Con l'idea di suscitarci rispetto e attenzione, tutto ciò che appartiene a Dio ci è sempre stato presentato circonfuso di un alone di sacralità, di straordinarietà, di eccezionalità. Il risultato, però, è stata un'idea di lontananza, di completamente altro da noi, così lontano da essere inarrivabile. Anche la sacra Famiglia di Nazareth, Gesù, Maria e Giuseppe ce li hanno talmente idealizzati che li abbiamo messi nel presepe, e da lì li guardiamo, belli, pii, devoti... ma poi la nostra vita è tutt'altra cosa!
Povero Gesù! E dire che ce l'ha messa tutta per essere normale, per avere una famiglia normale, per mettersi al nostro livello, per entrare nella nostra quotidianità, non come un supereroe o come un modello inarrivabile ma come uno di noi, in nulla diverso da noi.
Dovremmo, allora, cambiare la nostra prospettiva, smettiamola di guardare il presepe da fuori, entriamoci dentro, smettiamo di ascoltare il Vangelo come una bella favola di Natale iniziamo a viverlo come qualcosa che ci appartiene e a cui apparteniamo.
La Santa Famiglia che oggi la Chiesa ci fa contemplare non è eccezionale, è normale, è una famiglia come le altre. Certo, Gesù è il Figlio di Dio, Maria è l'Immacolata e Giuseppe è uomo giusto e pio, ma la vita che hanno scelto di vivere è stata una vita normalissima affinché anche noi, che non siamo immacolati né giusti e pii, possiamo imparare da loro.
La cosa più importante che dobbiamo imparare è a mettere Dio al centro delle nostre famiglie, a lasciarci guidare da lui, ad ascoltare la sua Parola affinché sia questa, e non i nostri capricci, a guidare le nostre scelte. La Santa Famiglia è una famiglia normale in cui tutti sono in ascolto della Parola del Signore, desiderano compiere la sua volontà e si prendono cura gli uni degli altri.
Tutti dicono che oggi la famiglia è in crisi: verissimo! E il primo motivo della crisi è che non si mette più Dio al centro della famiglia, che si sta insieme e si vive insieme finché ci va, quando non ci va più ci si lascia perché non è più importante il bene della famiglia ma la soddisfazione del singolo. Non si dialoga, non ci si ascolta ma soprattutto non si è disposti a fare sacrifici, a offrire, cioè, il proprio tempo, le proprie fatiche, le proprie aspirazioni come atto d'amore. La famiglia non è un diritto, è una chiamata, è una responsabilità, è un dono d'amore, dono non serbatoio a cui attingere per soddisfare le proprie carenze affettive.
In questa società che va perdendo ogni giorno di più la consapevolezza di cosa sia una famiglia vera e normale noi cristiani, che abbiamo nella Santa Famiglia il modello di com'è una famiglia normale, dobbiamo diventarne testimoni non a parole ma con i fatti, non facendo proclami o conferenze ma impegnandoci a vivere relazioni famigliari autentiche, vere, normali. Dobbiamo mostrare al mondo cosa significhi una famiglia normale, dobbiamo rimetter al centro Dio, dobbiamo metterci in ascolto della sua Parola, ritornare a pregare insieme, ad insegnare ai figli a pregare insieme, ad ascoltare il Vangelo ogni giorno. Dobbiamo iniziare a dimostrare con la vita che il dialogo, l'ascolto, l'accoglienza reciproca e a volte anche il sacrificio sono necessari affinché tutti i membri della famiglia possano essere felici, possano star bene perché la felicità e il benessere del singolo passa necessariamente dal benessere e dalla felicità di tutti.
Impariamo dalla Santa Famiglia cosa sia normalità, non dagli opinionisti che impazzano sul web o in tv, torniamo a fidarci di Dio e la lasciarci guidare da lui e non solo la nostra famiglia ne guadagnerà in serenità, in pace e in felicità ma lo farà tutta la nostra società.
Pensieri e riflessioni di un prete carismatico felicissimo di scoprire ogni giorno l'amore fantasioso e tenerissimo di Dio!!!
sabato 30 dicembre 2017
sabato 16 dicembre 2017
Testimoni di luce - Riflessione sul Vangelo di domenica 17 dicembre 2017
A circa metà dell'Avvento, alla terza domenica, la Chiesa ci invita a gioire con la domenica Gaudete.
Siamo invitati a gioire non solo perché ormai mancano pochi giorni a Natale ma perché il Signore viene nella nostra vita! Perché ci ama e ci porta gioia vera!!!
Se ci guardiamo intorno i modelli di gioia che ci vengono proposti sono quelli del successo, della fama, della popolarità. Ci dicono che per essere felici nella vita dobbiamo diventare popolari, dobbiamo conquistare posizioni importanti, dobbiamo poterci permettere quello che vogliamo.
Non so se gli attori, i magnati della finanza, i calciatori, le top model sappiano cosa sia la gioia vera, glielo auguro, so, però, che cosa può portarci quella gioia vera.
È san Giovanni Battista, nel Vangelo di questa domenica, a mostrarcelo. I Giudei lo interrogano, gli offrono anche la possibilità di vantare per se un titolo prestigiosissimo in Israele quello di Messia! e quando nega di esserlo gli chiedono se sia profeta! E non un profeta qualunque ma niente meno che Elia, il profeta che verrà a preparare la via al Messia.
Giovanni avrebbe avuto ogni diritto ad affermare di essere quel profeta, avrebbe guadagnato fama e popolarità invece di se dice "io sono voce..." Nemmeno un personaggio, solo voce.
Giovanni sembra quasi voler sparire, voler essere solo un annuncio che dà una testimonianza, che indirizza verso qualcun altro ben più importante di lui, l'unica vera personalità: il Signore Gesù.
Giovanni non disprezza popolarità e fama, semplicemente non gli interessano, ha nel cuore qualcosa di molto più grande e importante, ha nel cuore la luce di Dio e ha compreso che la sua vita non sarà completa, non sarà veramente felice se non sarà interamente spesa per darle testimonianza, per condurre gli uomini a quella luce.
Dare testimonianza alla luce di Dio, annunciare l'amore del Signore, condurre i fratelli all'incontro con Gesù non è stato il compito solo di Giovanni Battista, è il compito di ciascuno di noi, di ogni cristiano. E come per Giovanni non ci sarebbe stata gioia vera se non avesse dato la sua testimonianza, così anche noi non sapremo cosa sia la gioia vera finché non inizieremo a raccontare agli altri l'amore del Signore.
È ancora largamente diffusa l'idea che l'annuncio del Vangelo, dell'amore del Signore Gesù, sia compito di preti e suore, invece la Chiesa ci sta dicendo da duemila anni che è compito di ogni cristiano. In particolare dal Concilio Vaticano II e con i magisteri degli ultimi Papi, Papa Francesco soprattutto, tutti i cristiani sono invitati a riscoprire la gioia che dà annunciare agli altri che Dio ama ogni uomo. Non dobbiamo fare chissà che, basta che ci lasciamo colmare della sua luce e diventeremo luminosi anche per gli altri.
Forse dobbiamo chiederci se abbiamo accolto in noi la sua luce, se ci siamo lasciati contagiare dalla sua gioia. Forse il nostro andare a Messa la domenica, le preghiere recitate ogni giorno, sono più atti di abitudine che atti d'amore.
Disponiamoci ora ad accogliere il Signore che viene nella nostra vita. In questa settimana di Avvento che ancora ci separa dal Natale chiediamo con fiducia al Signore di venire nel nostro cuore, di colmarlo della sua luce, di inondarlo della sua gioia. Non aspetta altro! Attende solo che glielo chiediamo con sincerità, senza mezze misure, senza la paura che ciò che vuole compiere con noi possa infastidirci. Tanti uomini e donne nella storia hanno scelto di essere testimoni della luce e nessuno di loro se ne è mai pentito, nessuno di loro è mai tornato indietro perché la gioia del Signore sorpassa ogni nostra immaginazione.
Siamo invitati a gioire non solo perché ormai mancano pochi giorni a Natale ma perché il Signore viene nella nostra vita! Perché ci ama e ci porta gioia vera!!!
Se ci guardiamo intorno i modelli di gioia che ci vengono proposti sono quelli del successo, della fama, della popolarità. Ci dicono che per essere felici nella vita dobbiamo diventare popolari, dobbiamo conquistare posizioni importanti, dobbiamo poterci permettere quello che vogliamo.
Non so se gli attori, i magnati della finanza, i calciatori, le top model sappiano cosa sia la gioia vera, glielo auguro, so, però, che cosa può portarci quella gioia vera.
È san Giovanni Battista, nel Vangelo di questa domenica, a mostrarcelo. I Giudei lo interrogano, gli offrono anche la possibilità di vantare per se un titolo prestigiosissimo in Israele quello di Messia! e quando nega di esserlo gli chiedono se sia profeta! E non un profeta qualunque ma niente meno che Elia, il profeta che verrà a preparare la via al Messia.
Giovanni avrebbe avuto ogni diritto ad affermare di essere quel profeta, avrebbe guadagnato fama e popolarità invece di se dice "io sono voce..." Nemmeno un personaggio, solo voce.
Giovanni sembra quasi voler sparire, voler essere solo un annuncio che dà una testimonianza, che indirizza verso qualcun altro ben più importante di lui, l'unica vera personalità: il Signore Gesù.
Giovanni non disprezza popolarità e fama, semplicemente non gli interessano, ha nel cuore qualcosa di molto più grande e importante, ha nel cuore la luce di Dio e ha compreso che la sua vita non sarà completa, non sarà veramente felice se non sarà interamente spesa per darle testimonianza, per condurre gli uomini a quella luce.
Dare testimonianza alla luce di Dio, annunciare l'amore del Signore, condurre i fratelli all'incontro con Gesù non è stato il compito solo di Giovanni Battista, è il compito di ciascuno di noi, di ogni cristiano. E come per Giovanni non ci sarebbe stata gioia vera se non avesse dato la sua testimonianza, così anche noi non sapremo cosa sia la gioia vera finché non inizieremo a raccontare agli altri l'amore del Signore.
È ancora largamente diffusa l'idea che l'annuncio del Vangelo, dell'amore del Signore Gesù, sia compito di preti e suore, invece la Chiesa ci sta dicendo da duemila anni che è compito di ogni cristiano. In particolare dal Concilio Vaticano II e con i magisteri degli ultimi Papi, Papa Francesco soprattutto, tutti i cristiani sono invitati a riscoprire la gioia che dà annunciare agli altri che Dio ama ogni uomo. Non dobbiamo fare chissà che, basta che ci lasciamo colmare della sua luce e diventeremo luminosi anche per gli altri.
Forse dobbiamo chiederci se abbiamo accolto in noi la sua luce, se ci siamo lasciati contagiare dalla sua gioia. Forse il nostro andare a Messa la domenica, le preghiere recitate ogni giorno, sono più atti di abitudine che atti d'amore.
Disponiamoci ora ad accogliere il Signore che viene nella nostra vita. In questa settimana di Avvento che ancora ci separa dal Natale chiediamo con fiducia al Signore di venire nel nostro cuore, di colmarlo della sua luce, di inondarlo della sua gioia. Non aspetta altro! Attende solo che glielo chiediamo con sincerità, senza mezze misure, senza la paura che ciò che vuole compiere con noi possa infastidirci. Tanti uomini e donne nella storia hanno scelto di essere testimoni della luce e nessuno di loro se ne è mai pentito, nessuno di loro è mai tornato indietro perché la gioia del Signore sorpassa ogni nostra immaginazione.
sabato 9 dicembre 2017
Buona notizia - Riflessione sul Vangelo di domenica 10 dicembre 2017
Ogni giorno i mezzi d'informazione ci riferiscono centinaia di notizie, la maggior parte delle quali sono cattive. Per trovare una buona notizia ci dobbiamo impegnare, un po' perché le belle notizie non attirano l'attenzione come quelle brutte (e un po' su questo dovremmo riflettere...) un po' perché sono oggettivamente difficili da trovare.
C'è però una buona notizia, la Buona Notizia, che riecheggia nel mondo da duemila anni: Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio! Dio si è fatto uomo per venire a salvarci.
Ma a noi, oggi, interessa ancora questa buona notizia? Vogliamo essere salvati? O ci siamo accontentati/rassegnati alla vita che abbiamo?
Forse non ci rendiamo più conto ci aver bisogno di salvezza, forse le cose ci vanno bene così, ci accontentiamo di vivere la nostra vita, cercando di evitare quel che può farci male e facendo quello che ci fa star bene... o almeno è quello che vogliamo credere.
Beninteso, nessuno ci obbliga a cambiare nulla, il Signore non vuole entrare di prepotenza nella nostra vita, ci lascia liberi ma nello stesso tempo ci offre qualcosa di completamente nuovo, qualcosa di bellissimo che nessuno a questo mondo potrà mai darci: la vita nello Spirito!
Per accogliere il dono dello Spirito dobbiamo prima convertirci dai nostri peccati. È vero che il concetto di peccato oggi sembra un po' démodé, la nostra società ha superato quest'idea affermando che la vera libertà è poter fare tutto quello che vogliamo e che se mi va di fare una cosa devo poterla fare senza che nessuno mi dica se è giusta o sbagliata.
A ben pensarci il nostro ideale di libertà sarebbe non solo poter fare tutto quello che ci passa per la testa ma anche che non avesse conseguenze: vorremmo poter mangiare quello che ci va senza mai ingrassare nemmeno di un grammo, vorremmo aver sempre la meglio nei litigi, vorremmo poter dire le bugie senza che vengano mai scoperte... e così via.
Le nostre azioni, però, hanno tutte delle conseguenze, quelle poi che non sono guidate da una scelta d'amore hanno sempre conseguenze nefaste per noi e per chi abbiamo accanto. Il peccato è questo, sono azioni che invece di essere guidate da un amore autentico sono dettate dal nostro egoismo e portano delle conseguenze a breve, medio e lungo termine e le tante cattive notizie dei telegiornali ne sono la perfetta dimostrazione.
Abbiamo bisogno di conversione, di lasciare ciò che ci fa male, di lasciare i nostri capricci, le nostre passioni e aprire il cuore all'unico che ci salva dalle conseguenze del nostro peccato: il Signore Gesù!
Giovanni Battista ha predicato un battesimo per il perdono dei peccati, ha cioè invitato a lasciarci immergere nella misericordia di Dio che ci purifica dal male che abbiamo scelto e che continua a farci del male.
Gesù è venuto per battezzarci nello Spirito, per immergerci nell'Amore del Padre, per donarci la vita nello Spirito Santo. Dal giorno del nostro Battesimo lo Spirito Santo abita nei nostri cuori ma spesso lo teniamo chiuso come in uno sgabuzzino, confinato nel profondo del nostro cuore, imbavagliato perché non ci disturbi.
Lasciamolo agire in noi, lasciamoci trasformare nel profondo, permettiamogli di cambiare il nostro modo di vedere le cose, la vita, il mondo. Lasciamo che risvegli i nostri sensi spirituali che ci permettono di vedere la verità della nostra vita, di saper riconoscere le conseguenze dei nostri peccati e di capire in anticipo dove una scelta di egoismo può portarci, così da saperla rifiutare. Ma, soprattutto, impariamo a riconoscere la volontà di Dio per noi, il suo disegno d'amore e di salvezza, unica vera via della nostra gioia.
Accogliere il Signore, lasciare che ci doni di vivere nello Spirito Santo è la vera grande e buona notizia, quella che cambia davvero tutta la nostra esistenza. Questo tempo d'Avvento possa essere tempo d'attesa desiderosa di questo incontro speciale e straordinario con il Signore che viene nella nostra vita.
C'è però una buona notizia, la Buona Notizia, che riecheggia nel mondo da duemila anni: Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio! Dio si è fatto uomo per venire a salvarci.
Ma a noi, oggi, interessa ancora questa buona notizia? Vogliamo essere salvati? O ci siamo accontentati/rassegnati alla vita che abbiamo?
Forse non ci rendiamo più conto ci aver bisogno di salvezza, forse le cose ci vanno bene così, ci accontentiamo di vivere la nostra vita, cercando di evitare quel che può farci male e facendo quello che ci fa star bene... o almeno è quello che vogliamo credere.
Beninteso, nessuno ci obbliga a cambiare nulla, il Signore non vuole entrare di prepotenza nella nostra vita, ci lascia liberi ma nello stesso tempo ci offre qualcosa di completamente nuovo, qualcosa di bellissimo che nessuno a questo mondo potrà mai darci: la vita nello Spirito!
Per accogliere il dono dello Spirito dobbiamo prima convertirci dai nostri peccati. È vero che il concetto di peccato oggi sembra un po' démodé, la nostra società ha superato quest'idea affermando che la vera libertà è poter fare tutto quello che vogliamo e che se mi va di fare una cosa devo poterla fare senza che nessuno mi dica se è giusta o sbagliata.
A ben pensarci il nostro ideale di libertà sarebbe non solo poter fare tutto quello che ci passa per la testa ma anche che non avesse conseguenze: vorremmo poter mangiare quello che ci va senza mai ingrassare nemmeno di un grammo, vorremmo aver sempre la meglio nei litigi, vorremmo poter dire le bugie senza che vengano mai scoperte... e così via.
Le nostre azioni, però, hanno tutte delle conseguenze, quelle poi che non sono guidate da una scelta d'amore hanno sempre conseguenze nefaste per noi e per chi abbiamo accanto. Il peccato è questo, sono azioni che invece di essere guidate da un amore autentico sono dettate dal nostro egoismo e portano delle conseguenze a breve, medio e lungo termine e le tante cattive notizie dei telegiornali ne sono la perfetta dimostrazione.
Abbiamo bisogno di conversione, di lasciare ciò che ci fa male, di lasciare i nostri capricci, le nostre passioni e aprire il cuore all'unico che ci salva dalle conseguenze del nostro peccato: il Signore Gesù!
Giovanni Battista ha predicato un battesimo per il perdono dei peccati, ha cioè invitato a lasciarci immergere nella misericordia di Dio che ci purifica dal male che abbiamo scelto e che continua a farci del male.
Gesù è venuto per battezzarci nello Spirito, per immergerci nell'Amore del Padre, per donarci la vita nello Spirito Santo. Dal giorno del nostro Battesimo lo Spirito Santo abita nei nostri cuori ma spesso lo teniamo chiuso come in uno sgabuzzino, confinato nel profondo del nostro cuore, imbavagliato perché non ci disturbi.
Lasciamolo agire in noi, lasciamoci trasformare nel profondo, permettiamogli di cambiare il nostro modo di vedere le cose, la vita, il mondo. Lasciamo che risvegli i nostri sensi spirituali che ci permettono di vedere la verità della nostra vita, di saper riconoscere le conseguenze dei nostri peccati e di capire in anticipo dove una scelta di egoismo può portarci, così da saperla rifiutare. Ma, soprattutto, impariamo a riconoscere la volontà di Dio per noi, il suo disegno d'amore e di salvezza, unica vera via della nostra gioia.
Accogliere il Signore, lasciare che ci doni di vivere nello Spirito Santo è la vera grande e buona notizia, quella che cambia davvero tutta la nostra esistenza. Questo tempo d'Avvento possa essere tempo d'attesa desiderosa di questo incontro speciale e straordinario con il Signore che viene nella nostra vita.
venerdì 24 novembre 2017
Giustizia vera - Riflessione sul Vangelo di domenica 26 novembre 2017
Fin da piccoli siamo tutti stati educati alla meritocrazia: fai qualcosa di buono e ricevi un premio, fai qualcosa di sbagliato e vieni punito. Non ha sempre funzionato al meglio ma con il tempo ci siamo convinti che la giustizia coincida con questo sistema e, naturalmente, lo abbiamo subito proiettato su colui che è il giusto per antonomasia: Dio. Di qui la convinzione che Dio premi i buoni e punisca i cattivi.
In quest'ottica premio-punizione ci troviamo a leggere tutto il Vangelo, in particolare la pagina di questa domenica che sembra confermare in pieno quest'idea: i buoni, quelli cioè che hanno dato da mangiare, da bere, hanno assistito e visitato, vengono premiati e accolti nel Regno dei Cieli mentre i cattivi, quelli invece che non hanno assistito chi era in difficoltà, vengono puniti nel fuoco eterno.
