi ad impedirgli di agire in noi, di operare le sue meraviglie.
Il primo passo è lasciarci stupire dal Signore, non dare nulla per scontato, affidargli tutta la nostra vita con l'unica certezza che lui solo può salvarla, senza avere paura di perdere i nostri punti fermi.
Ora che abbiamo capito che non siamo poi così diversi dai nazaretani che inizialmente avevamo biasimato, non lasciamoci prendere da due tentazioni di cui ci parlano le altre due letture di questa domenica.
Non scoraggiamoci se ci rendiamo conto che ancora una volta ci siamo ribellati a Dio. Egli è paziente e, soprattutto, non si dà per vinto, continua a venire nella nostra vita, continua ad inviarci i suoi profeti che ci indichino la strada per tornare a lui.
Non mettiamoci neppure in testa di dover diventare perfetti con le nostre forze, di dover venire a capo delle nostre fragilità e debolezze. Permettiamo, invece, che diventino il luogo dell'incontro con il Signore Gesù, offriamole a lui perché manifesti in esse, proprio in ciò che di noi disprezziamo, la sua gloria, la sua potenza e la sua salvezza.
Se sappiamo accogliere il Signore Gesù senza paure, con semplicità, umiltà e disponibilità, Egli trasformerà la nostra vita, la renderà una vera vita nuova.
Probabilmente questo accade anche quando ascoltiamo il Vangelo durante la Messa. Ci immedesimiamo nella storia, ci schieriamo con gli amici di Gesù e biasimiamo quanti gli si dimostrano contrari.
Probabilmente lo facciamo anche ascoltando il Vangelo di questa domenica, rimaniamo stupiti per l'ottusità dei nazaretani, ci chiediamo come abbiano potuto essere così miopi dal concentrarsi solo su quello che di Gesù già sapevano, senza saper approfittare della sua presenza, della sua parola autorevole, del suo potere taumaturgico. Fossimo stati noi al loro posto ci saremmo comportati in modo ben diverso!
Ma ne siamo così sicuri? Siamo così certi che il loro atteggiamento non sia un po' anche il nostro?
In fondo i nazaretani volevano semplicemente restare attaccati alle loro certezze. La loro certezza era che Gesù era il falegname, il figlio di Maria, lo conoscevano sin da bambino, lo avevano visto crescere, era diventato, sotto i loro occhi, un uomo come tanti. Da dove gli veniva ora tanta sapienza e il potere di fare miracoli? Questo scombinava la quiete del piccolo villaggio di Nazareth, da cui non era mai venuto nessun profeta, e un profeta, si sa, è un prestigio agli occhi degli altri, ma chi se lo ritrova in casa va a finire che poi deve anche dargli ascolto e, magari, anche convertirsi!
Ecco, noi non siamo differenti! Nemmeno noi vogliamo farci scombinare le nostre certezze, nemmeno noi vogliamo permettere al Signore di venire a cambiarci la vita, ci abbiamo messo tanto ad abituarci, a trovare la giusta posizione.
Quante volte ascoltiamo la Parola di Dio in modo distratto pensando "sì, questo brano l'ho già sentito un milione di volte, cosa vuoi che mi dica di nuovo"? Non è forse lo stesso atteggiamento dei nazaretani? Pensiamo che ormai il Signore lo conosciamo bene e ci ha già detto tutto quello che poteva dirci.
Quando ascoltiamo la Parola di Dio, invece, il Signore che parla a ciascuno di noi, dice una cosa nuova alla vita di ognuno, nessuno escluso. Non importa se quella pagina di Vangelo l'abbiamo già ascoltata due milioni di volte, il Signore ci parlerà di nuovo, dicendoci qualcosa di nuovo!
Quante volte, poi, pensiamo che le nostre difficoltà, le nostre sofferenze, i nostri problemi siano ormai irrisolvibili, quante volte ci convinciamo che non ci sia nulla da fare, che niente e nessuno potrà mai cambiare quella situazione, potrà sanare quella relazione andata in pezzi, potrà guarire quella malattia o quella ferita del cuore. Così, però, impediamo al Signore di venire a risanare la nostra vita perché non crediamo veramente che lo voglia fare o lo possa fare.
"Gesù, ci dice l'Evangelista, non poteva compiere nessun prodigio a causa della loro incredulità".
Il Signore ci vuole amare non ci vuole costringere, non ci vuole imporre la sua salvezza se noi non la vogliamo. Se noi non siamo disposti ad affidargli le nostre sofferenze, i nostri problemi, le nostre fatiche, se non ci crediamo che lui solo possa guarirci, siamo noi ad impedirgli di agire in noi, di operare le sue meraviglie.
Il primo passo è lasciarci stupire dal Signore, non dare nulla per scontato, affidargli tutta la nostra vita con l'unica certezza che lui solo può salvarla, senza avere paura di perdere i nostri punti fermi.
Ora che abbiamo capito che non siamo poi così diversi dai nazaretani che inizialmente avevamo biasimato, non lasciamoci prendere da due tentazioni di cui ci parlano le altre due letture di questa domenica.
Non scoraggiamoci se ci rendiamo conto che ancora una volta ci siamo ribellati a Dio. Egli è paziente e, soprattutto, non si dà per vinto, continua a venire nella nostra vita, continua ad inviarci i suoi profeti che ci indichino la strada per tornare a lui.
Non mettiamoci neppure in testa di dover diventare perfetti con le nostre forze, di dover venire a capo delle nostre fragilità e debolezze. Permettiamo, invece, che diventino il luogo dell'incontro con il Signore Gesù, offriamole a lui perché manifesti in esse, proprio in ciò che di noi disprezziamo, la sua gloria, la sua potenza e la sua salvezza.
Se sappiamo accogliere il Signore Gesù senza paure, con semplicità, umiltà e disponibilità, Egli trasformerà la nostra vita, la renderà una vera vita nuova.
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