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sabato 27 giugno 2015

Guariti dall'amore - Riflessione sul Vangelo di domenica 28 giugno 2015

Cos'è che rende bella una vita? Secondo alcuni è la carriera professionale, secondo altri è la ricchezza, secondo altri ancora è la realizzazione dei propri progetti. Molte persone oggi inseguono queste cose come miraggi nel deserto. 
Io penso che quello che fa bella una vita sono le relazioni. Non quanti soldi ho ma a quante persone voglio bene?
Ciò che dà colore alla nostra vita sono proprio le relazioni che abbiamo. Eppure quanto è difficile vivere relazioni vere, quanta fatica facciamo ad aprirci, a donarci veramente all'altro. Spesso ci ritroviamo a rinchiuderci in noi stessi, a portare avanti amicizie solo di facciata, minate dalla menzogna e dal pregiudizio. Abbiamo difficoltà anche a voler bene alle persone più care e spesso ci sembra di essere soli, incapaci di amare, di voler bene. Uno dei mali più diffusi nella nostra società è proprio la solitudine. Sembra un paradosso, oggi che siamo nell'era dei social network, oggi che abbiamo molti mezzi a disposizione per comunicare tra noi, ci sentiamo molto più soli di quanto si sentivano i nostri nonni.
Non siamo più capaci ad amare veramente, ad amare donandoci completamente, la nostra affettività è ferita e ci porta a vivere in modo sempre più chiuso e isolato. 
La pagina di Vangelo di questa domenica ci presenta due donne accomunate da una condizione analoga. C'è la figlia del capo della sinagoga che ha dodici anni, sta concludendo la sua infanzia e sta diventando feconda, entra nell'età in cui, all'epoca di Gesù, una ragazza era pronta per il matrimonio, per avere una famiglia. A noi oggi sembra troppo piccola per cominciare già a pensare al matrimonio ma consideriamo che la cultura dell'epoca era ben diversa dalla nostra, per cui non giudichiamo.
Questa ragazzina sta morendo, nel momento in cui entra nell'età per realizzare la propria vita relazionale, la sua esistenza sembra interrompersi bruscamente.
Poi c'è una donna adulta la quale da dodici anni ha continue perdite di sangue e secondo la legge mosaica questo la rende inavvicinabile, nemmeno a lei è possibile prendere marito.  
Sono due donne ferite nella loro affettività, c'è qualcosa che impedisce loro di avere relazioni vere e autentiche. 
In loro possiamo ritrovare noi stessi. Ciascuno di noi è come la figlia di Giairo quando lasciamo che le nostre sofferenze ci portino a interrompere ogni relazione autentica, quando ci rinchiudiamo in noi stessi, continuiamo a relazionarci con gli altri ma lo facciamo solo in modo superficiale e semplicemente perché non ne possiamo fare a meno. So che sembra un quadro brutto ma so quante persone vivono con la morte nel cuore.
Ma ciascuno di noi è anche come la donna che ha speso tutto quello che aveva chiedendo guarigione a molti medici e peggiorando solo la sua situazione. Siamo come lei quando svendiamo le nostre idee, i nostri principi, perfino il nostro corpo, pur di trovare qualcuno che ci dia un po' di attenzione, ma anche questo non fa che peggiorare la nostra solitudine. 
Ma allora siamo condannati ad una vita solitaria? No, non lo siamo. Dobbiamo solo fare quello che hanno fatto le due donne del Vangelo, toccare l'unico che ci può salvare da tutto questo, l'unico che può risanare la nostra affettività, l'unico che ci insegna ad amare davvero, amandoci davvero: il Signore Gesù.
Nessuna parte della nostra vita è fatta a compartimenti stagni, nemmeno la nostra relazionalità. Le nostre relazioni sono tutte connesse tra loro, semplicemente perché partono dall'unico cuore che abbiamo. Per vivere bene tutte le relazioni dobbiamo, allora, vivere bene la relazione più importante della nostra vita: la relazione con Dio, la relazione con colui che ci ha creato, con colui che ci ha salvato, con colui che ci dona continuamente vita. 
Abbiamo bisogno della relazione con Dio per vivere ogni altra relazione e questo non vale solo per i preti e le suore, vale per ogni persona umana! Nessuno di noi sa amare da solo, amiamo perché siamo stati amati e le nostre incapacità di amare nascono sempre da ferite d'amore, da eventi o situazioni in cui non ci siamo sentiti amati o, peggio, ci siamo sentiti odiati. 
Torniamo, allora,con fede alla relazione con Dio, allunghiamo la nostra mano per toccarlo con la certezza che il Signore Gesù ci guarisce subito, che l'incontro con il suo amore immenso e misericordioso ci fa risorgere da quella morte del cuore in cui siamo immersi da tanto tempo. 
Servono solo due cose: l'umiltà di riconoscerci bisognosi di lui, come hanno fatto Giairo e la donna malata, e la fiducia che lui solo ci può salvare.
Gesù entra nella nostra vita, ci risana amandoci e amandoci ci insegna ad amare come ama lui, questa è una vita davvero bella!