Siamo proprio sicuri che la giustizia di Dio sia meritocratica? Forse dobbiamo ascoltare con più attenzione cercando di cogliere alcune sfumature.
Entrambi i gruppi, quando il Re li mette davanti alle loro azioni chiedono "Quando?" ma quel quando ha due sfumature molto diverse.
I buoni lo chiedono con stupore, quasi a dire "non ci eravamo accorti che fossi tu!", non hanno fatto del bene in attesa di un premio, fosse anche la vita eterna, lo hanno fatto per una scelta di vita fondamentale, lo hanno fatto perché hanno provato misericordia per i loro fratelli.
I cattivi chiedono "quando?" quasi a giustificarsi, quasi a dire "se ti avessimo incontrato ti avremmo sicuramente aiutato, ma non ti abbiamo mai visto in difficoltà, Signore". Costoro sono quelli che fanno le cose con calcolo, che vivono la vita secondo il loro interesse e fanno solo ciò che conviene loro. Paradossalmente i veri meritocratici sono proprio i cattivi che se avessero saputo di avere davanti il Signore si sarebbero dati da fare. Il loro cuore però non conosce la misericordia ma solo l'interesse e non c'è posto per loro nel Regno dei Cieli, non perché devono essere puniti per ciò che hanno fatto o omesso, ma perché il Regno dei Cieli è il Regno della misericordia e chi non è misericordioso non ci riesce ad entrare, non ne ha le caratteristiche.
La giustizia di Dio, quindi, non è meritocratica è misericordia! E la misericordia è molto più della meritocrazia!
Tanti cristiani sono pienamente convinti che il paradiso vada meritato, che ci si debba comportare bene per ottenere la salvezza, come se la salvezza fosse qualcosa in vendita. Dobbiamo "essere buoni" o meglio, dobbiamo amare concretamente tutti, specie quelli che ne hanno più bisogno, non nell'attesa di riceverne qualcosa in cambio ma perché questa è la nostra natura! Siamo fatti a immagine e somiglianza di Dio quindi dobbiamo agire come agisce lui, questa è la nostra vera natura. La vera natura del cuore dell'uomo è di essere misericordioso. Se però ci mettiamo a fare calcoli, se il nostro comportamento è dettato dalla ricerca di un vantaggio, non stiamo più agendo come Dio, non amiamo come fa lui e non possiamo stare con lui, non sopporteremmo la sua presenza.
In questa domenica chiediamo al Signore che ci aiuti a cambiare la nostra mentalità, che ci insegni ad essere buoni non per calcolo ma per scelta, non cercando un vantaggio ma perché vogliamo amare, vogliamo essere fedeli a noi stessi, a quello che siamo. Scegliamo di amare e amare concretamente, facendoci carico delle sofferenze di chi incontriamo sulla nostra strada, guardandolo negli occhi, come ci insegna Papa Francesco, comprendendone la sofferenza, avendone misericordia. È in questo amore concreto e disinteressato che è la nostra salvezza, è questo lo spazio di incontro con il Signore, l'ingresso nel suo Regno che è un Regno di misericordia.
In quest'ottica premio-punizione ci troviamo a leggere tutto il Vangelo, in particolare la pagina di questa domenica che sembra confermare in pieno quest'idea: i buoni, quelli cioè che hanno dato da mangiare, da bere, hanno assistito e visitato, vengono premiati e accolti nel Regno dei Cieli mentre i cattivi, quelli invece che non hanno assistito chi era in difficoltà, vengono puniti nel fuoco eterno.
Siamo proprio sicuri che la giustizia di Dio sia meritocratica? Forse dobbiamo ascoltare con più attenzione cercando di cogliere alcune sfumature.
Entrambi i gruppi, quando il Re li mette davanti alle loro azioni chiedono "Quando?" ma quel quando ha due sfumature molto diverse.
I buoni lo chiedono con stupore, quasi a dire "non ci eravamo accorti che fossi tu!", non hanno fatto del bene in attesa di un premio, fosse anche la vita eterna, lo hanno fatto per una scelta di vita fondamentale, lo hanno fatto perché hanno provato misericordia per i loro fratelli.
I cattivi chiedono "quando?" quasi a giustificarsi, quasi a dire "se ti avessimo incontrato ti avremmo sicuramente aiutato, ma non ti abbiamo mai visto in difficoltà, Signore". Costoro sono quelli che fanno le cose con calcolo, che vivono la vita secondo il loro interesse e fanno solo ciò che conviene loro. Paradossalmente i veri meritocratici sono proprio i cattivi che se avessero saputo di avere davanti il Signore si sarebbero dati da fare. Il loro cuore però non conosce la misericordia ma solo l'interesse e non c'è posto per loro nel Regno dei Cieli, non perché devono essere puniti per ciò che hanno fatto o omesso, ma perché il Regno dei Cieli è il Regno della misericordia e chi non è misericordioso non ci riesce ad entrare, non ne ha le caratteristiche.
La giustizia di Dio, quindi, non è meritocratica è misericordia! E la misericordia è molto più della meritocrazia!
Tanti cristiani sono pienamente convinti che il paradiso vada meritato, che ci si debba comportare bene per ottenere la salvezza, come se la salvezza fosse qualcosa in vendita. Dobbiamo "essere buoni" o meglio, dobbiamo amare concretamente tutti, specie quelli che ne hanno più bisogno, non nell'attesa di riceverne qualcosa in cambio ma perché questa è la nostra natura! Siamo fatti a immagine e somiglianza di Dio quindi dobbiamo agire come agisce lui, questa è la nostra vera natura. La vera natura del cuore dell'uomo è di essere misericordioso. Se però ci mettiamo a fare calcoli, se il nostro comportamento è dettato dalla ricerca di un vantaggio, non stiamo più agendo come Dio, non amiamo come fa lui e non possiamo stare con lui, non sopporteremmo la sua presenza.
In questa domenica chiediamo al Signore che ci aiuti a cambiare la nostra mentalità, che ci insegni ad essere buoni non per calcolo ma per scelta, non cercando un vantaggio ma perché vogliamo amare, vogliamo essere fedeli a noi stessi, a quello che siamo. Scegliamo di amare e amare concretamente, facendoci carico delle sofferenze di chi incontriamo sulla nostra strada, guardandolo negli occhi, come ci insegna Papa Francesco, comprendendone la sofferenza, avendone misericordia. È in questo amore concreto e disinteressato che è la nostra salvezza, è questo lo spazio di incontro con il Signore, l'ingresso nel suo Regno che è un Regno di misericordia.
sabato 18 novembre 2017
Padre fiducioso - Riflessione sul Vangelo di domenica 19 novembre 2017
Quando incontriamo un'altra persona e iniziamo a conoscerla ci facciamo, senza nemmeno accorgercene, un'immagine mentale così che poi tutto quello che quella persona ci dirà o farà lo leggeremo attraverso la lente della nostra immagine mentale. Se di quella persona ci saremo fatti un'immagine buona saremo indulgenti con i suoi errori, se di quella persona ci saremo fatti un'immagine negativa saremo portati a individuare ogni difetto e ogni più piccolo sbaglio. Si chiamano pregiudizi! E ognuno di noi se ne porta dietro una grande quantità che accresce di giorno in giorno.
Nel Vangelo di questa domenica Gesù racconta la celebre parabola dei talenti. Il padrone distribuisce le sue ricchezze ai tre servi secondo le loro capacità, li conosce, sa cosa sono in grado di gestire, non li carica di fardelli troppo pesanti che potrebbero schiacciarli. A noi, abituati a misurare il valore delle persone dalle loro capacità e abilità, sembra un comportamento ingiusto, che discrimina il terzo servo mentre favorisce il primo. Invece è un comportamento più che giusto proprio perché ha a cuore il bene della persona e non il profitto che può produrre e non misura con questo il suo valore.
I servi, però, hanno del padrone idee diverse, i primi due comprendono che con l'affidargli le sue ricchezze il padrone compie un atto di fiducia nei loro confronti e scelgono di rispondere a tale fiducia impegnandosi al massimo, infatti ciascuno dei due raddoppia quanto ricevuto.
Il terzo, invece, ha del padrone un'idea molto diversa, lo ritiene severo, autoritario, dispotico e ingiusto così, invece di impegnarsi per far fruttare la somma ricevuta, per paura la nasconde fino al ritorno del padrone. La fiducia ricevuta viene così miseramente tradita, la paura ha creato una distanza incolmabile che si traduce nell'allontanamento del servo.
E noi di Dio che idea abbiamo? Sappiamo riconoscere che si fida di noi, che ci affida la sua grazia affinché possiamo farle portare frutto o, come il terzo servo, ne abbiamo paura e cerchiamo di tenercene alla larga?
La tentazione che il demonio usa più spesso con ciascuno di noi è proprio di far sorgere in noi la paura di Dio, il sospetto nei suoi confronti, l'idea che voglia metterci in difficoltà chiedendoci di più di quanto siamo in grado di fare.
Quanto è diffusa l'idea che Dio sia un giudice severo e inflessibile, esigente e pignolo, che non vede l'ora di poterci condannare all'inferno! Questo però non è Dio! Non è il volto amorevole e misericordioso del Padre che Gesù ci ha rivelato ma un nostro pregiudizio!
Dio non è un giudice severo ma un padre tenero e attento, che ama ciascuno di noi in modo unico e infinito e che ci conosce perfettamente e non ci chiede più di quanto possiamo dare ma nemmeno di meno perché sarebbe segno di sfiducia.
Aver paura di Dio è semplicemente un'assurdità! Ci ha creati lui per un atto d'amore del tutto gratuito, se ne avesse abbastanza di noi ci farebbe smettere di esistere, così da un istante all'altro. Solo il fatto che esistiamo è dimostrazione che Dio ci sta amando anche in questo preciso istante.
Togliamoci dalla testa questa assurda idea che Dio non veda l'ora di mandarci all'inferno! Per evitarcelo si è fatto uomo e si è fatto crocifiggere da noi! Davvero abbiamo bisogno di altre prove?
Nei momenti in cui ci scopriamo assaliti dalla paura di Dio, del suo giudizio, dal sospetto che stia cercando di imbrogliarci o che ci stia chiedendo troppo impariamo a riconoscere che è il demonio che ci sta bisbigliando queste cose all'orecchio, che è lui e non Dio a cercare di imbrogliarci. Smettiamo, allora di dar seguito a quei pensieri, apriamo gli occhi e riconosciamo quanto il Signore ci ha affidato, quanto si fida di noi (molti più di quanto noi non ci fidiamo di noi stessi) e rimbocchiamoci le maniche per far fruttare quella grazia. In quei frutti troveremo anche la nostra gioia, quella che darà senso pieno alla nostra vita.
Nel Vangelo di questa domenica Gesù racconta la celebre parabola dei talenti. Il padrone distribuisce le sue ricchezze ai tre servi secondo le loro capacità, li conosce, sa cosa sono in grado di gestire, non li carica di fardelli troppo pesanti che potrebbero schiacciarli. A noi, abituati a misurare il valore delle persone dalle loro capacità e abilità, sembra un comportamento ingiusto, che discrimina il terzo servo mentre favorisce il primo. Invece è un comportamento più che giusto proprio perché ha a cuore il bene della persona e non il profitto che può produrre e non misura con questo il suo valore.
I servi, però, hanno del padrone idee diverse, i primi due comprendono che con l'affidargli le sue ricchezze il padrone compie un atto di fiducia nei loro confronti e scelgono di rispondere a tale fiducia impegnandosi al massimo, infatti ciascuno dei due raddoppia quanto ricevuto.
Il terzo, invece, ha del padrone un'idea molto diversa, lo ritiene severo, autoritario, dispotico e ingiusto così, invece di impegnarsi per far fruttare la somma ricevuta, per paura la nasconde fino al ritorno del padrone. La fiducia ricevuta viene così miseramente tradita, la paura ha creato una distanza incolmabile che si traduce nell'allontanamento del servo.
E noi di Dio che idea abbiamo? Sappiamo riconoscere che si fida di noi, che ci affida la sua grazia affinché possiamo farle portare frutto o, come il terzo servo, ne abbiamo paura e cerchiamo di tenercene alla larga?
La tentazione che il demonio usa più spesso con ciascuno di noi è proprio di far sorgere in noi la paura di Dio, il sospetto nei suoi confronti, l'idea che voglia metterci in difficoltà chiedendoci di più di quanto siamo in grado di fare.
Quanto è diffusa l'idea che Dio sia un giudice severo e inflessibile, esigente e pignolo, che non vede l'ora di poterci condannare all'inferno! Questo però non è Dio! Non è il volto amorevole e misericordioso del Padre che Gesù ci ha rivelato ma un nostro pregiudizio!
Dio non è un giudice severo ma un padre tenero e attento, che ama ciascuno di noi in modo unico e infinito e che ci conosce perfettamente e non ci chiede più di quanto possiamo dare ma nemmeno di meno perché sarebbe segno di sfiducia.
Aver paura di Dio è semplicemente un'assurdità! Ci ha creati lui per un atto d'amore del tutto gratuito, se ne avesse abbastanza di noi ci farebbe smettere di esistere, così da un istante all'altro. Solo il fatto che esistiamo è dimostrazione che Dio ci sta amando anche in questo preciso istante.
Togliamoci dalla testa questa assurda idea che Dio non veda l'ora di mandarci all'inferno! Per evitarcelo si è fatto uomo e si è fatto crocifiggere da noi! Davvero abbiamo bisogno di altre prove?
Nei momenti in cui ci scopriamo assaliti dalla paura di Dio, del suo giudizio, dal sospetto che stia cercando di imbrogliarci o che ci stia chiedendo troppo impariamo a riconoscere che è il demonio che ci sta bisbigliando queste cose all'orecchio, che è lui e non Dio a cercare di imbrogliarci. Smettiamo, allora di dar seguito a quei pensieri, apriamo gli occhi e riconosciamo quanto il Signore ci ha affidato, quanto si fida di noi (molti più di quanto noi non ci fidiamo di noi stessi) e rimbocchiamoci le maniche per far fruttare quella grazia. In quei frutti troveremo anche la nostra gioia, quella che darà senso pieno alla nostra vita.
sabato 11 novembre 2017
Missione possibile - Riflessione sul Vangelo di domenica 12 novembre 2017
Rispetto anche solo a qualche decina di anni fa, i nostri giovani hanno molte più possibilità di scegliere cosa fare nella vita, l'accesso agli studi universitari è alla portata se non proprio di tutti sicuramente di molti più che nel passato, hanno possibilità di viaggiare, di comunicare a lunghe di stanze, di informarsi e conoscere. Anche noi adulti beneficiamo dei trasporti più veloci, dei mezzi di comunicazione più sviluppati ed efficacie di tate opportunità che ci permettono di fare cose che per i nostri genitori erano molto più difficili e per i nostri nonni praticamente impossibili.
Tutto questo è sicuramente un progresso ma comporta anche dei rischi: una maggiore facilità a fare ciò che desideriamo può permetterci di realizzare il compito fondamentale della nostra vita ma anche farci perdere tempo ed energie dietro nostri capricci.
In molti oggi affermano che sia un diritto di ciascuno poter fare ed essere quello che si vuole, come se ciascuno di noi fosse un panetto di creta da modellarsi a proprio piacimento. Ma siamo davvero elementi neutri in grado di assumere tutte le forme che vogliano? Se così fosse saremmo tutti uguali, anonimi individui in grado di differenziarsi solo realizzando qualcosa di diverso dagli altri oppure condannati all'anonimato e all'oblio.
Noi però non siamo un informe panetto di creta anonimo, ciascuno di noi è un'opera d'arte, unica e irripetibile, con una missione precisa e specifica. Siamo opera di Dio, chiamati a collaborare con lui alla salvezza dell'umanità intera, ciascuno con il proprio contributo specifico.
Nella parabola che ascoltiamo in questa domenica le dieci vergini hanno un compito specifico: accompagnare lo sposo che entra alle nozze portando ciascuna una lampada accesa. Come ben sappiamo, cinque prendono solo le lampade vuote e cinque prendono anche l'olio per riempire le lampade con il risultato che le prime restano fuori mentre le altre, più sagge, entrano alla festa di nozze.
Ciascuna di loro aveva un compito, chiaro e specifico, per cui doveva prepararsi, essere pronta ad accogliere lo sposo, metà di loro, però, hanno preso alla leggera l'incarico, non ci hanno messo la giusta attenzione, non si sono preparate a dovere e, al momento di compiere quel che dovevano hanno scoperto che mancava loro un elemento fondamentale.
Con questa parabola Gesù ci invita a chiederci quale sia il nostro compito, quale sia la nostra vocazione: perché siamo qui e in questo tempo? Quale incarico devo compiere? Cosa devo preparare?
Non è un caso che ciascuno di noi sia nato in una determinata famiglia, in un luogo e un tempo specifici, che abbia fatto determinati incontri ed esperienze, sono i modi con cui il Signore ci fa comprendere quale sia il compito che ha pensato per noi, quale collaborazione al suo disegno di salvezza ci chieda.
È obbligatorio? No! Dio non ha mai costretto nessuno a fare qualcosa! Scegliere di seguire il Signore e di compiere la sua volontà è, però, l'opportunità che abbiamo per essere pienamente noi stessi, per compiere la missione per cui siamo al mondo, quella che ci fa entrare nella gioia vera.
Ognuno di noi ha una chiamata specifica, unica e irripetibile, per capire cosa il Signore ci chieda basta solo metterci in ascolto, desiderare compiere quello che ha pensato per noi. L'olio che le vergini sagge preparano e che anche noi dobbiamo preparare non è altro che l'amore, quello vero, quello capace di donarsi, di spendersi per il bene dell'altro. Infatti ciascuno di noi ha un compito diverso ma tutti devono essere svolti per amore.
Lasciamo perdere, quindi, i nostri capricci e le nostre velleità, facciamo invece in modo che la nostra vita brilli dell'amore di Dio, possa rischiarare quanti incontriamo nelle tante occupazioni della nostra giornata è così che compiamo la nostra missione: portando a tutti l'amore di Dio.
Tutto questo è sicuramente un progresso ma comporta anche dei rischi: una maggiore facilità a fare ciò che desideriamo può permetterci di realizzare il compito fondamentale della nostra vita ma anche farci perdere tempo ed energie dietro nostri capricci.
In molti oggi affermano che sia un diritto di ciascuno poter fare ed essere quello che si vuole, come se ciascuno di noi fosse un panetto di creta da modellarsi a proprio piacimento. Ma siamo davvero elementi neutri in grado di assumere tutte le forme che vogliano? Se così fosse saremmo tutti uguali, anonimi individui in grado di differenziarsi solo realizzando qualcosa di diverso dagli altri oppure condannati all'anonimato e all'oblio.
Noi però non siamo un informe panetto di creta anonimo, ciascuno di noi è un'opera d'arte, unica e irripetibile, con una missione precisa e specifica. Siamo opera di Dio, chiamati a collaborare con lui alla salvezza dell'umanità intera, ciascuno con il proprio contributo specifico.
Nella parabola che ascoltiamo in questa domenica le dieci vergini hanno un compito specifico: accompagnare lo sposo che entra alle nozze portando ciascuna una lampada accesa. Come ben sappiamo, cinque prendono solo le lampade vuote e cinque prendono anche l'olio per riempire le lampade con il risultato che le prime restano fuori mentre le altre, più sagge, entrano alla festa di nozze.
Ciascuna di loro aveva un compito, chiaro e specifico, per cui doveva prepararsi, essere pronta ad accogliere lo sposo, metà di loro, però, hanno preso alla leggera l'incarico, non ci hanno messo la giusta attenzione, non si sono preparate a dovere e, al momento di compiere quel che dovevano hanno scoperto che mancava loro un elemento fondamentale.
Con questa parabola Gesù ci invita a chiederci quale sia il nostro compito, quale sia la nostra vocazione: perché siamo qui e in questo tempo? Quale incarico devo compiere? Cosa devo preparare?
Non è un caso che ciascuno di noi sia nato in una determinata famiglia, in un luogo e un tempo specifici, che abbia fatto determinati incontri ed esperienze, sono i modi con cui il Signore ci fa comprendere quale sia il compito che ha pensato per noi, quale collaborazione al suo disegno di salvezza ci chieda.
