Molti di noi da bambini, ma forse anche da grandi, hanno partecipato almeno una volta a una caccia al tesoro, gioco abbastanza diffuso e sicuramente divertente il cui scopo è, appunto, ricercare il tesoro. Un mio caro amico con cui eravamo insieme catechisti dei ragazzi era bravissimo a organizzare cacce al tesoro, ci costringeva a correre da una parte all'altra del paese, a risolvere enigmi e a superare prove per riuscire a trovare il tesoro finale. Di solito si trattava di una scatola con qualche dolcetto o con un portachiavi per ciascun membro della squadra, poca cosa, ma la soddisfazione era essere arrivati a trovare il tesoro.
Forse non tutti hanno avuto la fortuna di incontrare animatori e catechisti così bravi da organizzare cacce al tesoro divertenti e coinvolgenti ma sicuramente tutti partecipiamo ogni giorno ad una vera e propria caccia al tesoro: la vita.
In fondo la vita è una caccia al tesoro dove il tesoro non è altro che la felicità. Ogni nostra attività non è altro che una ricerca della felicità, ogni nostra scelta è un tentativo di raggiungere il tesoro che il nostro cuore desidera.
Proprio come in una caccia al tesoro andiamo per tentativi, la cerchiamo nelle relazioni, nello studio, nell'impegno lavorativo e professionale, nelle amicizie, la cerchiamo anche nei beni materiali, nelle ricchezze, la cerchiamo in tutte le cose che ci danno l'impressione di farci stare bene ma non riusciamo a trovarla.
Possiamo andare avanti così tutta la vita, continuando a tentare, oppure possiamo chiedere a chi l'ha trovata: i santi!
I santi sono persone come noi, con le nostre stesse capacità, con vite simili alle nostre, che hanno vissuto fatiche, difficoltà e problemi come li viviamo noi, che hanno cercato anche loro la felicità e, ad un certo punto della loro vita l'hanno trovata. Proviamo allora a chiedere a loro: diteci, dov'è la felicità?
I santi sono davvero tantissimi, hanno vite tanto diverse ed esperienze le più disparate, eppure tutti sono felici, cercate quanto volete, non troverete mai nessun santo triste.
I santi, con le loro esperienze di vita ci dicono che la nostra felicità è Dio e lui soltanto. L'unico che può donare felicità alla nostra vita è il Signore e, dunque, per trovare la felicità basta aprire il cuore a lui, quindi dobbiamo imparare a evitare tutte quelle situazioni della vita quotidiana che ci portano a chiudere il nostro cuore, a ripiegarci su noi stessi.
Gesù ci ha tracciato la strada con le beatitudini e i santi l'hanno percorsa prima di noi così ora ci possono rassicurare che è quella giusta.
A noi sembra assurdo perché la strada che Gesù traccia passa proprio da quelle situazioni che vorremmo evitare perché pensiamo che possano solo portarci male e invece è proprio lì che troviamo la nostra beatitudine.
La gioia è nel sapersi riconoscere bisognosi di tutto, nel saper riconoscere la propria povertà perché ricchezza e superbia ci chiudono in noi stessi, ci fanno confidare solo nelle nostre capacità.
La gioia è nell'affrontare le situazioni difficili della vita, quelle che ci fanno piangere, perché sono quelle che ci fanno crescere, che ci plasmano, che ci rendono attenti agli altri.
La gioia è nella mitezza perché la prepotenza ci conduce alla solitudine.
La gioia è nella ricerca della giustizia perché la furbizia e la disonestà ci rende antipatici e infidi e nessuno vuole più starci accanto.
La gioia è nella misericordia perché anche noi abbiamo bisogno di sentirci amati e perdonati.
La gioia è nella purezza perché malizia e furbizia ci portano a considerare le persone che abbiamo accanto alla stregua di oggetti da sfruttare.
La gioia è nella pace perché litigi e guerre feriscono il cuore in modo indelebile.
La gioia è nella pazienza anche davanti all'ingiustizia subita perché la vendetta porta con sé tristezza e rabbia.
La gioia è nel vivere pienamente la nostra vita con il Signore Gesù, anche quando chi abbiamo accanto non ci capisce, non approva la nostra scelta, ci tratta male, ci perseguita, perché solo lui dona gioia vera alla nostra vita.
Se i santi fossero solo una decina potremmo pensare che siano stati solo un piccolo gruppo di matti ma sono migliaia e migliaia e tutti felici.
Lasciamoci guidare da loro, incamminiamoci per la strada delle beatitudini e troveremo il tesoro della nostra vita, l'amore di Dio per ciascuno di noi.
Pensieri e riflessioni di un prete carismatico felicissimo di scoprire ogni giorno l'amore fantasioso e tenerissimo di Dio!!!
sabato 31 ottobre 2015
sabato 24 ottobre 2015
Grida forte, il Signore ti ascolta - Riflessione sul Vangelo di domenica 25 ottobre 2015
Se dovessimo descrivere con un'immagine la vita ideale potremmo utilizzare l'immagine di una passeggiata in un bel parco in una bella giornata di sole, serena e tranquilla. Spesso però la nostra vita non assomiglia ad una bella passeggiata, ma piuttosto ad un percorso ad ostacoli, ad un corso di sopravvivenza, spesso ci sentiamo come in un vicolo cieco, schiacciati dalle difficoltà e dalle fatiche, dai problemi e dalle sofferenze. Ci troviamo a mendicare affetto e attenzione da chi abbiamo intorno, ci sembra di non avere nulla se non il bisogno di tutto.
Così doveva sentirsi Bartimeo, cieco e mendicante, schiacciato dalle fatiche imposte dalla sua cecità, costretto a sperare nel buon cuore di chi si trovava a passargli accanto.