sabato 20 giugno 2015

Liberati dalla paura - Riflessione sul Vangelo di domenica 21 giugno 2015

Nelle prime pagine degli elenchi del telefono si trovano i numeri utili e i numeri del pronto intervento: carbinieri, polizia, vigili del fuoco, ambulanza. Sono numeri importanti da conoscere e avere sotto mano in caso di necessità.
A ben guardare, però, manca un numero, quello del Signore Gesù, sembra un po' irriverente ma dobbiamo ammettere che spesso ci rivolgiamo a Lui solo in caso di necessità.
Anche noi, come i discepoli, lo abbiamo preso sulla barca della nostra vita ma poi lo abbiamo messo a dormire, magari non osiamo disturbarlo, preferiamo pensare da soli alle nostre necessità. La maggior parte dei cristiani di oggi (ma anche di ieri) vive come se Dio fosse addormentato o impegnato in altre faccende, come se non potesse prendersi cura di noi. Così moltissime persone vivono una vita solitaria, affrontano ogni giorno difficoltà e problemi, convinti di dover trovare una soluzione, certi di doverci pensare da soli. A volte, però, le situazioni che la vita ci pone davanti ci appaiono più grosse di noi, ci sembrano insormontabili, ci sentiamo in pericolo e allora disperati ci rivolgiamo al Signore e magari lo rimproveriamo anche "Signore, non ti importa che io stia per affogare in questi problemi?". E il Signore risponde, si prende cura di noi, ci sorregge, ci incoraggia e ci fa superare la difficoltà e poi chiede anche a noi: "Perché hai paura? Perché ancora non ti fidi di me?"
Abbiamo paura perché ci pensiamo abbandonati a noi stessi, perché non sappiamo vedere e riconoscere le azioni di Dio nella nostra vita. Abbiamo difficoltà a fidarci perché siamo convinti di dove pensare da soli alla nostra sussistenza, perché non sappiamo staccarci dalle previsioni che ci siamo fatti, perché pensiamo che tutto debba andare come ce lo siamo immaginato.
Paradossalmente è proprio in quel momento, quando ci sentiamo deboli e fragili, quando pensiamo di non riuscire ad uscirne da soli che possiamo cambiare radicalmente l'orientamento della nostra vita iniziando a fidarci veramente del Signore.
Fidarsi veramente di Gesù significa vivere nella certezza che è più forte e più grande delle nostre paure, che comanda al mare e questo gli obbedisce. Il Signore Gesù vince le nostre paure, vince ciò che ci preoccupa e ci provoca ansia. Fidarsi veramente di Lui è affrontare la vita nella sicurezza che nulla potrà mai farci affogare perché ci sarà Lui a prendersi cura di noi.