È obbligatorio? No! Dio non ha mai costretto nessuno a fare qualcosa! Scegliere di seguire il Signore e di compiere la sua volontà è, però, l'opportunità che abbiamo per essere pienamente noi stessi, per compiere la missione per cui siamo al mondo, quella che ci fa entrare nella gioia vera.
Ognuno di noi ha una chiamata specifica, unica e irripetibile, per capire cosa il Signore ci chieda basta solo metterci in ascolto, desiderare compiere quello che ha pensato per noi. L'olio che le vergini sagge preparano e che anche noi dobbiamo preparare non è altro che l'amore, quello vero, quello capace di donarsi, di spendersi per il bene dell'altro. Infatti ciascuno di noi ha un compito diverso ma tutti devono essere svolti per amore.
Lasciamo perdere, quindi, i nostri capricci e le nostre velleità, facciamo invece in modo che la nostra vita brilli dell'amore di Dio, possa rischiarare quanti incontriamo nelle tante occupazioni della nostra giornata è così che compiamo la nostra missione: portando a tutti l'amore di Dio.
sabato 4 novembre 2017
Guida sicura - Riflessione sul Vangelo di domenica 5 novembre 2017
C'è un'invenzione che da poco più di dieci anni ha rivoluzionato il nostro modo di guidare, almeno lo ha rivoluzionato a me: il navigatore. Non so quanto voi lo utilizziate, io molto spesso. Permette di risparmiare molto tempo e ci evita di dover consultare cartine e mappe ogni volta che dobbiamo raggiungere una destinazione nuova. Il navigatore però, perché sia efficace, deve essere seguito con meticolosità. Ci sono alcune persone che lo attivano e poi fanno di testa loro e se dice di girare a sinistra loro girano a destra perché sono convinti di saperne di più.
Nella vita abbiamo bisogno di guide, di chi ci indica la strada, punti di riferimento sicuri che ci aiutino a fare le nostre scelte secondo verità. I nostri primi punti di riferimento sono i genitori, i nonni, gli zii, un fratello maggiore, poi intervengono gli insegnanti, i catechisti, i sacerdoti... Tanti sono coloro che, soprattutto nell'arco della nostra fanciullezza e adolescenza, sono stati per noi guide e modelli. Diventati adulti continuiamo ad aver bisogno di una guida, impariamo ben presto che il nostro semplice giudizio troppo spesso si rivela errato. Ci portiamo dietro il bagaglio dei principi e delle verità che ci sono state insegnate ma spesso non sono sufficienti, abbiamo bisogno di chi ci indica, di volta in volta, cosa scegliere, come comportarci.
È importante, allora, chiederci chi sono le nostre guide, chi abbiamo scelto come punto di riferimento, da chi ci lasciamo guidare. Non illudiamoci, abbiamo sempre qualcuno o qualcosa che ci guida, potrebbe anche non essere una persona in carne e ossa, potrebbe essere un'ideologia politica, una teoria economica, una filosofia morale ma un navigatore che ci indica quali scelte compiere c'è sempre.
Un cristiano non può che avere un unico maestro e un'unica guida: il Signore Gesù.
Solo Gesù, infatti, ci rivela la verità della nostra vita, ce ne fa comprendere il senso pieno, ce ne fa conoscere il fine, attraverso la sua Parola e attraverso l'insegnamento della sua Chiesa.
Nel tempo che viviamo ci sono alcuni -pastori e laici- che criticano l'insegnamento del Papa e del Magistero della Chiesa generando non poca confusione nei fedeli. Più di tanto non dobbiamo preoccuparcene: ci sono sempre stati, in tutte le epoche della storia della Chiesa. Ricordiamo sempre che la guida deve essere il Signore Gesù e che quindi ogni insegnamento dei Pastori deve essere conforme a quanto Gesù ha detto e ha fatto e che i Vangeli ci raccontano. Il criterio di discernimento, quindi, è il Vangelo, meglio ancora tutta la Scrittura e non una sola parte di essa, non un solo versetto. Con un minimo di abilità e di conoscenza biblica si potrebbe far dire alla Scrittura tutto e il suo contrario, basta saper scegliere bene i versetti. È un po' quello che qualche giornalista senza scrupoli fa quando taglia e incolla varie parti del discorso di un qualunque personaggio pubblico dando l'impressione che abbia detto anche il contrario di ciò che ha effettivamente voluto comunicare. È molto importante, quindi, che ci formiamo una buona conoscenza del Vangelo e di tutta la Scrittura, conoscenza che non si acquisisce con uno studio accademico ma nella preghiera, lasciandoci illuminare dallo Spirito Santo, nell'ascolto dei pastori che insegnano secondo il Vangelo e nel confronto con i fratelli. Tutto questo è importantissimo per due ragioni: per lasciarci sempre e solo guidare dal Signore Gesù e perché quando ci troviamo noi ad essere guide di altri non insegniamo cose nostre ma la verità di Dio. Dobbiamo guardarci da chi, come i farisei del Vangelo di oggi insegnano teorie proprie ma dobbiamo anche fare attenzione a non diventare come loro e a insegnare ai figli, ai nipoti, agli alunni e a tutti quelli che si affidano alla nostra guida le nostre convinzioni ma solo e unicamente a fidarsi del Signore Gesù, lui solo dona gioia vera.
Nella vita abbiamo bisogno di guide, di chi ci indica la strada, punti di riferimento sicuri che ci aiutino a fare le nostre scelte secondo verità. I nostri primi punti di riferimento sono i genitori, i nonni, gli zii, un fratello maggiore, poi intervengono gli insegnanti, i catechisti, i sacerdoti... Tanti sono coloro che, soprattutto nell'arco della nostra fanciullezza e adolescenza, sono stati per noi guide e modelli. Diventati adulti continuiamo ad aver bisogno di una guida, impariamo ben presto che il nostro semplice giudizio troppo spesso si rivela errato. Ci portiamo dietro il bagaglio dei principi e delle verità che ci sono state insegnate ma spesso non sono sufficienti, abbiamo bisogno di chi ci indica, di volta in volta, cosa scegliere, come comportarci.
È importante, allora, chiederci chi sono le nostre guide, chi abbiamo scelto come punto di riferimento, da chi ci lasciamo guidare. Non illudiamoci, abbiamo sempre qualcuno o qualcosa che ci guida, potrebbe anche non essere una persona in carne e ossa, potrebbe essere un'ideologia politica, una teoria economica, una filosofia morale ma un navigatore che ci indica quali scelte compiere c'è sempre.
Un cristiano non può che avere un unico maestro e un'unica guida: il Signore Gesù.
Solo Gesù, infatti, ci rivela la verità della nostra vita, ce ne fa comprendere il senso pieno, ce ne fa conoscere il fine, attraverso la sua Parola e attraverso l'insegnamento della sua Chiesa.
Nel tempo che viviamo ci sono alcuni -pastori e laici- che criticano l'insegnamento del Papa e del Magistero della Chiesa generando non poca confusione nei fedeli. Più di tanto non dobbiamo preoccuparcene: ci sono sempre stati, in tutte le epoche della storia della Chiesa. Ricordiamo sempre che la guida deve essere il Signore Gesù e che quindi ogni insegnamento dei Pastori deve essere conforme a quanto Gesù ha detto e ha fatto e che i Vangeli ci raccontano. Il criterio di discernimento, quindi, è il Vangelo, meglio ancora tutta la Scrittura e non una sola parte di essa, non un solo versetto. Con un minimo di abilità e di conoscenza biblica si potrebbe far dire alla Scrittura tutto e il suo contrario, basta saper scegliere bene i versetti. È un po' quello che qualche giornalista senza scrupoli fa quando taglia e incolla varie parti del discorso di un qualunque personaggio pubblico dando l'impressione che abbia detto anche il contrario di ciò che ha effettivamente voluto comunicare. È molto importante, quindi, che ci formiamo una buona conoscenza del Vangelo e di tutta la Scrittura, conoscenza che non si acquisisce con uno studio accademico ma nella preghiera, lasciandoci illuminare dallo Spirito Santo, nell'ascolto dei pastori che insegnano secondo il Vangelo e nel confronto con i fratelli. Tutto questo è importantissimo per due ragioni: per lasciarci sempre e solo guidare dal Signore Gesù e perché quando ci troviamo noi ad essere guide di altri non insegniamo cose nostre ma la verità di Dio. Dobbiamo guardarci da chi, come i farisei del Vangelo di oggi insegnano teorie proprie ma dobbiamo anche fare attenzione a non diventare come loro e a insegnare ai figli, ai nipoti, agli alunni e a tutti quelli che si affidano alla nostra guida le nostre convinzioni ma solo e unicamente a fidarsi del Signore Gesù, lui solo dona gioia vera.
sabato 28 ottobre 2017
Il segreto della gioia vera - Riflessione sul Vangelo di Domenica 29 ottobre 2017
C'è, nel cuore di ognuno di noi, un profondo anelito di libertà. Tutti, sin da piccolissimi, abbiamo bisogno di affermare la nostra indipendenza, di poter decidere da soli della nostra vita, di poter fare le nostre scelte senza alcuna costrizione. Siamo, infatti, tutti ben convinti che libertà vera sia poter fare ciò che mi va e non fare ciò che non mi va. In questa prospettiva tutto ciò che anche solo sembra essere un'autorità, un'istanza che possa in qualche modo darci dei comandi, la evitiamo con grande cura: primo tra tutti Dio. È infatti ben diffusa (fin dal Paradiso Terrestre) l'idea che Dio voglia farci fare qualcosa che a noi non va, voglia darci ordini, farci eseguire i suoi comandi limitando così la nostra libertà. Ora, se solo ci fermassimo a rifletterci sopra un minuto ci accorgeremmo che questa idea è assolutamente insensata! Perché mai Dio prima ci avrebbe dato la libertà per poi togliercela? E cosa mai Dio potrebbe aver bisogno da noi? Lui che è onnipotente, dunque può tutto, potrebbe mai aver bisogno di noi che raramente ne facciamo una giusta?
Però nella Bibbia si parla di comandamenti! Allora è vero che Dio vuole comandare su di noi!
I Comandamenti non sono ordini di un generale alle sue truppe che, se vengono disobbediti, si viene deferiti alla corte marziale. I Comandamenti sono le indicazioni che Dio ci dona per vivere veramente liberi. Vera libertà, infatti, non è fare tutto quello che mi va ma tutto quello che mi fa bene, che mi completa, che dà senso alla mia vita. Siccome però noi non lo sappiamo ciò che ci fa bene e ciò che dà senso alla nostra vita -e gli innumerevoli errori di ciascuno di noi sono lì a dimostrarlo- Dio ci viene in aiuto e ci dice cosa ci fa davvero bene.
Quando un dottore della Legge chiede quale, dei tanti comandamenti presenti nella Scrittura, sia da considerare il più importante, Gesù risponde mettendo insieme due versetti della Bibbia che però contengono la stessa indicazione: "tu amerai"! Ecco il vero comandamento di Dio, ecco a cosa Dio ci vuole "costringere"! Dio vuole che nella nostra vita non facciamo altro che amare! Amare lui innanzi tutto e con tutto noi stessi e amare chi abbiamo accanto come noi stessi.
A ben pensarci, non è forse la cosa che tutti desideriamo più di ogni altra? Chi non desisdera amore per la propria vita? Allora, forse, possiamo iniziare a prendere in considerazione di ascoltare cosa Dio ci "comandi", no?
Siamo fatti a immagine e somiglianza di Dio che è amore, l'unica cosa che darà senso e pienezza alla nostra vita, l'unica cosa che ci darà gioia vera è amare.
Se ci pensiamo bene, anche nelle cose che ci va di fare, nei nostri capricci e desideri, ciò che inseguiamo è l'amore. Tutto quello che facciamo è mosso dall'amore. Se però ciò che ci muove è un amore egocentrico, che cerca cioè solo il nostro bene personale, ciò che troviamo non è la felicità ma l'insoddisfazione. Quante volte mi è capitato di incontrare persone che apparentemente avevano tutto quello che si potesse desiderare eppure erano irrimediabilmente insoddisfatte!
Ciò che ci completa, ciò che ci riempie, che ci dona soddisfazione e gioia vera non è l'amore egocentrico ma l'amore donato, l'amore che ama l'altro cercandone il bene, cercandone la gioia e il benessere. È l'amore gratuito, quello che si dona senza attendere nulla in cambio, che cerca la gioia dell'altro prima della propria. È un amore che possiamo imparare solo da Dio perché egli solo sa amare così. Scoprirci amati ogni istante da lui e scegliere di amarlo a nostra volta, concretamente, fidandoci di lui, del suo amore, della sua volontà, desiderando di ascoltare la sua Parola, l'incontro con lui nella preghiera e nei sacramenti è ciò che ci insegna ad amare veramente noi stessi e i nostri fratelli, è ciò che ci conduce alla gioia vera.
Se vogliamo davvero trovare la nostra gioia dobbiamo imparare a operare per la gioia degli altri, di chi abbiamo accanto, di chi il Signore mette sul nostro cammino.
Però nella Bibbia si parla di comandamenti! Allora è vero che Dio vuole comandare su di noi!
I Comandamenti non sono ordini di un generale alle sue truppe che, se vengono disobbediti, si viene deferiti alla corte marziale. I Comandamenti sono le indicazioni che Dio ci dona per vivere veramente liberi. Vera libertà, infatti, non è fare tutto quello che mi va ma tutto quello che mi fa bene, che mi completa, che dà senso alla mia vita. Siccome però noi non lo sappiamo ciò che ci fa bene e ciò che dà senso alla nostra vita -e gli innumerevoli errori di ciascuno di noi sono lì a dimostrarlo- Dio ci viene in aiuto e ci dice cosa ci fa davvero bene.
Quando un dottore della Legge chiede quale, dei tanti comandamenti presenti nella Scrittura, sia da considerare il più importante, Gesù risponde mettendo insieme due versetti della Bibbia che però contengono la stessa indicazione: "tu amerai"! Ecco il vero comandamento di Dio, ecco a cosa Dio ci vuole "costringere"! Dio vuole che nella nostra vita non facciamo altro che amare! Amare lui innanzi tutto e con tutto noi stessi e amare chi abbiamo accanto come noi stessi.
A ben pensarci, non è forse la cosa che tutti desideriamo più di ogni altra? Chi non desisdera amore per la propria vita? Allora, forse, possiamo iniziare a prendere in considerazione di ascoltare cosa Dio ci "comandi", no?
Siamo fatti a immagine e somiglianza di Dio che è amore, l'unica cosa che darà senso e pienezza alla nostra vita, l'unica cosa che ci darà gioia vera è amare.
Se ci pensiamo bene, anche nelle cose che ci va di fare, nei nostri capricci e desideri, ciò che inseguiamo è l'amore. Tutto quello che facciamo è mosso dall'amore. Se però ciò che ci muove è un amore egocentrico, che cerca cioè solo il nostro bene personale, ciò che troviamo non è la felicità ma l'insoddisfazione. Quante volte mi è capitato di incontrare persone che apparentemente avevano tutto quello che si potesse desiderare eppure erano irrimediabilmente insoddisfatte!
Ciò che ci completa, ciò che ci riempie, che ci dona soddisfazione e gioia vera non è l'amore egocentrico ma l'amore donato, l'amore che ama l'altro cercandone il bene, cercandone la gioia e il benessere. È l'amore gratuito, quello che si dona senza attendere nulla in cambio, che cerca la gioia dell'altro prima della propria. È un amore che possiamo imparare solo da Dio perché egli solo sa amare così. Scoprirci amati ogni istante da lui e scegliere di amarlo a nostra volta, concretamente, fidandoci di lui, del suo amore, della sua volontà, desiderando di ascoltare la sua Parola, l'incontro con lui nella preghiera e nei sacramenti è ciò che ci insegna ad amare veramente noi stessi e i nostri fratelli, è ciò che ci conduce alla gioia vera.
Se vogliamo davvero trovare la nostra gioia dobbiamo imparare a operare per la gioia degli altri, di chi abbiamo accanto, di chi il Signore mette sul nostro cammino.
venerdì 20 ottobre 2017
Vera immagine - Riflessione sul Vangelo di domenica 22 novembre 2017
Abbiamo un rapporto curioso con lo Stato, non ci piace pagare le tasse ma poi vorremmo avere servizi efficienti e perfetti. Ora, che in Italia il problema della corruzione, dello sperpero e della disonestà sia una piaga aperta per tutta la società è cosa più che risaputa, tuttavia ciò non ci autorizza a non pagare le tasse dovute. Che sia un dovere lo esprime molto chiaramente Gesù: "rendete a Cesare ciò che è di Cesare", possiamo non essere d'accordo, possiamo trovare mille eccezioni e diecimila buone ragioni per non pagarle ma è un nostro preciso dovere di giustizia.
Evitiamo, però, di liquidare così banalmente la pagina di Vangelo di questa domenica. Non fermiamoci al "date a Cesare ciò che è di Cesare", la parte veramente importante è ciò che segue immediatamente: "e a Dio ciò che è di Dio".
Nel rispondere a farisei ed erodiano Gesù chiede di chi siano l'immagine e l'iscrizioni presenti sul denaro e quindi invita a restituirlo a colui che vi è rappresentato e poi invita a restituire a Dio ciò che gli appartiene, ciò, quindi che porta la sua immagine e la sua iscrizione. Per capire questa sottigliezza di Gesù ci servono due passi, il primo dal libro della Genesi (1,26) in cui Dio dichiara "facciamo l'uomo a nostra immagine e somiglianza" e il secondo è nel libro del profeta Geremia (31,33) in cui Dio stabilisce la sua alleanza con Israele affermando: "porrò la mia legge dentro di loro, la scriverò sul loro cuore. Allora io sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo."
Sulla moneta ci sono l'immagine e l'iscrizione di Cesare nell'uomo ci sono l'immagine e l'iscrizione di Dio, dunque la prima torni a Cesare ma l'uomo torni a Dio.
Gesù ci invita a rendere a Dio ciò che è di Dio, la nostra umanità, la nostra stessa vita. Ci sta invitando a vivere per Dio, a riconoscerci parte di un grande disegno d'amore, di un grande progetto di salvezza che riguarda ciascuno di noi, ogni uomo!
Rendere a Dio ciò che è suo significa scegliere di vivere una vita abbandonati alla sua volontà il che non significa che dobbiamo diventare tutti preti e suore o comunque tutti bigotti impegnati in pratiche di ascetismo estremo, in digiuni e astinenze, in penitenze corporali e ogni altra cosa la nostra fervida immaginazione ci suggerisca. Significa fidarci di Dio sempre, in ogni situazione, quelle favorevoli e quelle sfavorevoli quelle piacevoli e quelle dolorose, nella consapevolezza che la nostra vita gli appartiene e non permetterà che nulla possa distruggerci o annientarci. Abbandonarsi alla sua volontà ci permetterà di sperimentare che davvero ci è sempre accanto e ci sostiene in ogni situazione, che ci dona conforto quando siamo sfiduciati, ci infonde coraggio quando abbiamo paura, ci consola quando siamo rattristati.
Rendiamo a Dio ciò che è di Dio, consegniamogli la nostra vita, senza però poi riprendercela, senza continuare a fare di testa nostra, ad inseguire i nostri progetti, ad angosciarci se le cose non vanno come vorremmo noi. Rendiamo a Dio la nostra vita e la vedremo brillare della sua luce, colmata del suo amore, splendente della sua verità.
Evitiamo, però, di liquidare così banalmente la pagina di Vangelo di questa domenica. Non fermiamoci al "date a Cesare ciò che è di Cesare", la parte veramente importante è ciò che segue immediatamente: "e a Dio ciò che è di Dio".
Nel rispondere a farisei ed erodiano Gesù chiede di chi siano l'immagine e l'iscrizioni presenti sul denaro e quindi invita a restituirlo a colui che vi è rappresentato e poi invita a restituire a Dio ciò che gli appartiene, ciò, quindi che porta la sua immagine e la sua iscrizione. Per capire questa sottigliezza di Gesù ci servono due passi, il primo dal libro della Genesi (1,26) in cui Dio dichiara "facciamo l'uomo a nostra immagine e somiglianza" e il secondo è nel libro del profeta Geremia (31,33) in cui Dio stabilisce la sua alleanza con Israele affermando: "porrò la mia legge dentro di loro, la scriverò sul loro cuore. Allora io sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo."