Fidarsi del Signore Gesù significa però anche mettere in discussione tutte le nostre certezze, a cominciare da quelle circa i nostri bisogni. Tutti pensiamo di sapere di cosa abbiamo bisogno, tutti vogliamo avere delle sicurezze: economiche, lavorative, di salute. Siamo convinti che senza quelle cose la nostra vita sia perduta ma ci sbagliamo! Il Signore sa di cosa abbiamo veramente bisogno, sa cosa, invece, è secondario, sa quale è il punto passato il quale la barca della nostra vita affonderebbe e non permette mai che lo superiamo. Al contrario quelle sicurezze diventano per noi una zavorra, un motivo di intralcio perché non ci consentono di lasciare campo libero al Signore affinché compia la sua opera di salvezza nella nostra vita. Se non sappiamo rinunciare alle nostre certezze ci troveremo a dover rinunciare alla nostra serenità.
Se invece decidiamo di fidarci del Signore Gesù, se gli permettiamo di aprirci gli occhi, di insegnarci a guardare alla realtà non più alla maniera umana ma nella prospettiva nuova dei figli di Dio, nella luce dell'amore del Padre per ciascuno di noi, allora scopriremo che possiamo vivere una vita diversa, una vita nuova, in cui il Signore è presente accanto a noi sempre. Il Signore non dorme mai, non smette di prendersi cura di noi, di guidare la nostra vita, di disporre ciò che ci è necessario, quando e come ne abbiamo bisogno. Per vivere questa vita non occorre altro che la fiducia in Lui e una relazione autentica, quotidiana, che non si limita alla chiamata di emergenza ma che vive un affidamento pieno ogni giorno. Impariamo ad affidargli la nostra vita, a lasciare che vinca le nostre paure, lasciamoci stupire dalla sua provvidenza, lasciamoci salvare.
Se nella nostra vita c'è qualcosa che pensiamo sia ormai irrecuperabile, una relazione in crisi, un problema lavorativo, una malattia, un atteggiamento o un vizio nostro o di chi ci sta accanto, iniziamo a pensare che il Signore può e vuole sanare quella situazione. Non fa niente se non lo sentiamo, se siamo scoraggiati e ormai abbiamo perso ogni speranza perché sono molti anni che non vediamo alcun cambiamento, iniziamo a portarlo nella preghiera, presentiamolo al Signore Gesù  che è il Dio dell'impossibile, senza dargli istruzioni, senza spiegargli come intervenire. Affidiamoci semplicemente a lui, permettendogli di agire in quella tempesta della nostra vita, lasciamo che riporti la calma e la pace nel nostro cuore e nella nostra vita. Probabilmente la sua soluzione sarà ben diversa da quella a cui avevamo pensato noi ma nel profondo del cuore sapremo che è la cosa giusta.