Sulla moneta ci sono l'immagine e l'iscrizione di Cesare nell'uomo ci sono l'immagine e l'iscrizione di Dio, dunque la prima torni a Cesare ma l'uomo torni a Dio.
Gesù ci invita a rendere a Dio ciò che è di Dio, la nostra umanità, la nostra stessa vita. Ci sta invitando a vivere per Dio, a riconoscerci parte di un grande disegno d'amore, di un grande progetto di salvezza che riguarda ciascuno di noi, ogni uomo!
Rendere a Dio ciò che è suo significa scegliere di vivere una vita abbandonati alla sua volontà il che non significa che dobbiamo diventare tutti preti e suore o comunque tutti bigotti impegnati in pratiche di ascetismo estremo, in digiuni e astinenze, in penitenze corporali e ogni altra cosa la nostra fervida immaginazione ci suggerisca. Significa fidarci di Dio sempre, in ogni situazione, quelle favorevoli e quelle sfavorevoli quelle piacevoli e quelle dolorose, nella consapevolezza che la nostra vita gli appartiene e non permetterà che nulla possa distruggerci o annientarci. Abbandonarsi alla sua volontà ci permetterà di sperimentare che davvero ci è sempre accanto e ci sostiene in ogni situazione, che ci dona conforto quando siamo sfiduciati, ci infonde coraggio quando abbiamo paura, ci consola quando siamo rattristati.
Rendiamo a Dio ciò che è di Dio, consegniamogli la nostra vita, senza però poi riprendercela, senza continuare a fare di testa nostra, ad inseguire i nostri progetti, ad angosciarci se le cose non vanno come vorremmo noi. Rendiamo a Dio la nostra vita e la vedremo brillare della sua luce, colmata del suo amore, splendente della sua verità.
sabato 14 ottobre 2017
Festa vera - Riflessione sul Vangelo di domenica 15 ottobre 2017
Molti anni fa, in una sua celeberrima canzone, Lucio Dalla immaginava un nuovo anno in cui fosse festa ogni giorno. Chi di noi non vorrebbe far festa ogni giorno? La festa è quel momento in cui puoi dimenticarti di tutti i problemi, delle tue preoccupazioni, dei tuoi guai, dei tuoi mali. È il tempo della spensieratezza, della gioia, tempo in cui si mangia e si beve in compagnia: la festa è ciò che più si avvicina alla felicità che tutti cerchiamo.
E se quello che Lucio Dalla cantava come un'utopia potesse invece essere la nostra quotidianità? Senza nemmeno bisogno di trasferirsi a Ibiza o in qualche altra località turistica famosa per la "movida".
Tutta la nostra vita può essere una festa, una grande e gioiosa festa di nozze! Gesù sceglie quella che ai suoi tempi era la festa più importante della vita come immagine per farci capire che Dio
ci chiama a condividere la sua gioia.
Bello!!! Ma sembra ancora più utopico della canzone di Dalla. Non ci crediamo molto, anzi spesso ci sentiamo abbandonati da Dio, ci sembra di affogare nei nostri problemi, nelle nostre fatiche e nei nostri dolori, vorremmo vederli risolti subito, con un colpo di bacchetta magica, vorremmo far festa come fa festa il mondo, evitando i problemi, dimenticando le responsabilità, pensando solo a soddisfare il nostro desiderio di svago. Così l'invito che il Signore ci fa ogni giorno a partecipare al suo banchetto di nozze non lo prendiamo nemmeno in considerazione, ormai non lo riconosciamo nemmeno più. Siamo tanto impegnati, abbiamo tante cose da fare, dobbiamo faticare tanto per poterci conquistare un angoletto di relax e divertimento. Sono finite da poco le ferie e magari stiamo già pensando a quelle prossime. Quando capita qualcosa che scombina, anche solo di poco, i nostri programmi andiamo su tutte le furie, ce la prendiamo con tutto e con tutti, Dio in primis.
Se solo fossimo un po' meno egocentrici, se solo considerassimo la nostra vita da una prospettiva più ampia, se solo iniziassimo a pensare che problemi, difficoltà, fatiche e anche le malattie e le sofferenze non devono necessariamente sparire dalla nostra vita per darci sollievo. C'è un proverbio che dice "non tutti i mali vengono per nuocere", se ogni male, ogni difficoltà e ogni sofferenza della nostra vita la mettiamo nelle mani di Dio, gli permettiamo di guidarci ad affrontarla, di donarci forza, conforto, coraggio allora anche la situazione più difficile diventerà un'occasione di grazia perché "tutto concorre al bene di coloro che amano Dio" (Rm 8,28).
La festa di nozze a cui Dio ci invita non è solo la vita eterna in cui entreremo dopo aver terminato il nostro pellegrinaggio qui su questa terra, non è una promessa lontana, è una gioia vera profonda e autentica che possiamo vivere già da adesso, ogni giorno. Non è una festa come quelle del mondo in cui dimenticarci di ciò che ci opprime, salvo poi ritrovare tutto appena torniamo a casa. È una festa vera, è vivere la nostra vita quotidiana nella gioia del Signore, nella consapevolezza che, qualunque cosa ci accada, siamo figli amati, custoditi nelle mani di Dio e nulla potrà mai strapparci dal suo amore.
Ad ogni festa ci si presenta indossando l'abito adatto, anche alla festa di Dio dobbiamo partecipare con l'abito adatto che è l'abito della fede che abbiamo ricevuto nel Battesimo. È un abito che non è fatto di stoffa ma di fiducia in Dio e nella sua sapienza, è fatto d'amore concreto, vissuto, donato, è fatto di speranza, attesa abbandono alla sua volontà.
Tutto questo non è qualcosa per pochi fortunati, la festa di Dio non ha una lista chiusa, è per ciascuno di noi, è vera e reale, dobbiamo solo accogliere il suo invito, fidarci di lui, partecipare il più possibile al suo banchetto, nutrirci della sua Parola, dei suoi Sacramenti, della sua grazia. Siamo fatti per essere sempre nella gioia, lasciamo la tristezza al demonio, viviamo invece da gioiosi figli di Dio!
E se quello che Lucio Dalla cantava come un'utopia potesse invece essere la nostra quotidianità? Senza nemmeno bisogno di trasferirsi a Ibiza o in qualche altra località turistica famosa per la "movida".
Tutta la nostra vita può essere una festa, una grande e gioiosa festa di nozze! Gesù sceglie quella che ai suoi tempi era la festa più importante della vita come immagine per farci capire che Dio
ci chiama a condividere la sua gioia.
Bello!!! Ma sembra ancora più utopico della canzone di Dalla. Non ci crediamo molto, anzi spesso ci sentiamo abbandonati da Dio, ci sembra di affogare nei nostri problemi, nelle nostre fatiche e nei nostri dolori, vorremmo vederli risolti subito, con un colpo di bacchetta magica, vorremmo far festa come fa festa il mondo, evitando i problemi, dimenticando le responsabilità, pensando solo a soddisfare il nostro desiderio di svago. Così l'invito che il Signore ci fa ogni giorno a partecipare al suo banchetto di nozze non lo prendiamo nemmeno in considerazione, ormai non lo riconosciamo nemmeno più. Siamo tanto impegnati, abbiamo tante cose da fare, dobbiamo faticare tanto per poterci conquistare un angoletto di relax e divertimento. Sono finite da poco le ferie e magari stiamo già pensando a quelle prossime. Quando capita qualcosa che scombina, anche solo di poco, i nostri programmi andiamo su tutte le furie, ce la prendiamo con tutto e con tutti, Dio in primis.
Se solo fossimo un po' meno egocentrici, se solo considerassimo la nostra vita da una prospettiva più ampia, se solo iniziassimo a pensare che problemi, difficoltà, fatiche e anche le malattie e le sofferenze non devono necessariamente sparire dalla nostra vita per darci sollievo. C'è un proverbio che dice "non tutti i mali vengono per nuocere", se ogni male, ogni difficoltà e ogni sofferenza della nostra vita la mettiamo nelle mani di Dio, gli permettiamo di guidarci ad affrontarla, di donarci forza, conforto, coraggio allora anche la situazione più difficile diventerà un'occasione di grazia perché "tutto concorre al bene di coloro che amano Dio" (Rm 8,28).
La festa di nozze a cui Dio ci invita non è solo la vita eterna in cui entreremo dopo aver terminato il nostro pellegrinaggio qui su questa terra, non è una promessa lontana, è una gioia vera profonda e autentica che possiamo vivere già da adesso, ogni giorno. Non è una festa come quelle del mondo in cui dimenticarci di ciò che ci opprime, salvo poi ritrovare tutto appena torniamo a casa. È una festa vera, è vivere la nostra vita quotidiana nella gioia del Signore, nella consapevolezza che, qualunque cosa ci accada, siamo figli amati, custoditi nelle mani di Dio e nulla potrà mai strapparci dal suo amore.
Ad ogni festa ci si presenta indossando l'abito adatto, anche alla festa di Dio dobbiamo partecipare con l'abito adatto che è l'abito della fede che abbiamo ricevuto nel Battesimo. È un abito che non è fatto di stoffa ma di fiducia in Dio e nella sua sapienza, è fatto d'amore concreto, vissuto, donato, è fatto di speranza, attesa abbandono alla sua volontà.
Tutto questo non è qualcosa per pochi fortunati, la festa di Dio non ha una lista chiusa, è per ciascuno di noi, è vera e reale, dobbiamo solo accogliere il suo invito, fidarci di lui, partecipare il più possibile al suo banchetto, nutrirci della sua Parola, dei suoi Sacramenti, della sua grazia. Siamo fatti per essere sempre nella gioia, lasciamo la tristezza al demonio, viviamo invece da gioiosi figli di Dio!
sabato 30 settembre 2017
Sì a Dio, sì alla nostra gioia - Riflessione sul Vangelo di domenica 1° ottobre 2017
Ah, se i muri delle nostre abitazioni potessero parlare! Quante volte racconterebbero delle richieste di mamma e papà di fare una certa cosa seguite da nostri sì rimasti solo parole al vento! Ma anche di quanti no di cui poi ci siamo pentiti e alla fine abbiamo compiuto quanto richiesto.
Gesù conosce bene la nostra vita e sa quali esempi possono toccarci da vicino!Racconta la breve parabola del Vangelo di questa domenica ai sacerdoti e agli anziani del popolo, coloro che più di ogni altro in Israele erano a contatto ogni giorno con la parola di Dio, con il Tempio, coloro che più di ogni altro potevano vantare una reputazione impeccabile. E proprio a loro Gesù dice "pubblicani e prostitute vi passeranno avanti nel Regno dei cieli"! Che smacco! Senza mezzi termini denuncia che verso Dio il loro comportamento è come quello di quei figli che subito rispondono di sì ai genitori ma poi non compiono quanto richiesto. Beninteso non è che sacerdoti e anziani del popolo avessero chissà quali scheletri nell'armadio, non nascondevano sordidi segreti, perversioni o terribili delitti. Semplicemente continuavano per la loro strada, cercavano i loro interessi, si assicuravano la loro stabilità. Gesù ancora una volta li invita alla conversione, a cambiare modo di pensare, di relazionarsi con la vita, li invita a iniziare a pensare secondo Dio. Pubblicani e prostitute, ovvero i peggiori peccatori della società, l'hanno fatto, hanno deciso di ascoltare la predicazione di Giovanni Battista prima e di Gesù poi e hanno compreso che i loro comportamenti li tenevano lontano da Dio, dal suo amore, dalla sua grazia e hanno scelto di cambiare.
Gesù, naturalmente, non si è rivolto solo ai sacerdoti e agli anziani, oggi si rivolge a noi e attraverso questa medesima parabola ci chiede di domandarci che figlio siamo: quello che dice sì e poi non va o quello che dice no e poi va a lavorare secondo la volontà del Padre? Fuori dalla parabola: che effetto ha la Parola di Dio nella nostra vita, la cambia o rimane intatta?
Quando sentiamo parlare di conversione pensiamo subito che riguardi i grandi peccatori, i violenti, i ladri, gli assassini. Siamo convinti che i peccati siano solo i delitti più gravi e le azioni più turpi invece ogni scelta che mi allontana da Dio, dal suo amore e dalla sua verità è peccato, non solo il male ma anche il rifiuto del bene è peccato. Ma cos'è il peccato? È una mancanza di amore pieno, concreto, vero. Ogni volta che non vivo un amore vero, pieno e autentico io mi sto allontanando da Dio perché sto cercando la mia soddisfazione in altro o mi sto accontentando di vivere a metà e sto rifiutando la possibilità di vivere una vita piena. Peccato non è una fonte di sensi di colpa, peccato è ciò che mi fa male perché rovina la relazione di fiducia tra me e Dio e tra me e i fratelli.
Quando Gesù avverte che pubblicani e prostitute ci passeranno avanti nel Regno dei cieli, non ci sta invitando ad imitarli, semplicemente registra come chi è più lontano da Dio vede più chiaramente le conseguenze dolorose e terribili del peccato nella propria vita e sa meglio cogliere le occasioni di misericordia che Dio dona. Il Signore è sempre disposto a venire a riprenderci, anche quando abbiamo toccato il fondo ma se si potesse evitare, se ci fidassimo ora e subito di lui, se ci lasciassimo oggi toccare dalla sua parola, se ci lasciassimo trasformare il cuore ne guadagneremmo sicuramente in gioia e serenità.
Gesù conosce bene la nostra vita e sa quali esempi possono toccarci da vicino!Racconta la breve parabola del Vangelo di questa domenica ai sacerdoti e agli anziani del popolo, coloro che più di ogni altro in Israele erano a contatto ogni giorno con la parola di Dio, con il Tempio, coloro che più di ogni altro potevano vantare una reputazione impeccabile. E proprio a loro Gesù dice "pubblicani e prostitute vi passeranno avanti nel Regno dei cieli"! Che smacco! Senza mezzi termini denuncia che verso Dio il loro comportamento è come quello di quei figli che subito rispondono di sì ai genitori ma poi non compiono quanto richiesto. Beninteso non è che sacerdoti e anziani del popolo avessero chissà quali scheletri nell'armadio, non nascondevano sordidi segreti, perversioni o terribili delitti. Semplicemente continuavano per la loro strada, cercavano i loro interessi, si assicuravano la loro stabilità. Gesù ancora una volta li invita alla conversione, a cambiare modo di pensare, di relazionarsi con la vita, li invita a iniziare a pensare secondo Dio. Pubblicani e prostitute, ovvero i peggiori peccatori della società, l'hanno fatto, hanno deciso di ascoltare la predicazione di Giovanni Battista prima e di Gesù poi e hanno compreso che i loro comportamenti li tenevano lontano da Dio, dal suo amore, dalla sua grazia e hanno scelto di cambiare.
Gesù, naturalmente, non si è rivolto solo ai sacerdoti e agli anziani, oggi si rivolge a noi e attraverso questa medesima parabola ci chiede di domandarci che figlio siamo: quello che dice sì e poi non va o quello che dice no e poi va a lavorare secondo la volontà del Padre? Fuori dalla parabola: che effetto ha la Parola di Dio nella nostra vita, la cambia o rimane intatta?
Quando sentiamo parlare di conversione pensiamo subito che riguardi i grandi peccatori, i violenti, i ladri, gli assassini. Siamo convinti che i peccati siano solo i delitti più gravi e le azioni più turpi invece ogni scelta che mi allontana da Dio, dal suo amore e dalla sua verità è peccato, non solo il male ma anche il rifiuto del bene è peccato. Ma cos'è il peccato? È una mancanza di amore pieno, concreto, vero. Ogni volta che non vivo un amore vero, pieno e autentico io mi sto allontanando da Dio perché sto cercando la mia soddisfazione in altro o mi sto accontentando di vivere a metà e sto rifiutando la possibilità di vivere una vita piena. Peccato non è una fonte di sensi di colpa, peccato è ciò che mi fa male perché rovina la relazione di fiducia tra me e Dio e tra me e i fratelli.
Quando Gesù avverte che pubblicani e prostitute ci passeranno avanti nel Regno dei cieli, non ci sta invitando ad imitarli, semplicemente registra come chi è più lontano da Dio vede più chiaramente le conseguenze dolorose e terribili del peccato nella propria vita e sa meglio cogliere le occasioni di misericordia che Dio dona. Il Signore è sempre disposto a venire a riprenderci, anche quando abbiamo toccato il fondo ma se si potesse evitare, se ci fidassimo ora e subito di lui, se ci lasciassimo oggi toccare dalla sua parola, se ci lasciassimo trasformare il cuore ne guadagneremmo sicuramente in gioia e serenità.
venerdì 22 settembre 2017
Il valore vero - Riflessione sul Vangelo di domenica 24 settembre 2017
Penso capiti a ciascuno di noi ben più di una volta al giorno di trovarsi in disaccordo con qualcuno, di faticare per far capire il nostro punto di vista, la prospettiva con cui valutiamo una determinata situazione. Caratteristica fondamentale dell'uomo è la ragione che ci permette di guardare la realtà e di interpretarla, di analizzarla e di giudicarla. Il modo con cui guardiamo alle cose della vita, il pensiero che seguiamo determina le nostre scelte e l'andamento di tutta la nostra vita molto più di quanto non ci rendiamo conto.
Molte volte la Scrittura ci ricorda che il modo di pensare di Dio è molto diverso dal nostro, che guardiamo alla realtà in due modi molto diversi.
La pagina di Vangelo di questa domenica ci presenta Gesù che racconta la nota parabola dei lavoratori a giornata. Un padrone esce alle sei del mattino e assume dei lavoratori per la sua vigna per quella giornata accordandosi con loro per la paga di un denaro, il normale salario giornaliero di un lavoratore dell'epoca. Esce poi di nuovo alle nove, a mezzogiorno, alle tre e alle cinque del pomeriggio e continua a mandare operai nella sua vigna. Alle sei il lavoro si conclude e tutti gli operai ricevono il loro salario, iniziano prima quelli arrivati per ultimi i quali ricevono un denaro e così via. Quando anche i primi ricevono un denaro si lamentano col padrone perché dovrebbero ricevere di più, avendo lavorato dodici ore e non una soltanto. Il padrone è irremovibile: con loro ha concordato un denaro e quello è quanto riceveranno, quanto dà agli altri è solo affar suo.
Non c'è bisogno di essere sindacalisti per schierarsi dalla parte degli operai: chi più ha lavorato deve ricevere di più! Ma questa è la mentalità del mondo, una mentalità economica, che mette al centro il profitto, il bene economico, che valuta una persona in base a quanto ha prodotto, a quanto valore ha aggiunto all'impresa.
Il pensiero di Dio è tutt'altra cosa. Per Dio al centro non c'è il profitto ma la persona, non il guadagno ma la vita. Il padrone della parabola dà a tutti la stessa paga perché è ciò che è necessario per vivere, se avesse pagato gli ultimi in base a quanto prodotto non avrebbero avuto di che sfamarsi, non avrebbero potuto portare a casa il pane alla famiglia, si sarebbero trovati a mendicare.
Che guaio sarebbe per noi se Dio ragionasse secondo il mondo! Chi di noi potrebbe pretendere di avere qualcosa visto che nemmeno la vita che viviamo è nostra!
Dio non ragiona come noi ma forse noi potremmo iniziare a ragionare come lui, potremmo iniziare a mettere al primo posto non il profitto ma la persona, non l'interesse ma la vita di chi ci sta accanto.
Il mondo continua a mettere al centro il profitto senza rendersi conto quante conseguenze gravi e pericolose questo comporti. Se ciò che è importante è il guadagno, chi non è in grado di produrre perché malato, handicappato, anziano è solo un peso, un fardello inutile. Infatti in molti paesi dove la logica del profitto la fa da padrona si sta facendo di tutto per liberalizzare l'eutanasia e il cosiddetto "aborto terapeutico" (che di terapeutico non ha proprio nulla). La logica del profitto porta a rifiutare chi non produce, chi chiede aiuto, chi è in difficoltà, e di tutto questo ne abbiamo piena la cronaca degli ultimi mesi.
Se invece imparassimo a pensare secondo Dio, a cercare non il profitto ma il bene delle persone, se dessimo a tutti la possibilità di lavorare secondo le proprie possibilità (perché la logica di Dio non approva i fannulloni, ciascuno deve contribuire per quanto può) e poi dessimo a tutti ciò che è necessario per vivere, se imparassimo a condividere i beni e non a concentrarli nelle mani di pochi, tutta la società ne trarrebbe grande giovamento.
Prima che qualcuno mi tacci di ideologie sinistroidi faccio presente che questo non è comunismo, il quale non ha nulla a che fare col Vangelo, questa è comunità. Noi ragioniamo come imprenditori, Dio ragiona come Padre che si prende cura di ciascuno dei suoi figli e fa in modo che nessuno di loro muoia di fame.
Chiediamo al Signore di aiutarci a convertire i nostri pensieri, a mettere al centro del nostro modo di pensare l'incommensurabile valore della persona umana per proporre modi nuovi di guardare alle cose, di vivere insieme, per iniziare ad essere più famiglia, a comportarci da figli di Dio.
Molte volte la Scrittura ci ricorda che il modo di pensare di Dio è molto diverso dal nostro, che guardiamo alla realtà in due modi molto diversi.
La pagina di Vangelo di questa domenica ci presenta Gesù che racconta la nota parabola dei lavoratori a giornata. Un padrone esce alle sei del mattino e assume dei lavoratori per la sua vigna per quella giornata accordandosi con loro per la paga di un denaro, il normale salario giornaliero di un lavoratore dell'epoca. Esce poi di nuovo alle nove, a mezzogiorno, alle tre e alle cinque del pomeriggio e continua a mandare operai nella sua vigna. Alle sei il lavoro si conclude e tutti gli operai ricevono il loro salario, iniziano prima quelli arrivati per ultimi i quali ricevono un denaro e così via. Quando anche i primi ricevono un denaro si lamentano col padrone perché dovrebbero ricevere di più, avendo lavorato dodici ore e non una soltanto. Il padrone è irremovibile: con loro ha concordato un denaro e quello è quanto riceveranno, quanto dà agli altri è solo affar suo.
Non c'è bisogno di essere sindacalisti per schierarsi dalla parte degli operai: chi più ha lavorato deve ricevere di più! Ma questa è la mentalità del mondo, una mentalità economica, che mette al centro il profitto, il bene economico, che valuta una persona in base a quanto ha prodotto, a quanto valore ha aggiunto all'impresa.
Il pensiero di Dio è tutt'altra cosa. Per Dio al centro non c'è il profitto ma la persona, non il guadagno ma la vita. Il padrone della parabola dà a tutti la stessa paga perché è ciò che è necessario per vivere, se avesse pagato gli ultimi in base a quanto prodotto non avrebbero avuto di che sfamarsi, non avrebbero potuto portare a casa il pane alla famiglia, si sarebbero trovati a mendicare.
Che guaio sarebbe per noi se Dio ragionasse secondo il mondo! Chi di noi potrebbe pretendere di avere qualcosa visto che nemmeno la vita che viviamo è nostra!
Dio non ragiona come noi ma forse noi potremmo iniziare a ragionare come lui, potremmo iniziare a mettere al primo posto non il profitto ma la persona, non l'interesse ma la vita di chi ci sta accanto.
Il mondo continua a mettere al centro il profitto senza rendersi conto quante conseguenze gravi e pericolose questo comporti. Se ciò che è importante è il guadagno, chi non è in grado di produrre perché malato, handicappato, anziano è solo un peso, un fardello inutile. Infatti in molti paesi dove la logica del profitto la fa da padrona si sta facendo di tutto per liberalizzare l'eutanasia e il cosiddetto "aborto terapeutico" (che di terapeutico non ha proprio nulla). La logica del profitto porta a rifiutare chi non produce, chi chiede aiuto, chi è in difficoltà, e di tutto questo ne abbiamo piena la cronaca degli ultimi mesi.
Se invece imparassimo a pensare secondo Dio, a cercare non il profitto ma il bene delle persone, se dessimo a tutti la possibilità di lavorare secondo le proprie possibilità (perché la logica di Dio non approva i fannulloni, ciascuno deve contribuire per quanto può) e poi dessimo a tutti ciò che è necessario per vivere, se imparassimo a condividere i beni e non a concentrarli nelle mani di pochi, tutta la società ne trarrebbe grande giovamento.
Prima che qualcuno mi tacci di ideologie sinistroidi faccio presente che questo non è comunismo, il quale non ha nulla a che fare col Vangelo, questa è comunità. Noi ragioniamo come imprenditori, Dio ragiona come Padre che si prende cura di ciascuno dei suoi figli e fa in modo che nessuno di loro muoia di fame.
Chiediamo al Signore di aiutarci a convertire i nostri pensieri, a mettere al centro del nostro modo di pensare l'incommensurabile valore della persona umana per proporre modi nuovi di guardare alle cose, di vivere insieme, per iniziare ad essere più famiglia, a comportarci da figli di Dio.
venerdì 8 settembre 2017
Veri fratelli - Riflessione sul Vangelo di domenica 10 settembre 2017
La società in cui viviamo è stata definita con tante espressioni diverse che vogliono metterne in luce le caratteristiche fondamentali. Una di queste è sicuramente l'individualismo. Forse come conseguenza di lunghi periodi di autoritarismo nei quali c'era sempre qualcuno che comandava sugli altri, negli ultimi decenni si è fatto sempre più strada un forte bisogno di autonomia personale, di libertà di opinione, espressione, scelta. Tutte aspirazioni giuste in sé ma che se portate all'eccesso diventano pericolose. I social media sono uno specchio molto fedele di questa rivoluzione culturale: tutti si sentono in diritto di criticare, di esprimere il loro parere, di giudicare le parole e i gesti altrui convinti di essere i detentori della verità tutta intera. Siamo tutti molto bravi a riconoscere e a stigmatizzare i difetti, le debolezze, gli errori altrui, non però per aiutarli a correggersi e a cambiare ma per poter immaginare, almeno per un momento di essere migliori di loro.
Gesù ci propone uno stile ben diverso, ci chiede di amare il fratello che abbiamo accanto e prendercene cura, soprattutto quando questi commette una colpa contro di noi. Ci invita a correggerlo e a tentarle tutte per portarlo a rendersi conto del male commesso. Attenzione, però, non per vendetta e nemmeno con il fare arrogante e presuntuoso di che pensa di sapere tutto! Gesù ci invita alla carità fraterna a correggerci, a prenderci cura gli uni degli altri, a custodirci a vicenda.
Ciò che il Signore vuole condurci a creare è una comunione fraterna autentica, vera, fondata sull'amore, sulla carità, sul dono di se stessi. Sembra faticoso e lo è! Decisamente è più facile occuparci ognuno della propria vita lasciando che gli altri facciano lo stesso, la vita comunitaria è un impegno continuo di accoglienza, pazienza, comprensione.
Dobbiamo chiederci però cosa guadagniamo e cosa rischiamo di perdere?
Occuparci solo di noi stessi ci permetterà di avere sicuramente molto tempo libero che andrà sempre aumentando e poco a poco si rivelerà per ciò che è veramente: tempo di solitudine. L'autonomia esasperata che pretendiamo di avere oggi, la libertà di pensare e credere quello che mi pare ha un prezzo molto alto: la solitudine, appunto.
In gioco, allora, c'è la serenità della nostra vita, la nostra gioia!
Cos'è che ci può salvare da questa deriva individualista? L'amore vero! L'amore autentico, infatti, ci porta ad essere umili per saper riconoscere di non essere i detentori della verità tutta intera e nello stesso tempo ci fa desiderare comprendere sempre meglio la verità profonda di ciò che facciamo, delle nostre scelte, le loro conseguenze. L'amore ci fa accogliere i consigli e gli insegnamenti con attenzione per poter verificare poi la nostra vita. L'amore ci spinge a dimenticare il torto ricevuto e a prenderci cura del fratello che si è comportato male, non per vendicarci ma per aiutarlo a capire che facendo del male a noi ne ha fatto a se stesso. Comunione è volersi bene concretamente, accogliere il fratello così com'è, con i suoi difetti e i suoi pregi, con le sue capacità e le sue debolezze. Accogliere, non tollerare! Si fa tanto parlare oggi di tolleranza ma non ha nulla a che fare col Vangelo! Tolleriamo quello che vorremmo allontanare ma non possiamo, chi vorremmo eliminare ma non ci è possibile. Il Signore ci invita ad amarci gli uni gli altri, ad avere sollecitudine l'uno per l'altro, ad accoglierci così come siamo, d'altro canto è Lui il primo ad accoglierci così come siamo!
Con qualcuno sarà più semplice, con qualcun altro un po' più difficile, iniziamo allora dalla preghiera. Impariamo a pregare insieme, a chiedere al Signore di insegnarci a voler bene ai fratelli coi quali ogni domenica condivido la Messa, quelli della mia parrocchia, della mia comunità. Gesù ci ha promesso che se ci riuniamo nel suo nome, e dunque nel suo amore, egli è con noi. Lasciamo che ci ispiri un desiderio autentico di amare i nostri fratelli e di prendercene cura: è in questo tutta la nostra gioia.
Gesù ci propone uno stile ben diverso, ci chiede di amare il fratello che abbiamo accanto e prendercene cura, soprattutto quando questi commette una colpa contro di noi. Ci invita a correggerlo e a tentarle tutte per portarlo a rendersi conto del male commesso. Attenzione, però, non per vendetta e nemmeno con il fare arrogante e presuntuoso di che pensa di sapere tutto! Gesù ci invita alla carità fraterna a correggerci, a prenderci cura gli uni degli altri, a custodirci a vicenda.
Ciò che il Signore vuole condurci a creare è una comunione fraterna autentica, vera, fondata sull'amore, sulla carità, sul dono di se stessi. Sembra faticoso e lo è! Decisamente è più facile occuparci ognuno della propria vita lasciando che gli altri facciano lo stesso, la vita comunitaria è un impegno continuo di accoglienza, pazienza, comprensione.
Dobbiamo chiederci però cosa guadagniamo e cosa rischiamo di perdere?
Occuparci solo di noi stessi ci permetterà di avere sicuramente molto tempo libero che andrà sempre aumentando e poco a poco si rivelerà per ciò che è veramente: tempo di solitudine. L'autonomia esasperata che pretendiamo di avere oggi, la libertà di pensare e credere quello che mi pare ha un prezzo molto alto: la solitudine, appunto.
In gioco, allora, c'è la serenità della nostra vita, la nostra gioia!
Cos'è che ci può salvare da questa deriva individualista? L'amore vero! L'amore autentico, infatti, ci porta ad essere umili per saper riconoscere di non essere i detentori della verità tutta intera e nello stesso tempo ci fa desiderare comprendere sempre meglio la verità profonda di ciò che facciamo, delle nostre scelte, le loro conseguenze. L'amore ci fa accogliere i consigli e gli insegnamenti con attenzione per poter verificare poi la nostra vita. L'amore ci spinge a dimenticare il torto ricevuto e a prenderci cura del fratello che si è comportato male, non per vendicarci ma per aiutarlo a capire che facendo del male a noi ne ha fatto a se stesso. Comunione è volersi bene concretamente, accogliere il fratello così com'è, con i suoi difetti e i suoi pregi, con le sue capacità e le sue debolezze. Accogliere, non tollerare! Si fa tanto parlare oggi di tolleranza ma non ha nulla a che fare col Vangelo! Tolleriamo quello che vorremmo allontanare ma non possiamo, chi vorremmo eliminare ma non ci è possibile. Il Signore ci invita ad amarci gli uni gli altri, ad avere sollecitudine l'uno per l'altro, ad accoglierci così come siamo, d'altro canto è Lui il primo ad accoglierci così come siamo!
Con qualcuno sarà più semplice, con qualcun altro un po' più difficile, iniziamo allora dalla preghiera. Impariamo a pregare insieme, a chiedere al Signore di insegnarci a voler bene ai fratelli coi quali ogni domenica condivido la Messa, quelli della mia parrocchia, della mia comunità. Gesù ci ha promesso che se ci riuniamo nel suo nome, e dunque nel suo amore, egli è con noi. Lasciamo che ci ispiri un desiderio autentico di amare i nostri fratelli e di prendercene cura: è in questo tutta la nostra gioia.
sabato 2 settembre 2017
Relatività spirituale - Riflessione sul Vangelo di domenica 3 settembre 2017
"Tutto è relativo" diceva Einstein, parlava di spazio e tempo, materia e energia, ma in fondo è un principio che possiamo tranquillamente applicare anche alla nostra vita. Tutto dipende dal punto di vista da cui la consideriamo.
Gesù annuncia ai suoi discepoli che a Gerusalemme dovrà molto soffrire a causa degli Anziani e dei Sacerdoti, essere condannato, ucciso e risorgere il terzo giorno. Pietro si oppone a questa profezia e viene severamente rimproverato di pensare secondo gli uomini e non secondo Dio. Poi, tanto per essere chiaro, specifica che chi vuole essere suo discepolo e salvare la propria vita deve fare la stessa cosa, deve prendere la sua croce e seguirlo, altrimenti si troverà a perdere la propria vita.
Eccola qui quella che potremmo chiamare Relatività Spirituale: la vita può essere vissuta pensando secondo gli uomini oppure secondo Dio e il risultato è molto diverso.
Gesù guarda alla sua Passione nell'ottica di Dio, come il più grande atto d'amore, come la definitiva testimonianza della misericordia di Dio contro la malvagità umana. Pietro, e gli altri Apostoli con lui, vedono nella Passione la sconfitta del loro leader, la fine della loro avventura, lo sfumare di ogni speranza di liberazione dall'occupazione romana. Gesù guarda alla croce come un'occasione di amare fino in fondo, Pietro come uno strumento di sofferenza e morte.
Quando sentiamo parlare di croce abbiamo subito un istinto di rigetto, di fuga, questo perché stiamo continuando a ragionare secondo gli uomini, pensiamo che la croce sia solo un'inutile sofferenza, qualcosa da evitare.
Proviamo ora a considerarla dal punto di vista di Dio. Per farlo dobbiamo subito ricordare un fatto fondamentale, che diamo così per scontato che quasi ci dimentichiamo: Dio vuole la nostra salvezza e la nostra gioia, la vuole così tanto da essersi fatto crocifiggere per noi. Ogni volta che dovesse venirci il dubbio se il Signore ci ama davvero oppure no, guardiamo il Crocifisso, la risposta è lì!
Dio, dunque, vuole la nostra salvezza e la nostra gioia le quali sono frutto solo dell'amore donato. Lo capiamo bene con la gioia: i momenti più gioiosi della nostra vita sono quelli in cui abbiamo donato noi stessi. L'esempio migliore è sicuramente la nascita: non c'è gioia più grande di quella di una mamma che ha messo al mondo il proprio figlio e lo ha fatto in mezzo a grandissime sofferenze!
Ecco la croce di cui parla Gesù è questa: accettare di vivere una sofferenza per donare vita, per donare noi stessi per il bene di qualcun altro, in questo è tutta la nostra gioia e la nostra salvezza.
Prendere ogni giorno la croce e seguire il Signore non significa quindi andare a cercarsi nuovi modi di soffrire, Gesù non ci istiga al masochismo! Significa invece accettare tutte quelle piccole e grandi sofferenze che fanno parte della nostra quotidianità: i litigi con il marito o la moglie, le ribellioni dei figli, le esasperazioni dei genitori, le antipatie tra colleghi, le incomprensioni tra vicini, anche solo il fatto che un membro della mia famiglia tiri fuori il latte dal frigo e poi non ce lo rimetta. Tutto quello che ci fa fastidio, che ci disturba o che ci fa soffrire lo possiamo accogliere come occasione per amare di più il fratello molesto che abbiamo davanti. Se iniziamo con le piccole croci quotidiane impareremo a vivere anche le grandi sofferenze della vita come un'occasione di comunione con il Signore Gesù, con la sua croce.
Sembra un comportamento eroico ma non lo è, si tratta semplicemente della nostra umanità vissuta a pieno: non siamo fatti per pensare ai fatti nostri ma per donarci anche rinunciando a noi stessi. Siamo fatti a immagine e somiglianza di Dio e questo è quanto Dio fa con noi ogni giorno, si dona a noi.
Impariamo, quindi, a ragionare secondo Dio e non secondo gli uomini e tutto cambierà prospettiva.
Gesù annuncia ai suoi discepoli che a Gerusalemme dovrà molto soffrire a causa degli Anziani e dei Sacerdoti, essere condannato, ucciso e risorgere il terzo giorno. Pietro si oppone a questa profezia e viene severamente rimproverato di pensare secondo gli uomini e non secondo Dio. Poi, tanto per essere chiaro, specifica che chi vuole essere suo discepolo e salvare la propria vita deve fare la stessa cosa, deve prendere la sua croce e seguirlo, altrimenti si troverà a perdere la propria vita.
Eccola qui quella che potremmo chiamare Relatività Spirituale: la vita può essere vissuta pensando secondo gli uomini oppure secondo Dio e il risultato è molto diverso.
Gesù guarda alla sua Passione nell'ottica di Dio, come il più grande atto d'amore, come la definitiva testimonianza della misericordia di Dio contro la malvagità umana. Pietro, e gli altri Apostoli con lui, vedono nella Passione la sconfitta del loro leader, la fine della loro avventura, lo sfumare di ogni speranza di liberazione dall'occupazione romana. Gesù guarda alla croce come un'occasione di amare fino in fondo, Pietro come uno strumento di sofferenza e morte.
Quando sentiamo parlare di croce abbiamo subito un istinto di rigetto, di fuga, questo perché stiamo continuando a ragionare secondo gli uomini, pensiamo che la croce sia solo un'inutile sofferenza, qualcosa da evitare.
Proviamo ora a considerarla dal punto di vista di Dio. Per farlo dobbiamo subito ricordare un fatto fondamentale, che diamo così per scontato che quasi ci dimentichiamo: Dio vuole la nostra salvezza e la nostra gioia, la vuole così tanto da essersi fatto crocifiggere per noi. Ogni volta che dovesse venirci il dubbio se il Signore ci ama davvero oppure no, guardiamo il Crocifisso, la risposta è lì!
Dio, dunque, vuole la nostra salvezza e la nostra gioia le quali sono frutto solo dell'amore donato. Lo capiamo bene con la gioia: i momenti più gioiosi della nostra vita sono quelli in cui abbiamo donato noi stessi. L'esempio migliore è sicuramente la nascita: non c'è gioia più grande di quella di una mamma che ha messo al mondo il proprio figlio e lo ha fatto in mezzo a grandissime sofferenze!
Ecco la croce di cui parla Gesù è questa: accettare di vivere una sofferenza per donare vita, per donare noi stessi per il bene di qualcun altro, in questo è tutta la nostra gioia e la nostra salvezza.
Prendere ogni giorno la croce e seguire il Signore non significa quindi andare a cercarsi nuovi modi di soffrire, Gesù non ci istiga al masochismo! Significa invece accettare tutte quelle piccole e grandi sofferenze che fanno parte della nostra quotidianità: i litigi con il marito o la moglie, le ribellioni dei figli, le esasperazioni dei genitori, le antipatie tra colleghi, le incomprensioni tra vicini, anche solo il fatto che un membro della mia famiglia tiri fuori il latte dal frigo e poi non ce lo rimetta. Tutto quello che ci fa fastidio, che ci disturba o che ci fa soffrire lo possiamo accogliere come occasione per amare di più il fratello molesto che abbiamo davanti. Se iniziamo con le piccole croci quotidiane impareremo a vivere anche le grandi sofferenze della vita come un'occasione di comunione con il Signore Gesù, con la sua croce.
Sembra un comportamento eroico ma non lo è, si tratta semplicemente della nostra umanità vissuta a pieno: non siamo fatti per pensare ai fatti nostri ma per donarci anche rinunciando a noi stessi. Siamo fatti a immagine e somiglianza di Dio e questo è quanto Dio fa con noi ogni giorno, si dona a noi.
Impariamo, quindi, a ragionare secondo Dio e non secondo gli uomini e tutto cambierà prospettiva.
sabato 15 luglio 2017
Piccolo seme - Riflessione sul Vangelo di domenica 16 luglio 2017
La società in cui viviamo ci assorda ogni giorno con tanti rumori, tanti suoni, musiche, voci. Abbiamo perso l'abitudine al silenzio, ne abbiamo quasi paura. Il silenzio, infatti, è il miglior alleato nel discernimento, nel saper scegliere, cioè, ciò che è buono e valido da ciò che è superfluo, ingannevole, falso.