venerdì 12 giugno 2015

Ne vale la pena - Riflessione sul Vangelo di domenica 14 giugno 2015

Chi mo conosce bene sa che sono sempre stato un tipo piuttosto meticoloso, ordinato e preciso, mi è sempre piaciuto avere tutto sotto controllo. Queste caratteristiche sono utili quando si hanno responsabilità organizzative ma se sfuggono di mano (e lo fanno sempre) diventano generatori di ansie e preoccupazioni. Il desiderio di avere sempre tutto sotto controllo mi ha spesso portato a cercare di prevedere gli sviluppi di ogni situazione e di immaginare imprevisti per poter pensare prima ad eventuali soluzioni. Mi sono trovato preda della paura di non riuscire a portare a termine un lavoro iniziato, a vivere nell'ansia di non essere in grado di assolvere a tutti i compiti e di non poter evitare eventi indipendenti dalla mia volontà che avrebbero potuto crearmi moti problemi. Vivevo come se tutto dipendesse da me, come se tutto dovesse essere perfetto, così come lo avevo progettato io.
Il Signore, però, è buono ed è venuto a salvarmi! È venuto a farmi capire che stavo inseguendo una perfezione che esisteva solo nei miei progetti, che mi stavo complicando enormemente la vita, che stavo facendo una gran fatica perché pretendevo di fare io ciò che è opera sua. Mi ha donato di capire che troppo spesso viviamo vite complicate perché ce le complichiamo da soli, arriviamo alla fine della giornata sfiniti perché tentiamo di controllare ciò che non ci appartiene, cerchiamo di far crescere ciò che non dipende da noi.
In buona sostanza ho capito di avere due opzioni: vivere una vita all'inseguimento di un mio progetto, con tutta la fatica che comporta, oppure scegliere di seguire il progetto di Dio, di partecipare alla costruzione del suo Regno, opera che resta sua e che compie Lui.
Ero stanco di faticare per nulla e ho scelto di seguire il suo progetto, di fidarmi di Dio, di lasciare che fosse Lui a condurre la mia vita.
So bene che a molti questa sembri una follia, so che a molti il Regno di Dio sembri una stupida illusione, una invenzione per mettere a tacere la coscienza o, comunque, qualcosa per cui non val la pena di sacrificare la vita. Ad altri sembra qualcosa di trascurabile, di cui ci si preoccuperà da vecchi, quando ci dovremo preparare a chiudere la nostra permanenza su questa terra.
Io però ho scelto di fidarmi e ora so che ne vale la pena!
 Ma cos'è poi questo Regno di Dio?
Il Regno di Dio è la Chiesa, non solo la struttura gerarchica, è la comunità dei credenti, è la famiglia dei figli di Dio che al mondo sembra una cosa insignificante ma invece è il luogo in cui tutti possiamo rifugiarci, tutti, nessuno escluso, possiamo trovare ristoro dalle nostre fatiche. Il Regno di Dio è l'opera che Dio compie per salvare ogni uomo, un'opera che compie Lui, non noi.
Concretamente significa cedere a Dio il controllo della vita, fidarsi del suo progetto, anche quando non lo conosciamo e vediamo, significa riconoscere che è Lui a far crescere la nostra vita, a farle portare frutto. Questo non significa che dobbiamo stenderci su una sdraio al sole aspettando che il Signore faccia tutto ma significa piuttosto vivere la nostra vita nel quotidiano, smettendola di preoccuparci per il domani, di farci prendere dall'ansia perché le cose non sono andate come avevamo pensato. Significa dire "Signore, fai tu!" e fidarsi di Lui, ma dobbiamo farlo 24 ore al giorno, 7 giorni a settimana, non ogni tanto. Qualcuno potrebbe obbiettare: "ma io ho famiglia, chi ci pensa ai miei figli?"
Che domande! Il Signore! Sì, il Signore provvede ciò di cui abbiamo bisogno, non ci fa mancare nulla, siamo noi che spesso non ci fidiamo e pretendiamo di sapere cosa ci occorre e ci facciamo in quattro per procurarcelo, con scarsi risultati.
Le preoccupazioni, le ansie, le manie di perfezionismo continuano a presentarsi, d'altro canto le mie debolezze sono quelle, ma ora cerco sempre di rispondere "mi fido di te Signore, guidami tu, fammi capire quale è la tua volontà" e quando riesco a dirlo e a farlo scopro che davvero il Signore fa crescere il suo Regno in noi, che veramente è qualcosa di grandioso, ma anche che è ciò che mi dona pace e serenità anche in mezzo alle situazioni più difficili.
... e allora ne vale la pena!