Quanto è importante saper discernere, saper riconoscere ciò che è importante, buono, vero, ciò che ci fa bene perché ci indica la via giusta, ciò che ci rivela a noi stessi, che dà senso alla nostra vita!
Abbiamo un tesoro davanti a cui passiamo ogni giorno ma che raramente apriamo: la Parola di Dio!
Gesù dice ai suoi discepoli "molti profeti e molti giusti hanno desiderato [...] ascoltare ciò che voi ascoltate, ma non lo ascoltarono" e questo vale anche per noi. Quale immensa grazia abbiamo! Ogni giorno Dio vuole parlare con noi, vuole donarci la sua parola di salvezza, quella parola che trasforma la nostra vita da terra arida e sterile a campo rigoglioso, quella parola che ci svela il senso della nostra esistenza. Quanto spesso nemmeno la ascoltiamo! E anche quando la ascoltiamo spesso lo facciamo in maniera distratta, superficiale, ci lasciamo soffocare dalle preoccupazioni e dimentichiamo preso quanto il Signore ci ha detto.
Non c'è bisogno di molto tempo, non dobbiamo faticare gran ché, basta iniziare col dedicare un quarto d'ora alla mattina, appena alzati, all'ascolto del Vangelo del giorno. Cos'è un quarto d'ora nell'arco della nostra giornata, considerando che spesso sprechiamo un sacco di tempo in occupazioni inutili. Quel quarto d'ora cambia la nostra giornata e, se gli restiamo fedeli, col tempo cambia tutta la nostra vita. Ci sembra così poco che non riusciamo a credere che cambi davvero la nostra vita... ma avete mai avuto in mano un seme? Potreste credere che da una cosa così piccola possa uscire una pianta grande e carica di frutti? Così è la Parola di Dio, sembra piccola e insignificante, sembra quasi una perdita di tempo ma è ciò che rende la nostra vita fruttuosa, che le dà senso e ci dona pienezza.
Non ci credete? Provate, perseverate e vedrete che, dopo le difficoltà iniziali, non potrete più farne a meno perché il Signore avrà cambiato la vostra vita in un modo che nemmeno potete immaginare.
Quanto è importante saper discernere, saper riconoscere ciò che è importante, buono, vero, ciò che ci fa bene perché ci indica la via giusta, ciò che ci rivela a noi stessi, che dà senso alla nostra vita!
Abbiamo un tesoro davanti a cui passiamo ogni giorno ma che raramente apriamo: la Parola di Dio!
Gesù dice ai suoi discepoli "molti profeti e molti giusti hanno desiderato [...] ascoltare ciò che voi ascoltate, ma non lo ascoltarono" e questo vale anche per noi. Quale immensa grazia abbiamo! Ogni giorno Dio vuole parlare con noi, vuole donarci la sua parola di salvezza, quella parola che trasforma la nostra vita da terra arida e sterile a campo rigoglioso, quella parola che ci svela il senso della nostra esistenza. Quanto spesso nemmeno la ascoltiamo! E anche quando la ascoltiamo spesso lo facciamo in maniera distratta, superficiale, ci lasciamo soffocare dalle preoccupazioni e dimentichiamo preso quanto il Signore ci ha detto.
Non c'è bisogno di molto tempo, non dobbiamo faticare gran ché, basta iniziare col dedicare un quarto d'ora alla mattina, appena alzati, all'ascolto del Vangelo del giorno. Cos'è un quarto d'ora nell'arco della nostra giornata, considerando che spesso sprechiamo un sacco di tempo in occupazioni inutili. Quel quarto d'ora cambia la nostra giornata e, se gli restiamo fedeli, col tempo cambia tutta la nostra vita. Ci sembra così poco che non riusciamo a credere che cambi davvero la nostra vita... ma avete mai avuto in mano un seme? Potreste credere che da una cosa così piccola possa uscire una pianta grande e carica di frutti? Così è la Parola di Dio, sembra piccola e insignificante, sembra quasi una perdita di tempo ma è ciò che rende la nostra vita fruttuosa, che le dà senso e ci dona pienezza.
Non ci credete? Provate, perseverate e vedrete che, dopo le difficoltà iniziali, non potrete più farne a meno perché il Signore avrà cambiato la vostra vita in un modo che nemmeno potete immaginare.
venerdì 7 luglio 2017
Riposo vero - Riflessione sul Vangelo di domenica 9 luglio 2017
Estate: tempo di vacanze, di relax, di riposo. Le abbiamo attese un anno intero e finalmente le tanto agognate vacanze sono arrivate. Viviamo spesso una vita stressante, impegnativa, frenetica, arriviamo a sera sfiniti, ci sentiamo schiacciati dai tanti problemi e difficoltà che ci troviamo ad affrontare ogni giorno.
A ben guardare, però, dobbiamo ammettere che la maggior parte dello stress che ci attanaglia è dovuto alla nostra pretesa di controllare tutto, di voler prevedere gli sviluppi di ciò che stiamo facendo, di voler determinare come debbano andare le cose nel futuro immediato e in quello remoto. Le vacanze, infatti, le concepiamo sempre come un tempo in cui staccare da tutto, in cui fingere che la nostra vita ordinaria non esista, ci illudiamo di poter chiudere i nostri problemi in un cassetto affinché, almeno per qualche giorno, non ci diano disturbo. Poi però torniamo ai nostri impegni e tutto riprende come sempre.
E se trovassimo un modo per risolvere veramente i nostri problemi? E se ci fosse un modo per vivere davvero più sereni senza dover necessariamente vendere tutto per andare a fare il contadino nelle risaie dell'Indonesia?
Gesù ci propone di lasciarci ristorare da lui, vuole farsi lui carico dei nostri problemi. Sembra strano che qualcuno voglia sobbarcarsi le nostre difficoltà eppure è proprio così, basta solo che scegliamo di lasciare a lui la guida della nostra vita. E qui viene il difficile... perché siamo anche disposti a lasciarci risolvere i problemi da qualcun altro la direzione della nostra vita, però, vogliamo continuare a darla noi. Dobbiamo imparare a fidarci del Signore, ad affidare a lui tutta la nostra vita. Ma come?
Ce lo insegna lui stesso! Gesù in tutta la sua vita terrena ha scelto di fidarsi del Padre sempre e comunque, è rimasto umile e semplice. Non ha voluto prevedere, programmare, stabilire tutto in anticipo, si è lasciato condurre docilmente a compiere il disegno di salvezza del Padre.
Se impariamo a mettere da parte le nostre convinzioni, la nostra pretesa di sapere tutto, di voler pianificare ogni cosa, se ci facciamo piccoli, lo Spirito rivelerà ai nostri cuori che non c'è nulla da temere nell'affidarsi a Dio, nel decidere di compiere la sua volontà perché ci farà scoprire l'infinito amore del Padre per ciascuno di noi. Delle persone che ci amano siamo sempre disposti a fidarci, se impariamo a capire che Dio veramente ci ama e ha a cuore la nostra felicità saremo anche disposti a lasciarci guidare da lui.
Sembra una banalità, in realtà cambierà tutta la nostra vita, non avremo più stress e preoccupazioni perché sapremo che in ogni difficoltà non siamo mai soli, che il Signore non permette che nulla possa schiacciarci e anche ciò che sembra andar male egli saprà volgerlo a nostra salvezza.
Impariamo da Gesù, scegliamo l'umiltà e la mitezza, lasciamoci istruire dallo Spirito e fidiamoci del Padre e tutta la nostra vita sarà nel riposo vero.
A ben guardare, però, dobbiamo ammettere che la maggior parte dello stress che ci attanaglia è dovuto alla nostra pretesa di controllare tutto, di voler prevedere gli sviluppi di ciò che stiamo facendo, di voler determinare come debbano andare le cose nel futuro immediato e in quello remoto. Le vacanze, infatti, le concepiamo sempre come un tempo in cui staccare da tutto, in cui fingere che la nostra vita ordinaria non esista, ci illudiamo di poter chiudere i nostri problemi in un cassetto affinché, almeno per qualche giorno, non ci diano disturbo. Poi però torniamo ai nostri impegni e tutto riprende come sempre.
E se trovassimo un modo per risolvere veramente i nostri problemi? E se ci fosse un modo per vivere davvero più sereni senza dover necessariamente vendere tutto per andare a fare il contadino nelle risaie dell'Indonesia?
Gesù ci propone di lasciarci ristorare da lui, vuole farsi lui carico dei nostri problemi. Sembra strano che qualcuno voglia sobbarcarsi le nostre difficoltà eppure è proprio così, basta solo che scegliamo di lasciare a lui la guida della nostra vita. E qui viene il difficile... perché siamo anche disposti a lasciarci risolvere i problemi da qualcun altro la direzione della nostra vita, però, vogliamo continuare a darla noi. Dobbiamo imparare a fidarci del Signore, ad affidare a lui tutta la nostra vita. Ma come?
Ce lo insegna lui stesso! Gesù in tutta la sua vita terrena ha scelto di fidarsi del Padre sempre e comunque, è rimasto umile e semplice. Non ha voluto prevedere, programmare, stabilire tutto in anticipo, si è lasciato condurre docilmente a compiere il disegno di salvezza del Padre.
Se impariamo a mettere da parte le nostre convinzioni, la nostra pretesa di sapere tutto, di voler pianificare ogni cosa, se ci facciamo piccoli, lo Spirito rivelerà ai nostri cuori che non c'è nulla da temere nell'affidarsi a Dio, nel decidere di compiere la sua volontà perché ci farà scoprire l'infinito amore del Padre per ciascuno di noi. Delle persone che ci amano siamo sempre disposti a fidarci, se impariamo a capire che Dio veramente ci ama e ha a cuore la nostra felicità saremo anche disposti a lasciarci guidare da lui.
Sembra una banalità, in realtà cambierà tutta la nostra vita, non avremo più stress e preoccupazioni perché sapremo che in ogni difficoltà non siamo mai soli, che il Signore non permette che nulla possa schiacciarci e anche ciò che sembra andar male egli saprà volgerlo a nostra salvezza.
Impariamo da Gesù, scegliamo l'umiltà e la mitezza, lasciamoci istruire dallo Spirito e fidiamoci del Padre e tutta la nostra vita sarà nel riposo vero.
sabato 1 luglio 2017
Gradualità - Riflessione sul vangelo di domenica 2 luglio 2017
Nella vita, per ogni nostra attività, abbiamo bisogno di gradualità. Quando nasciamo le uniche cose che sappiamo fare sono piangere e succhiare, tutto il resto lo impariamo un po' alla volta. Crescendo diventiamo però anche piuttosto impazienti e vorremmo poter fare ogni cosa bene dalla prima volta, ci piacerebbe non dover faticare, che tutto fosse semplice e indolore. Impariamo però ben presto che le cose importanti costano impegno e fatica, capita così che a volte davanti a situazioni esigenti ci tiriamo indietro e rinunciamo.
Anche la vita cristiana a volte ci sembra impegnativa e faticosa, alcune pagine del Vangelo ci sembrano troppo impegnative ed esigenti per cui quasi non le prendiamo in considerazione o pensiamo siano rivolte solo a preti e suore.
La pagina di questa domenica è sicuramente molto esigente: Gesù ci chiede di perdere la nostra vita per lui, di non amare nessuno più di lui, di prendere la nostra croce e seguirlo... e non appena sentiamo parlare di croce smettiamo subito di ascoltare.
Anche nella vita cristiana, però, c'è bisogno di gradualità. Gesù non ci impone di mollare tutto, di non frequentare più nessuno dei nostri cari, di partire per terre lontane dove vivere in totale povertà...
Gesù ci indica la via per la nostra gioia e la pienezza della nostra vita che non è un traguardo da raggiungere ma un percorso da compiere.
Proviamo a leggere la pagina di Vangelo di questa domenica dal fondo: il Signore ci invita ad accogliere i suoi discepoli, i suoi profeti, coloro che ci testimoniano con la loro vita la bellezza dell'amore di Dio. Iniziamo ad accogliere loro!
Non nascondiamoci dietro false scuse, i testimoni del Signore Gesù sono attorno a noi: sono nostri colleghi di lavoro, sono nostri vicini di casa, sono gli amici di una vita, sono magari anche nostri parenti. Accogliamoli, facciamoci raccontare come il Signore ha cambiato la loro vita, di come la fede in lui abbia dato nuova luce al loro cammino, pace e serenità anche davanti alle avversità. Accogliamoli non solo mostrando gentilezza e buone maniere, accogliamo nel nostro cuore le loro testimonianze, lasciamoci interrogare dalle loro parole, dai loro gesti, dalle loro esperienze. Impariamo attraverso il loro esempio a fidarci di Dio, del suo amore che non è solo per pochi ma è per ogni uomo.
Gradualmente, man mano che apriremo il nostro cuore al Signore, inizieremo a capire non solo che possiamo fidarci di lui ma che solo mettendo lui sopra ogni altra cosa, la relazione con lui prima di ogni altra relazione, anche le più importanti e fondamentali, la nostra vita acquisterà senso.
Accogliendo i suoi testimoni accogliamo il Signore stesso nella nostra vita, ascoltando il Vangelo ascoltiamo lui stesso che parla con noi, con ciascuno di noi. Gradualmente crescendo nella relazione con lui comprendiamo che inseguire progetti, ideali e sogni non ci porta a nulla di soddisfacente, che la sola nostra gioia è compiere il suo disegno d'amore con noi. La tanto temuta croce non è una sofferenza necessaria ma la possibilità di amare i fratelli fino alla fine, donando tutto e rinunciando completamente a noi stessi. Solo l'amore donato ci rende veramente gioiosi e ci dà quel senso di pienezza e completezza che null'altro al mondo può darci.
Non spaventiamoci, dunque, se a volte Gesù ci sembra troppo esigente, se ci chiede qualcosa è perché possiamo farlo e facendolo troviamo la nostra salvezza.
sabato 24 giugno 2017
Valore vero - Riflessione sul Vangelo di domenica 25 giugno 2017
Quanto tempo, quante energie spendiamo ogni giorno per piacere agli altri, per assicurarci la loro approvazione, abbiamo paura di non essere apprezzati, di essere derisi ed emarginati.
Sappiamo bene, però, che non andremo mai bene a tutti così continuiamo a cambiare maschere, a tacere ciò che potrebbe non essere gradito al nostro interlocutore, a scendere a compromessi. Inutile pensare di essere immuni da questo sistema, ci caschiamo tutti fin da piccoli. A scuola studiavamo e ci impegnavamo per ottenere l'approvazione dei genitori e degli insegnati o, viceversa, non ci impegnavamo per ottenere la stima dei compagni di classe più scapestrati, al lavoro la situazione non cambia, cerchiamo di compiacere i superiori, con gli amici cerchiamo di blandire quelli che ci sembrano più autorevoli... Diciamocelo, è una gran fatica!
Come sempre, Gesù ci indica una via diversa, un cambio di prospettiva, invitandoci a non cercare l'approvazione di chi ci sta intorno ma piuttosto a riconoscere che il valore della nostra vita dipende dal fatto che siamo figli amati da Dio. Se impariamo a comprendere che la nostra vita non dipende da quanti ci sono amici, ci stimano e parlano bene di noi ma ha un valore immenso perché voluta e amata in modo unico e speciale da Dio, non avremo più bisogno di maschere, non dovremo più glissare su determinati argomenti, non dovremo più sembrare diversi da ciò che siamo.
Il Signore Gesù è venuto a liberarci da ogni schiavitù anche da quella dell'approvazione degli altri. Intendiamoci, Gesù non ci suggerisce di disinteressarci degli altri, anzi, ci invita ad essere testimoni del suo amore, delle sue parole ai nostri fratelli! Dobbiamo imparare a superare una grande paura che si diffonde ogni giorno di più: la paura della testimonianza. La nostra società, lo abbiamo già notato diverse volte, vorrebbe relegare la fede tra le attività da tempo libero: uno va in canoa, un altro dipinge, uno va a Messa... purché poi non annoi tutti raccontando le sue esperienze.
Ma la fede non è un hobby, è ciò che dà senso alla nostra vita, è la relazione più importante della nostra esistenza di cui nessuno può fare a meno, se vuole vivere una autentica pienezza di vita.
Se l'incontro con il Signore ci ha cambiato la vita non possiamo non raccontarlo, non lo possiamo tenere segreto, è troppo importante anche per i nostri fratelli.
Possiamo rischiare di essere presi per matti, per esaltati, per persone che si sono lasciate plagiare. Ricordiamo che dobbiamo testimoniare il nostro incontro con il Signore Gesù con serenità ed entusiasmo, chi ci ascolta deve leggercelo negli occhi. Facciamo attenzione a non propagandare le nostre idee e convinzioni spacciandole per verità evangeliche. Se viviamo una autentica relazione con il Signore, se ci mettiamo in ascolto vero della sua Parola non sarà difficile perché l'amore del Signore è contagioso, è come un vulcano nel cuore che deve esplodere e riversarsi sugli altri.
Annunciare il Signore Gesù ai fratelli non solo è compito di ogni cristiano ma è anche la cosa più bella e gioiosa che possiamo fare, l'unica cosa che ci riempie veramente la vita.
Sappiamo bene, però, che non andremo mai bene a tutti così continuiamo a cambiare maschere, a tacere ciò che potrebbe non essere gradito al nostro interlocutore, a scendere a compromessi. Inutile pensare di essere immuni da questo sistema, ci caschiamo tutti fin da piccoli. A scuola studiavamo e ci impegnavamo per ottenere l'approvazione dei genitori e degli insegnati o, viceversa, non ci impegnavamo per ottenere la stima dei compagni di classe più scapestrati, al lavoro la situazione non cambia, cerchiamo di compiacere i superiori, con gli amici cerchiamo di blandire quelli che ci sembrano più autorevoli... Diciamocelo, è una gran fatica!
Come sempre, Gesù ci indica una via diversa, un cambio di prospettiva, invitandoci a non cercare l'approvazione di chi ci sta intorno ma piuttosto a riconoscere che il valore della nostra vita dipende dal fatto che siamo figli amati da Dio. Se impariamo a comprendere che la nostra vita non dipende da quanti ci sono amici, ci stimano e parlano bene di noi ma ha un valore immenso perché voluta e amata in modo unico e speciale da Dio, non avremo più bisogno di maschere, non dovremo più glissare su determinati argomenti, non dovremo più sembrare diversi da ciò che siamo.
Il Signore Gesù è venuto a liberarci da ogni schiavitù anche da quella dell'approvazione degli altri. Intendiamoci, Gesù non ci suggerisce di disinteressarci degli altri, anzi, ci invita ad essere testimoni del suo amore, delle sue parole ai nostri fratelli! Dobbiamo imparare a superare una grande paura che si diffonde ogni giorno di più: la paura della testimonianza. La nostra società, lo abbiamo già notato diverse volte, vorrebbe relegare la fede tra le attività da tempo libero: uno va in canoa, un altro dipinge, uno va a Messa... purché poi non annoi tutti raccontando le sue esperienze.
Ma la fede non è un hobby, è ciò che dà senso alla nostra vita, è la relazione più importante della nostra esistenza di cui nessuno può fare a meno, se vuole vivere una autentica pienezza di vita.
Se l'incontro con il Signore ci ha cambiato la vita non possiamo non raccontarlo, non lo possiamo tenere segreto, è troppo importante anche per i nostri fratelli.
Possiamo rischiare di essere presi per matti, per esaltati, per persone che si sono lasciate plagiare. Ricordiamo che dobbiamo testimoniare il nostro incontro con il Signore Gesù con serenità ed entusiasmo, chi ci ascolta deve leggercelo negli occhi. Facciamo attenzione a non propagandare le nostre idee e convinzioni spacciandole per verità evangeliche. Se viviamo una autentica relazione con il Signore, se ci mettiamo in ascolto vero della sua Parola non sarà difficile perché l'amore del Signore è contagioso, è come un vulcano nel cuore che deve esplodere e riversarsi sugli altri.
Annunciare il Signore Gesù ai fratelli non solo è compito di ogni cristiano ma è anche la cosa più bella e gioiosa che possiamo fare, l'unica cosa che ci riempie veramente la vita.
sabato 10 giugno 2017
Mistero d'amore - Riflessione sul Vangelo di domenica 11 giugno 2017
Nel corso di questi venti secoli di storia molti teologi hanno tentato di spiegare come possa Dio essere Uno e Trino, come sia una sola sostanza in tre persone... Questioni di fine teologia... Nessuno però è riuscito a spiegare bene questo grande mistero. Sant'Agostino ci mette subito in guardia: se lo puoi spiegare, non è Dio!
Il mistero di Dio Uno e Trino non è spiegabile non perché Dio sia un tipo timido e riservato che ci tiene alla sua privacy ma perché è un mistero d'amore e l'amore non si può spiegare, si può solo vivere. Avete mai provato a spiegare l'amore? Ci siete mai riusciti? Sono certo di no!
Oggi però la Chiesa ci fa celebrare la festa della Santissima Trinità, ci fa guardare direttamente nel cuore di Dio, nel suo mistero d'amore, non per capirlo, comprenderlo, catalogarlo ma per farcene innamorare!
Ascoltando bene non solo la pagina di Vangelo ma tutte le letture di questa domenica ci accorgiamo di come ci sia un unico centro: la relazione tra Dio e l'uomo. Questa è la vera novità, questo quello che dobbiamo comprendere: Dio vuole entrare in relazione con noi, vuole farsi conoscere da noi, vuole camminare con noi, vuole salvarci.
Dio è un Dio che ama e che vuole amarci e farci conoscere quanto ci ama. Come fa un padre con il figlio piccolo, si abbassa fino a noi, cerca ogni giorno modi nuovi per raccontarci la sua passione per ogni uomo, il suo desiderio di relazione con noi. Nel corso della storia dell'umanità ha scelto modi diversi per rivelarci il suo amore, per tenderci la mano, per farsi vicino a noi. Il più alto di tutti è l'averci donato il suo Figlio e, nello stesso tempo poiché Dio è in se Trinità di Persone, l'aver scelto di farsi come noi, di condividere la nostra vita e, soprattutto, la nostra morte per donare a noi la propria vita eterna, e poi ancora Egli stesso viene ad abitare nei nostri cuori nel dono dello Spirito Santo.
È sufficiente leggere qualche pagina della Scrittura per rendersi conto che davvero le ha pensate tutte e ogni giorno se ne inventa di nuove per ciascuno di noi.
Cosa ci dice, allora, questa festa?
Ci invita a cercare questa relazione con Dio, ad accoglierlo nella nostra vita, a fidarci di lui, a credere in lui. La fede non è un atto faticoso, complicato, arduo, è un semplice abbandono al suo amore, alla sua tenerezza di Padre, alla sua compassione di Figlio, alla sua consolazione di Spirito. Basta solo dirgli "Voglio credere in te, voglio fidarmi di te!" All'inizio sembra difficile perché non amiamo lasciarci andare, perdere il controllo, lasciarci guidare. Pensiamo che scegliere di credere in Dio porti a rinunciare a ciò che ci piace, in realtà è scegliere ciò che ci dà gioia vera: la vita eterna!
Lungo la storia dell'umanità molte persone hanno scelto di fidarsi di Dio, di credere in lui, di abbandonare a lui la propria vita, ciò che ne è risultato sono state tante vite, tutte diverse, ma tutte accomunate da un elemento: la gioia! Credere in Dio di dà gioia perché è entrare nella più importante e bella relazione d'amore che possiamo immaginare!
Ognuno di noi è chiamato a vivere nella gioia della vita nuova, la vita eterna, stretto nell'abbraccio del Padre, del Figlio e dello Spirito... che aspettiamo ancora?
Credo Signore, aiutami a fidarmi di te ogni giorno di più!
Il mistero di Dio Uno e Trino non è spiegabile non perché Dio sia un tipo timido e riservato che ci tiene alla sua privacy ma perché è un mistero d'amore e l'amore non si può spiegare, si può solo vivere. Avete mai provato a spiegare l'amore? Ci siete mai riusciti? Sono certo di no!
Oggi però la Chiesa ci fa celebrare la festa della Santissima Trinità, ci fa guardare direttamente nel cuore di Dio, nel suo mistero d'amore, non per capirlo, comprenderlo, catalogarlo ma per farcene innamorare!
Ascoltando bene non solo la pagina di Vangelo ma tutte le letture di questa domenica ci accorgiamo di come ci sia un unico centro: la relazione tra Dio e l'uomo. Questa è la vera novità, questo quello che dobbiamo comprendere: Dio vuole entrare in relazione con noi, vuole farsi conoscere da noi, vuole camminare con noi, vuole salvarci.
Dio è un Dio che ama e che vuole amarci e farci conoscere quanto ci ama. Come fa un padre con il figlio piccolo, si abbassa fino a noi, cerca ogni giorno modi nuovi per raccontarci la sua passione per ogni uomo, il suo desiderio di relazione con noi. Nel corso della storia dell'umanità ha scelto modi diversi per rivelarci il suo amore, per tenderci la mano, per farsi vicino a noi. Il più alto di tutti è l'averci donato il suo Figlio e, nello stesso tempo poiché Dio è in se Trinità di Persone, l'aver scelto di farsi come noi, di condividere la nostra vita e, soprattutto, la nostra morte per donare a noi la propria vita eterna, e poi ancora Egli stesso viene ad abitare nei nostri cuori nel dono dello Spirito Santo.
È sufficiente leggere qualche pagina della Scrittura per rendersi conto che davvero le ha pensate tutte e ogni giorno se ne inventa di nuove per ciascuno di noi.
Cosa ci dice, allora, questa festa?
Ci invita a cercare questa relazione con Dio, ad accoglierlo nella nostra vita, a fidarci di lui, a credere in lui. La fede non è un atto faticoso, complicato, arduo, è un semplice abbandono al suo amore, alla sua tenerezza di Padre, alla sua compassione di Figlio, alla sua consolazione di Spirito. Basta solo dirgli "Voglio credere in te, voglio fidarmi di te!" All'inizio sembra difficile perché non amiamo lasciarci andare, perdere il controllo, lasciarci guidare. Pensiamo che scegliere di credere in Dio porti a rinunciare a ciò che ci piace, in realtà è scegliere ciò che ci dà gioia vera: la vita eterna!
Lungo la storia dell'umanità molte persone hanno scelto di fidarsi di Dio, di credere in lui, di abbandonare a lui la propria vita, ciò che ne è risultato sono state tante vite, tutte diverse, ma tutte accomunate da un elemento: la gioia! Credere in Dio di dà gioia perché è entrare nella più importante e bella relazione d'amore che possiamo immaginare!
Ognuno di noi è chiamato a vivere nella gioia della vita nuova, la vita eterna, stretto nell'abbraccio del Padre, del Figlio e dello Spirito... che aspettiamo ancora?
Credo Signore, aiutami a fidarmi di te ogni giorno di più!
sabato 20 maggio 2017
Mai più soli - Riflessione sul Vangelo di Domenica 21 maggio 2017
Una delle grandi rivendicazioni della nostra epoca è la pretesa di libertà, intesa come "diritto di fare ciò che voglio". Abbiamo già notato più volte come sia una falsa libertà, come il "fare ciò che voglio" è in realtà condizionato da tanti fattori esterni per cui spesso i nostri capricci e presunti desideri sono vere e proprie schiavitù. C'è anche un altro effetto collaterale di questa pretesa di autonomia che non consideriamo abbastanza: la solitudine. Pretendere di poter fare tutto ciò che vogliamo ci porta a vivere in un profondo egocentrismo che ci porta a guardare agli altri o come mezzi per raggiungere i nostri scopi o ostacoli che ce lo impediscono. Per fare quello che ci pare non riconosciamo più il limite della libertà della persona che abbiamo davanti, lo oltrepassiamo e arriviamo a calpestarlo. Nello stesso tempo anche gli altri pretendono di fare quello che vogliono così ci troviamo a dover innalzare muri di difesa per preservare la nostra tanto amata "libertà di fare ciò che mi va" e così ci isoliamo da tutti.
In questo meccanismo distorto entra anche la relazione con Dio che preferiamo pensare lontano, se non addirittura inesistente, affinché non venga a limitarci con i suoi noiosi comandamenti.
E così ci ritroviamo sempre più soli...
E dire che il desiderio di Dio è esattamente l'opposto! Dio non vuole lasciarci soli, non vuole farci sperimentare la solitudine, vuole stare con noi, ci vuole con sé, in una comunione così stretta che diventa l'essere l'uno nell'altro.
Gesù dice ai suoi discepoli "se mi amate osserverete i miei comandamenti" dove 'osservare' ha la sfumatura del custodire con cura e 'comandamento' è l'indicazione per compiere la sua volontà, quella volontà d'amore e di comunione che si rende concreta nel dono dello Spirito Santo.
Veramente il Signore non vuole lasciarci orfani, soli e abbandonati, per questo sceglie di venire ad abitare in noi per stare sempre con noi, per guidarci, per aiutarci a riconoscere il bene dal male, a capire quali sono i nostri veri desideri, le reali aspirazioni del nostro cuore. Custodire la volontà d'amore di Dio per noi non è rinunciare a una vita libera, anzi è vivere nella maniera più libera possibile. Scegliere di vivere compiendo la sua volontà per noi è camminare verso la nostra vera gioia che non deriva dal conseguimento dei nostri progetti ma nella comunione piena e intima con il Signore.
Abbiamo bisogno di abbandonare la nostra mentalità utilitaristica che ci fa sempre cercare il risultato concreto di ciò che facciamo ed entrare nella logica di Dio che è la logica dell'amore. Il fine delle nostre azioni è sempre un vantaggio personale, il fine dell'opera di Dio è l'amore vissuto fino in fondo. Non si tratta di cambiare le cose che facciamo ma come le facciamo, non più per utilità ma per amore: questa è la volontà di Dio, questo il suo comandamento.
Vinciamo ogni paura di amare e di essere amati e scopriremo che veramente Dio ci ama, che veramente lo Spirito Santo abita nel nostro cuore e ci illumina, conforta, sostiene. Il Signore ha disposto tutto per colmarci del suo amore, per non lasciarci mai soli, per farci scoprire ogni giorno amati e custoditi e per renderci capaci di amare come ama lui. Ora tocca a noi accogliere e custodire questa volontà d'amore e viverla ogni giorno.
In questo meccanismo distorto entra anche la relazione con Dio che preferiamo pensare lontano, se non addirittura inesistente, affinché non venga a limitarci con i suoi noiosi comandamenti.
E così ci ritroviamo sempre più soli...
E dire che il desiderio di Dio è esattamente l'opposto! Dio non vuole lasciarci soli, non vuole farci sperimentare la solitudine, vuole stare con noi, ci vuole con sé, in una comunione così stretta che diventa l'essere l'uno nell'altro.
Gesù dice ai suoi discepoli "se mi amate osserverete i miei comandamenti" dove 'osservare' ha la sfumatura del custodire con cura e 'comandamento' è l'indicazione per compiere la sua volontà, quella volontà d'amore e di comunione che si rende concreta nel dono dello Spirito Santo.
Veramente il Signore non vuole lasciarci orfani, soli e abbandonati, per questo sceglie di venire ad abitare in noi per stare sempre con noi, per guidarci, per aiutarci a riconoscere il bene dal male, a capire quali sono i nostri veri desideri, le reali aspirazioni del nostro cuore. Custodire la volontà d'amore di Dio per noi non è rinunciare a una vita libera, anzi è vivere nella maniera più libera possibile. Scegliere di vivere compiendo la sua volontà per noi è camminare verso la nostra vera gioia che non deriva dal conseguimento dei nostri progetti ma nella comunione piena e intima con il Signore.
Abbiamo bisogno di abbandonare la nostra mentalità utilitaristica che ci fa sempre cercare il risultato concreto di ciò che facciamo ed entrare nella logica di Dio che è la logica dell'amore. Il fine delle nostre azioni è sempre un vantaggio personale, il fine dell'opera di Dio è l'amore vissuto fino in fondo. Non si tratta di cambiare le cose che facciamo ma come le facciamo, non più per utilità ma per amore: questa è la volontà di Dio, questo il suo comandamento.
Vinciamo ogni paura di amare e di essere amati e scopriremo che veramente Dio ci ama, che veramente lo Spirito Santo abita nel nostro cuore e ci illumina, conforta, sostiene. Il Signore ha disposto tutto per colmarci del suo amore, per non lasciarci mai soli, per farci scoprire ogni giorno amati e custoditi e per renderci capaci di amare come ama lui. Ora tocca a noi accogliere e custodire questa volontà d'amore e viverla ogni giorno.
venerdì 12 maggio 2017
Un posto nel cuore di Dio - Riflessione sul Vangelo di domenica 14 maggio 2017
Quando amiamo profondamente una persona sentiamo il bisogno di stringerla a noi, di abbracciarla, di averla sempre insieme a noi, la coccoliamo, la accarezziamo, la baciamo.
Dio ci ama e anche lui sente il bisogno di tenerci stretti a sé, di abbracciarci, di stringerci, di coccolarci. Siamo noi che, un po' come quando eravamo adolescenti e gli abbracci di mamma e papà ci imbarazzavano, spesso lo teniamo a distanza. Solo che quando teniamo Dio a distanza la nostra vita si incupisce, i problemi ci sembrano insormontabili e le difficoltà insostenibili, il nostro cuore si trova turbato e affaticato.
Con tutta la dolcezza di cui è capace, il Signore Gesù viene a dirci "Non sia turbato il tuo cuore! Non avere paura, abbi fiducia in me! A te penso io!" Veramente il Signore si prende cura di noi, veramente ci dona consolazione, veramente riporta la pace nel nostro cuore turbato.
Spesso, come l'apostolo Filippo, pensiamo di accontentarci di vedere Dio da lontano, "mostraci il Padre e ci basta!", a noi sembra tanto ma è ben poco rispetto a quello che ci offre lui.
Dio non vuole essere ammirato da lontano, vuole stringerci a sé, vuole far scoppiare di gioia il nostro cuore, vuole rivelare in noi la sua presenza, farci sperimentare la bontà della sua gloria. la gioia infinita della sua vita eterna.
Ci vuole così poco! Basta dirgli di sì, basta fidarsi di lui, di credere veramente, basta abbandonarsi al Signore Gesù! Gesù si fa per noi via che ci conduce al Padre, verità che ci svela il senso pieno della nostra esistenza, vita eterna per vivere per sempre in quell'abbraccio.
Apriamogli il cuore nella preghiera, ascoltiamo la sua Parola, non solo come una serie di norme ma come un canto d'amore che ci svela quanto siamo amati, impariamo a riconoscerlo nei nostri fratelli e camminiamo, anzi, corriamo insieme con loro incontro al Signore, gettiamoci nell'infinito abbraccio del Padre e tutte le nostre ansie, le nostre paure, i nostri dolori saranno un ricordo lontano.
Nessuno pensi che Dio non possa amarlo. È vero nessuno di noi è degno dell'amore di Dio eppure continua ad amarci così come siamo, con le nostre fragilità e debolezze, con tutti i nostri errori e peccati. Noi forse fatichiamo ad amare noi stessi, a perdonarci gli errori compiuti e ripetuti, non siamo capaci di trovare nulla di amabile in noi, Dio però ci ama sempre e comunque e non vede l'ora di dimostrarcelo. Facciamolo contento, permettiamogli di stringerci a sé e da quel meraviglioso abbraccio non ce ne andremo mai più!
Dio ci ama e anche lui sente il bisogno di tenerci stretti a sé, di abbracciarci, di stringerci, di coccolarci. Siamo noi che, un po' come quando eravamo adolescenti e gli abbracci di mamma e papà ci imbarazzavano, spesso lo teniamo a distanza. Solo che quando teniamo Dio a distanza la nostra vita si incupisce, i problemi ci sembrano insormontabili e le difficoltà insostenibili, il nostro cuore si trova turbato e affaticato.
Con tutta la dolcezza di cui è capace, il Signore Gesù viene a dirci "Non sia turbato il tuo cuore! Non avere paura, abbi fiducia in me! A te penso io!" Veramente il Signore si prende cura di noi, veramente ci dona consolazione, veramente riporta la pace nel nostro cuore turbato.
Il Signore Gesù sa bene quanto spesso ci troviamo nella tristezza, nella fatica, nella solitudine e, poiché ci ama di un amore infinito, non si rassegna a vederci così, vuole riportarci a casa, vuole riportarci all'abbraccio del Padre, quell'abbraccio spirituale che non è più un semplice star vicini ma è essere l'uno nell'altro. Così è l'abbraccio tra il Padre, il Figlio e lo Spirito, così è l'abbraccio in cui Dio vuole accoglierci.
Ai suoi discepoli Gesù dice di aver preparato un posto, non però un posto fisico, non una poltrona comoda ma un posto nel cuore del Padre, un abbraccio del suo amore e c'è un posto così anche per ciascuno di noi, anche noi siamo invitati ad entrare nella meravigliosa dolcezza del suo amore.Spesso, come l'apostolo Filippo, pensiamo di accontentarci di vedere Dio da lontano, "mostraci il Padre e ci basta!", a noi sembra tanto ma è ben poco rispetto a quello che ci offre lui.
Dio non vuole essere ammirato da lontano, vuole stringerci a sé, vuole far scoppiare di gioia il nostro cuore, vuole rivelare in noi la sua presenza, farci sperimentare la bontà della sua gloria. la gioia infinita della sua vita eterna.
Ci vuole così poco! Basta dirgli di sì, basta fidarsi di lui, di credere veramente, basta abbandonarsi al Signore Gesù! Gesù si fa per noi via che ci conduce al Padre, verità che ci svela il senso pieno della nostra esistenza, vita eterna per vivere per sempre in quell'abbraccio.
Apriamogli il cuore nella preghiera, ascoltiamo la sua Parola, non solo come una serie di norme ma come un canto d'amore che ci svela quanto siamo amati, impariamo a riconoscerlo nei nostri fratelli e camminiamo, anzi, corriamo insieme con loro incontro al Signore, gettiamoci nell'infinito abbraccio del Padre e tutte le nostre ansie, le nostre paure, i nostri dolori saranno un ricordo lontano.
Nessuno pensi che Dio non possa amarlo. È vero nessuno di noi è degno dell'amore di Dio eppure continua ad amarci così come siamo, con le nostre fragilità e debolezze, con tutti i nostri errori e peccati. Noi forse fatichiamo ad amare noi stessi, a perdonarci gli errori compiuti e ripetuti, non siamo capaci di trovare nulla di amabile in noi, Dio però ci ama sempre e comunque e non vede l'ora di dimostrarcelo. Facciamolo contento, permettiamogli di stringerci a sé e da quel meraviglioso abbraccio non ce ne andremo mai più!
venerdì 5 maggio 2017
Docili alla voce di colui che ci ama - Riflessione sul Vangelo di domenica 7 maggio 2017
Indipendenza, autonomia, libertà sono parole che ci piacciono tanto, non amiamo essere condizionati da altri, pretendiamo di essere liberi di fare ciò che ci va, di vivere la nostra vita come ne abbiamo voglia. Tutto ciò che ha l'aspetto di regole, norme, comandi cerchiamo di fuggirlo come la peste, convinti che solo avendo il pieno controllo della nostra vita potremo essere veramente felici.
Ma davvero possiamo dirci liberi? È vera libertà fare tutto ciò che ci suggerisce la fantasia? Ci siamo mai chiesti come ci vengano in mente determinate idee o desideri specifici?
Già da molti decenni sappiamo che la grande industria della pubblicità ci induce bisogni che non abbiamo, ci suscita il desiderio di cose che non ci occorrono. Oggi i social network e l'uso quotidiano di internet si sono affiancati a tv e giornali creando un coro di voci continue e assordanti che ci circondano, confondono e ci portano dove possiamo produrre un maggiore guadagno.
C'è un modo per essere veramente liberi o dobbiamo rassegnarci a lasciarci sballottare dalle esigenze economiche del mercato globale?
La prima cosa di cui abbiamo bisogno è un po' di umiltà. Dobbiamo saper riconoscere che non siamo capaci di camminare da soli, che in un modo o nell'altro seguiamo sempre qualcuno, una voce che ci apra una strada, che ci dica di cosa abbiamo bisogno.