domenica 7 giugno 2015

Amore che nutre - Riflessione sul Vangelo di Domenica 7 giugno 2015

Questa settimana il problema ce l'ho io, come faccio a parlarvi dell'Eucaristia? Come faccio a raccontarvi un'esperienza che si può solo vivere e che ogni volta che la vivi la comprendi meglio e comunque ti stupisce ancora?
Proviamoci!
Un celebre inno di san Tommaso d'Aquino ci ricorda che la vista, il tatto il gusto, quando percepiscono l'Eucaristia sbagliano perché per comprenderla ci vuole un atto di fede basato sull'ascolto di una testimonianza. I nostri sensi percepiscono pane e vino, oggetti inanimati, ma la verità del Sacramento è esattamente l'opposto.
Percepiamo pane ma è Corpo di Cristo, percepiamo vino ma è Sangue di Cristo, percepiamo oggetti ma è una Persona, è il Signore Gesù! Sì, Al momento della consacrazione lo Spirito Santo opera quella che con termine tecnico è definita transustanziazione, il pane e il vino smettono di essere tali e diventano Corpo e Sangue di Cristo. Gesù, dunque, si rende realmente presente nelle specie eucaristiche.
Fin qui quello che ci hanno insegnato a catechismo ma poi tutto questo cosa dice alla nostra vita?
Innanzi tutto ci dice che Gesù ha scelto di essere realmente presente nella nostra vita, non in modo simbolico ma reale! L'Eucaristia non è un simbolo come potrebbe essere una foto o un dipinto che raffigurano una persona. Se ho la foto di un mio caro non ho la persona lì, ho una sua immagine che me lo ricorda. L'Eucaristia non è un'immagine di Gesù, è Gesù!
Non è facile da credere, forse è più difficile credere alla presenza reale di Gesù nel Sacramento che alla sua esistenza. Possiamo, cioè, essere disposti a credere che il Signore Gesù esista e abiti nei cieli, in una dimensione a noi irraggiungibile ma credere che sia realmente presente in quello che ai nostri occhi sembra un pezzo di pane azzimo è molto più difficile. Un aiuto viene dalla preghiera, da una preghiera abituale davanti al tabernacolo, una preghiera che si fa dialogo "Signore Gesù, so che tu sei presente qui, davanti a me, in questo Santissimo Sacramento. I miei occhi vedono pane ma credo che dietro quell'aspetto ci sei tu". Provateci, all'inizio vi sembrerà di parlare con il muro, poi col tempo anche il vostro cuore, piano piano, inizierà a sciogliersi e a percepire la presenza del Signore Gesù, non perché saremo diventati più bravi a riconoscerlo ma perché la nostra preghiera ci avrà reso più docili all'azione dello Spirito.
L'Eucaristia non è solo una Persona, è un evento, è l'evento della Passione, della Morte e della Resurrezione del Signore Gesù: non un susseguirsi di fatti ma il dono d'amore che il Figlio ha fatto di sé per compiere il disegno di Salvezza del Padre. L'Eucaristia è, così, un'occasione, per noi, per vivere, partecipare, all'evento centrale della storia dell'umanità: la morte e la resurrezione del Signore. Ricevere l'Eucarestia è compiere un viaggio nel tempo e nello spazio che ci porta al Golgota il Venerdì Santo e al Sepolcro vuoto la mattina di Pasqua.
L'Eucaristia è un dono è il Signore Gesù che si dona a noi e viene a nutrire la nostra esistenza, viene a saziare la fame di vita eterna e la nostra sete di alleanza, di amore. Il Corpo di Gesù è cibo che ci dona vita eterna, il suo Sangue è il sigillo della Alleanza con lui, del legame che ci stringe al suo amore, che niente e nessuno potrà mai spezzare.
Mi sono chiesto: perché il Signore ha scelto di donarsi a noi in un modo apparentemente così materiale, impersonale? Perché si lascia mangiare e bere? Questa la risposta che ho trovato: perché è il modo che ha scelto per donarsi totalmente a noi, per mettersi pienamente nelle nostre mani, per abbandonarsi alla nostra libertà. In fondo anche la difficoltà che abbiamo nel riuscire a riconoscerlo realmente presente nel Sacramento non è un modo per farsi desiderare o per complicarci la vita ma è per salvaguardare il più possibile la nostra libertà, per non rischiare di violarla in nulla.
L'Eucaristia è il Signore Gesù che ci ama e l'amore non può essere spiegato, può solo essere vissuto.
Vivete l'Eucaristia, vivete nel Signore Gesù!