Tutto sta, dunque, nel scegliere bene quale voce seguire. Il criterio di scelta è più semplice di quanto non pensiamo: impariamo a seguire la voce di chi tiene a noi, ci ama e ci vuole condurre al nostro vero bene e rifiutiamo la voce di chi invece cerca solo di sfruttarci, di guadagnare dalla nostra vita.
C'è una sola persona che non ha interessi economici alle nostre spalle, che non ci guadagna nulla dalla nostra vita, che vuole indicarci la nostra salvezza solo perché ci ama: il Signore Gesù.
Chiediamo al Signore, in questa domenica, il dono della docilità. Ci renda docili alla sua guida, alla sua Parola, renda il nostro cuore pronto a seguire la sua voce.
Per imparare a seguire il Signore dobbiamo metterci in ascolto della sua Parola, ogni giorno, dobbiamo imparare a fidarci di lui, a lasciarci guidare da lui, dobbiamo desiderare compiere la sua volontà.
Molti di noi hanno un'idea sbagliata di cosa significhi compiere la volontà di Dio. Si pensa che sia un'obbedienza cieca, che il Signore ci voglia come soldati pronti a eseguire ogni suo ordine. Non è questo compiere la volontà di Dio! È lasciarsi guidare, condurre da lui, dal suo amore, a vivere una vita piena, autentica e veramente libera, libera dagli inganni del mondo, libera dalla ricerca di soddisfazioni terrene che non durano, libera dalle logiche dell'utilitarismo, del profitto, del guadagno.
Compiere la volontà di Dio è collaborare al suo disegno di salvezza, se volessimo trovare un'immagine potremmo pensare ad un brano per pianoforte da suonare a quattro mani, noi e Dio insieme.
Scegliere Gesù come guida, come pastore della nostra vita, non è abdicare alla nostra libertà è entrare nella comunione con lui, è potersi rilassare perché la nostra vita non dipende più dalle nostre capacità ma dalla sua grazia, è scoprire che la nostra vita può essere molto più piena, gioiosa e soddisfacente di quanto non sia stata fin'ora, è gustare già da ora la vita eterna.
Ma davvero possiamo dirci liberi? È vera libertà fare tutto ciò che ci suggerisce la fantasia? Ci siamo mai chiesti come ci vengano in mente determinate idee o desideri specifici?
Già da molti decenni sappiamo che la grande industria della pubblicità ci induce bisogni che non abbiamo, ci suscita il desiderio di cose che non ci occorrono. Oggi i social network e l'uso quotidiano di internet si sono affiancati a tv e giornali creando un coro di voci continue e assordanti che ci circondano, confondono e ci portano dove possiamo produrre un maggiore guadagno.
C'è un modo per essere veramente liberi o dobbiamo rassegnarci a lasciarci sballottare dalle esigenze economiche del mercato globale?
La prima cosa di cui abbiamo bisogno è un po' di umiltà. Dobbiamo saper riconoscere che non siamo capaci di camminare da soli, che in un modo o nell'altro seguiamo sempre qualcuno, una voce che ci apra una strada, che ci dica di cosa abbiamo bisogno.
Tutto sta, dunque, nel scegliere bene quale voce seguire. Il criterio di scelta è più semplice di quanto non pensiamo: impariamo a seguire la voce di chi tiene a noi, ci ama e ci vuole condurre al nostro vero bene e rifiutiamo la voce di chi invece cerca solo di sfruttarci, di guadagnare dalla nostra vita.
C'è una sola persona che non ha interessi economici alle nostre spalle, che non ci guadagna nulla dalla nostra vita, che vuole indicarci la nostra salvezza solo perché ci ama: il Signore Gesù.
Chiediamo al Signore, in questa domenica, il dono della docilità. Ci renda docili alla sua guida, alla sua Parola, renda il nostro cuore pronto a seguire la sua voce.
Per imparare a seguire il Signore dobbiamo metterci in ascolto della sua Parola, ogni giorno, dobbiamo imparare a fidarci di lui, a lasciarci guidare da lui, dobbiamo desiderare compiere la sua volontà.
Molti di noi hanno un'idea sbagliata di cosa significhi compiere la volontà di Dio. Si pensa che sia un'obbedienza cieca, che il Signore ci voglia come soldati pronti a eseguire ogni suo ordine. Non è questo compiere la volontà di Dio! È lasciarsi guidare, condurre da lui, dal suo amore, a vivere una vita piena, autentica e veramente libera, libera dagli inganni del mondo, libera dalla ricerca di soddisfazioni terrene che non durano, libera dalle logiche dell'utilitarismo, del profitto, del guadagno.
Compiere la volontà di Dio è collaborare al suo disegno di salvezza, se volessimo trovare un'immagine potremmo pensare ad un brano per pianoforte da suonare a quattro mani, noi e Dio insieme.
Scegliere Gesù come guida, come pastore della nostra vita, non è abdicare alla nostra libertà è entrare nella comunione con lui, è potersi rilassare perché la nostra vita non dipende più dalle nostre capacità ma dalla sua grazia, è scoprire che la nostra vita può essere molto più piena, gioiosa e soddisfacente di quanto non sia stata fin'ora, è gustare già da ora la vita eterna.
sabato 22 aprile 2017
Insieme - Riflessione sul Vangelo di domenica 23 aprile 2017
Nei giorni intorno a Pasqua su diversi canali televisivi sono comparsi documentari e produzioni varie sulla Sindone, sui luoghi della Terra Santa, sulle testimonianze storiche della vicenda di Gesù. Alcune scientificamente valide, altre oltremodo fantasiose, altre ancora volutamente ingannevoli. Tanti, come novelli san Tommaso, intenzionati a toccare con mano testimonianze certe della resurrezione del Signore Gesù.
Che abbiamo seguito o meno queste trasmissioni, l'idea di poter avere una prova scientifica della resurrezione ci affascina tutti. Chi di noi non ha pensato almeno una volta che san Tommaso è stato fortunato perché ha potuto fare quello che vorremmo fare tutti, toccare Gesù, poterlo vedere con i nostri occhi, ascoltarlo con le nostre orecchie. Noi però non possiamo, non siamo stati suoi apostoli, viviamo duemila anni dopo, dobbiamo accontentarci di quello che ci hanno raccontato, restando col dubbio se sia poi vero o no.
Ma è davvero così? Veramente non possiamo incontrare Gesù risorto? Veramente non possiamo arrivare alla certezza della sua resurrezione, della sua presenza viva accanto a noi?
No, no, possiamo e come! Possiamo incontrare Gesù risorto, possiamo essere certi della sua resurrezione, possiamo riconoscerlo vivo accanto a noi, dobbiamo solo ammettere che questo incontro avvenga non come lo vogliamo noi ma come lo vuole lui. C'è uno spazio e c'è un modo per incontrare il Signore risorto. Lo spazio è la comunità cristiana, il modo è la fede.
Gesù risorto si manifesta ai suoi discepoli quando sono riuniti, mentre stanno insieme. Tommaso la sera di Pasqua è fuori, è lontano, è solo e questa solitudine gli impedisce di incontrare Gesù. Dovrà attendere una settimana e di nuovo mentre sono tutti riuniti insieme, in quella seconda domenica della storia, Gesù torna a manifestarsi. Ora Tommaso è presente all'assemblea, è anche lui parte della comunità e può così incontrare il Signore Gesù. Sappiamo bene che poi il Signore lo invita a vedere le sue piaghe, a toccare il segno dei chiodi, ma, soprattutto, a diventare credente. Noi possiamo essere quei beati di cui parla Gesù a Tommaso, coloro che credono senza aver visto ma solo perché hanno ascoltato la testimonianza dei fratelli.
Potremmo essere tentati di pensare che Gesù ci inviti ad accontentarci, a prendere per buono quello che ci viene detto dagli altri, ma appunto questa è una tentazione! Gesù non ci invita ad accontentarci, ci indica la strada per poterlo incontrare risorto, per poter fare una esperienza viva e reale di lui. Per farlo, però dobbiamo decidere di metterci in gioco, non possiamo pretendere di continuare a occuparci delle nostre cose e pretendere che il Signore si manifesti come e quando decidiamo noi.
Innanzi tutto dobbiamo iniziare a vivere la comunità. Non basta andare a Messa ogni domenica come se andassimo a teatro o al cinema, non basta ascoltare le letture cercando spunti che ci siano utili per quel che dobbiamo fare e poi, appena usciti dalla chiesa riprendiamo la nostra vita ordinaria. Per vivere la comunità cristiana innanzi tutto dobbiamo amare i nostri fratelli, un buon inizio sarebbe già conoscerne il nome, salutarci quando ci incrociamo per la strada, presentarci quando arriva qualcuno di nuovo, anche se è solo di passaggio, nella Chiesa nessuno è mai solo di passaggio, tutti sono nostri fratelli! Vivere in comunità è, innanzi tutto, una questione di cuore, è volersi bene, prendersi cura gli uni degli altri, ciascuno secondo le sue possibilità. La comunità dei fratelli diventa così il luogo in cui il Signore viene a manifestarsi, viene a farsi conoscere, a far risplendere la luce della sua Pasqua.
Il modo per incontrare il Signore risorto è la fede: dobbiamo prima noi credere in lui, credere a quanto ci annunciano i nostri fratelli, credere che veramente Gesù è risorto e vivo e viene nella nostra vita. se accogliamo questo, se iniziamo a fidarci di quanto abbiamo ascoltato, il Signore si farà presente, si manifesterà anche a noi, in un modo unico, che noi solo possiamo comprendere, secondo le nostre caratteristiche. Avremo così la certezza che il Signore è veramente risorto, non perché ne avremo toccato la piaghe ma perché ne avremo riconosciuto la presenza accanto a noi.
Io so che il Signore Gesù è risorto, volete scoprirlo anche voi? Vivete nella comunità e aprite il cuore al Signore, senza avanzare pretese, senza richiedere prove e il Signore si manifesterà anche a voi, questo è sicuro!
Che abbiamo seguito o meno queste trasmissioni, l'idea di poter avere una prova scientifica della resurrezione ci affascina tutti. Chi di noi non ha pensato almeno una volta che san Tommaso è stato fortunato perché ha potuto fare quello che vorremmo fare tutti, toccare Gesù, poterlo vedere con i nostri occhi, ascoltarlo con le nostre orecchie. Noi però non possiamo, non siamo stati suoi apostoli, viviamo duemila anni dopo, dobbiamo accontentarci di quello che ci hanno raccontato, restando col dubbio se sia poi vero o no.
Ma è davvero così? Veramente non possiamo incontrare Gesù risorto? Veramente non possiamo arrivare alla certezza della sua resurrezione, della sua presenza viva accanto a noi?
No, no, possiamo e come! Possiamo incontrare Gesù risorto, possiamo essere certi della sua resurrezione, possiamo riconoscerlo vivo accanto a noi, dobbiamo solo ammettere che questo incontro avvenga non come lo vogliamo noi ma come lo vuole lui. C'è uno spazio e c'è un modo per incontrare il Signore risorto. Lo spazio è la comunità cristiana, il modo è la fede.
Gesù risorto si manifesta ai suoi discepoli quando sono riuniti, mentre stanno insieme. Tommaso la sera di Pasqua è fuori, è lontano, è solo e questa solitudine gli impedisce di incontrare Gesù. Dovrà attendere una settimana e di nuovo mentre sono tutti riuniti insieme, in quella seconda domenica della storia, Gesù torna a manifestarsi. Ora Tommaso è presente all'assemblea, è anche lui parte della comunità e può così incontrare il Signore Gesù. Sappiamo bene che poi il Signore lo invita a vedere le sue piaghe, a toccare il segno dei chiodi, ma, soprattutto, a diventare credente. Noi possiamo essere quei beati di cui parla Gesù a Tommaso, coloro che credono senza aver visto ma solo perché hanno ascoltato la testimonianza dei fratelli.
Potremmo essere tentati di pensare che Gesù ci inviti ad accontentarci, a prendere per buono quello che ci viene detto dagli altri, ma appunto questa è una tentazione! Gesù non ci invita ad accontentarci, ci indica la strada per poterlo incontrare risorto, per poter fare una esperienza viva e reale di lui. Per farlo, però dobbiamo decidere di metterci in gioco, non possiamo pretendere di continuare a occuparci delle nostre cose e pretendere che il Signore si manifesti come e quando decidiamo noi.
Innanzi tutto dobbiamo iniziare a vivere la comunità. Non basta andare a Messa ogni domenica come se andassimo a teatro o al cinema, non basta ascoltare le letture cercando spunti che ci siano utili per quel che dobbiamo fare e poi, appena usciti dalla chiesa riprendiamo la nostra vita ordinaria. Per vivere la comunità cristiana innanzi tutto dobbiamo amare i nostri fratelli, un buon inizio sarebbe già conoscerne il nome, salutarci quando ci incrociamo per la strada, presentarci quando arriva qualcuno di nuovo, anche se è solo di passaggio, nella Chiesa nessuno è mai solo di passaggio, tutti sono nostri fratelli! Vivere in comunità è, innanzi tutto, una questione di cuore, è volersi bene, prendersi cura gli uni degli altri, ciascuno secondo le sue possibilità. La comunità dei fratelli diventa così il luogo in cui il Signore viene a manifestarsi, viene a farsi conoscere, a far risplendere la luce della sua Pasqua.
Il modo per incontrare il Signore risorto è la fede: dobbiamo prima noi credere in lui, credere a quanto ci annunciano i nostri fratelli, credere che veramente Gesù è risorto e vivo e viene nella nostra vita. se accogliamo questo, se iniziamo a fidarci di quanto abbiamo ascoltato, il Signore si farà presente, si manifesterà anche a noi, in un modo unico, che noi solo possiamo comprendere, secondo le nostre caratteristiche. Avremo così la certezza che il Signore è veramente risorto, non perché ne avremo toccato la piaghe ma perché ne avremo riconosciuto la presenza accanto a noi.
Io so che il Signore Gesù è risorto, volete scoprirlo anche voi? Vivete nella comunità e aprite il cuore al Signore, senza avanzare pretese, senza richiedere prove e il Signore si manifesterà anche a voi, questo è sicuro!
sabato 8 aprile 2017
Amore fedele - Riflessione sul Vangelo di domenica 9 aprile 2017
Eccoci alle soglie della Settimana Santa, la grande settimana, la settimana più importante dell'anno, quella in cui contempleremo tutto l'amore del Signore per noi.
La Domenica delle Palme apre questo tempo santo con due Vangeli: l'ingresso di Gesù a Gerusalemme accolto dalle folle dei discepoli in festa e il lungo racconto della Passione. Due pagine che sembrano in contrasto tra loro, prima la festa poi la condanna... Penso però che, ancora una volta, descrivano bene la nostra vita di fede. Quante volte, anche noi, abbiamo cercato e accolto il Signore nella nostra vita e poi, poco dopo, lo abbiamo rinnegato, escluso, dimenticato.
Soffermiamoci sul lungo racconto della Passione, centro di tutta questa grande settimana. Preferiremmo passare subito oltre, arrivare subito alla Pasqua, non ci piace ascoltare il racconto dei patimenti del Signore Gesù, quella grande sofferenza ci fa paura, ancora di più quando consideriamo che è dono d'amore per noi, che il Signore si è lasciato inchiodare alla croce per salvarci.
La Passione secondo Matteo, che ascoltiamo quest'anno, si apre con il tradimento di Giuda, l'amico, uno dei Dodici, uno di cui Gesù si era fidato, proprio lui lo tradisce, lo vende per trenta monete d'argento. Anche Pietro, poco dopo, pur avendo giurato di seguirlo fino alla morte, davanti a una giovane serva si impaurisce e lo rinnega. Ecco tutta la nostra fragilità umana, ci siamo anche noi in Giuda e Pietro, anche noi rinneghiamo e tradiamo Gesù ogni volta che decidiamo di fare di testa nostra, di decidere da soli ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, ciò che è bene e ciò che è male.
Nel testo poi ritorna più volte una annotazione "affinché si compisse la Scrittura". Tutta la Passione del Signore non è altro che la piena dimostrazione della sua fedeltà, del suo amore fedele per noi. Gesù è venuto a compiere la promessa di salvezza, quella promessa fatta ad Abramo, a Mosè, ai Profeti e a tutta l'umanità. anche davanti alla nostra infedeltà, anche davanti al nostro rifiuto, anche davanti alla nostra indifferenza Gesù rimane fedele, fedele alla sua promessa, fedele al suo amore per noi, fino alla fine, fino alla morte.
Contempliamo questo amore, proviamo, nelle celebrazioni di questa Settimana Santa, a ritrovare i segni di questa fedeltà, ascoltiamo con attenzione la Parola di Dio che ci verrà donata, consideriamo i gesti compiuti da Gesù, non solo come memoria di ciò che è avvenuto duemila anni fa, ma riconoscendoli nella nostra vita. Allontaniamo la paura di scoprirci infedeli al suo amore, di riconoscerci ingrati e a volte anche traditori, il Signore resta fedele, sempre. Quando ci sentiamo abbandonati da tutti, quando ci sembra che nessuno ci possa capire ricordiamoci che il Signore è lì, accanto a noi, è sceso nel profondo di ogni nostro dolore, di ogni nostra sofferenza, nell'ingiustizia e nel male più profondo per esserci accanto sempre, in ogni momento, per non lasciarci mai.
La Domenica delle Palme apre questo tempo santo con due Vangeli: l'ingresso di Gesù a Gerusalemme accolto dalle folle dei discepoli in festa e il lungo racconto della Passione. Due pagine che sembrano in contrasto tra loro, prima la festa poi la condanna... Penso però che, ancora una volta, descrivano bene la nostra vita di fede. Quante volte, anche noi, abbiamo cercato e accolto il Signore nella nostra vita e poi, poco dopo, lo abbiamo rinnegato, escluso, dimenticato.
Soffermiamoci sul lungo racconto della Passione, centro di tutta questa grande settimana. Preferiremmo passare subito oltre, arrivare subito alla Pasqua, non ci piace ascoltare il racconto dei patimenti del Signore Gesù, quella grande sofferenza ci fa paura, ancora di più quando consideriamo che è dono d'amore per noi, che il Signore si è lasciato inchiodare alla croce per salvarci.
La Passione secondo Matteo, che ascoltiamo quest'anno, si apre con il tradimento di Giuda, l'amico, uno dei Dodici, uno di cui Gesù si era fidato, proprio lui lo tradisce, lo vende per trenta monete d'argento. Anche Pietro, poco dopo, pur avendo giurato di seguirlo fino alla morte, davanti a una giovane serva si impaurisce e lo rinnega. Ecco tutta la nostra fragilità umana, ci siamo anche noi in Giuda e Pietro, anche noi rinneghiamo e tradiamo Gesù ogni volta che decidiamo di fare di testa nostra, di decidere da soli ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, ciò che è bene e ciò che è male.
Nel testo poi ritorna più volte una annotazione "affinché si compisse la Scrittura". Tutta la Passione del Signore non è altro che la piena dimostrazione della sua fedeltà, del suo amore fedele per noi. Gesù è venuto a compiere la promessa di salvezza, quella promessa fatta ad Abramo, a Mosè, ai Profeti e a tutta l'umanità. anche davanti alla nostra infedeltà, anche davanti al nostro rifiuto, anche davanti alla nostra indifferenza Gesù rimane fedele, fedele alla sua promessa, fedele al suo amore per noi, fino alla fine, fino alla morte.
Contempliamo questo amore, proviamo, nelle celebrazioni di questa Settimana Santa, a ritrovare i segni di questa fedeltà, ascoltiamo con attenzione la Parola di Dio che ci verrà donata, consideriamo i gesti compiuti da Gesù, non solo come memoria di ciò che è avvenuto duemila anni fa, ma riconoscendoli nella nostra vita. Allontaniamo la paura di scoprirci infedeli al suo amore, di riconoscerci ingrati e a volte anche traditori, il Signore resta fedele, sempre. Quando ci sentiamo abbandonati da tutti, quando ci sembra che nessuno ci possa capire ricordiamoci che il Signore è lì, accanto a noi, è sceso nel profondo di ogni nostro dolore, di ogni nostra sofferenza, nell'ingiustizia e nel male più profondo per esserci accanto sempre, in ogni momento, per non lasciarci mai.
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