Tutto cambiò il giorno in cui gli passò accanto Gesù e lui, con tutto il fiato che aveva in corpo gli gridò "Figlio di Davide, abbi pietà di me" e non si fermò nemmeno quando tutti gli dicevano di tacere. Bartimeo sapeva, in cuor suo, che solo Gesù l'avrebbe potuto salvare così non smise di gridare, anzi alzò ancora di più la voce. Gesù ascoltava non solo con le orecchie ma col cuore e non gli sfuggiva mai un grido di aiuto, un'invocazione fatta con fede. Si fermò e lo fece chiamare. Bartimeo balza in piedi e si libera dell'unica sua ricchezza, il mantello, è così sicuro che l'incontro con Gesù sarà la cosa più importante che possa capitargli, tutto il resto ormai non conta più nulla.
È più che ovvio quale sia la necessità di Bartimeo eppure Gesù gli chiede "cosa vuoi che io faccia per te?" Il Signore non ama imporre nulla a nessuno, vuole una relazione libera con chi ha dinanzi, vuole che sia Bartimeo a chiedergli la vista, in piena libertà. Così avviene ma la risposta di Gesù rivela che c'è un miracolo ben più grande del recupero della vista che è avvenuto nella vita di Bartimeo: la fede. Il dono che Bartimeo ha ricevuto in quel giorno non è stato la vista ma la fede, la relazione con Dio.
Gesù dice a Bartimeo: "la tua fede ti ha salvato". Gli sarebbe servita a ben poco la vista se poi la sua vita fosse tornata ad essere un vicolo cieco affollato di sofferenze e preoccupazioni. Bartimeo ha sentito parlare di Gesù, ha scelto di fidarsi di lui, di chiedergli la cosa di cui più aveva bisogno ma non aveva ancora capito che quando si è trovato davanti al Signore la cosa più importante già l'aveva: la fede in lui. Infatti poi Bartimeo inizia a seguirlo.
Il Signore passa anche nelle nostre vite, cammina sulle strade della nostra esistenza, lo stesso Signore che ha ridato la vista a Bartimeo, passa anche accanto a noi mentre elemosiniamo dagli altri affetto, attenzione, riconoscimento, fama. Tendiamo l'orecchio come ha fatto Bartimeo, siamo pronti a riconoscere il suo passo e non temiamo, anche noi, di gridare forte "Signore Gesù, abbi pietà di me!" Sì gridiamo forte, con la voce del nostro cuore, non temiamo di disturbarlo, anche se tante voci della nostra vita ci diranno di tacere, ci diranno che non siamo degni della sua attenzione, che Gesù non può certo interessarsi a dei poveracci come noi, ha altre cose più importanti da fare. Non diamo retta a queste voci e continuiamo a gridare "Abbi pietà di me!" Il Signore Gesù ascolta il grido del nostro cuore e non lo lascia cadere si ferma e ci chiama a sé per guarirci, per ridonarci la luce , per colmarci della sua grazia. Lo fa con la sua delicatezza e tenerezza, non abbiamo paura di osare, di chiedere tanto, fidiamoci pienamente di lui e Gesù guarirà la nostra vita, le nostre cecità, ci darà occhi nuovi, capaci di riconoscere il suo amore, la sua luce.
Forse ci hanno insegnato che non bisogna scomodare il Signore per le nostre piccolezze, forse ci hanno insegnato a chiedere senza aspettare che poi le nostre preghiere siano esaudite, forse ci hanno insegnato a rassegnarci a tirare avanti come siamo.
Gesù oggi passa nella tua vita, grida a lui, invoca la sua misericordia, sii pronto a lasciare tutto per lui, scoprirai che l'unica cosa importante è la fede in lui, la relazione con lui perché quando siamo con Lui abbiamo tutto ciò che ci occorre, tutto il resto non conta.
Così doveva sentirsi Bartimeo, cieco e mendicante, schiacciato dalle fatiche imposte dalla sua cecità, costretto a sperare nel buon cuore di chi si trovava a passargli accanto.
Tutto cambiò il giorno in cui gli passò accanto Gesù e lui, con tutto il fiato che aveva in corpo gli gridò "Figlio di Davide, abbi pietà di me" e non si fermò nemmeno quando tutti gli dicevano di tacere. Bartimeo sapeva, in cuor suo, che solo Gesù l'avrebbe potuto salvare così non smise di gridare, anzi alzò ancora di più la voce. Gesù ascoltava non solo con le orecchie ma col cuore e non gli sfuggiva mai un grido di aiuto, un'invocazione fatta con fede. Si fermò e lo fece chiamare. Bartimeo balza in piedi e si libera dell'unica sua ricchezza, il mantello, è così sicuro che l'incontro con Gesù sarà la cosa più importante che possa capitargli, tutto il resto ormai non conta più nulla.
È più che ovvio quale sia la necessità di Bartimeo eppure Gesù gli chiede "cosa vuoi che io faccia per te?" Il Signore non ama imporre nulla a nessuno, vuole una relazione libera con chi ha dinanzi, vuole che sia Bartimeo a chiedergli la vista, in piena libertà. Così avviene ma la risposta di Gesù rivela che c'è un miracolo ben più grande del recupero della vista che è avvenuto nella vita di Bartimeo: la fede. Il dono che Bartimeo ha ricevuto in quel giorno non è stato la vista ma la fede, la relazione con Dio.
Gesù dice a Bartimeo: "la tua fede ti ha salvato". Gli sarebbe servita a ben poco la vista se poi la sua vita fosse tornata ad essere un vicolo cieco affollato di sofferenze e preoccupazioni. Bartimeo ha sentito parlare di Gesù, ha scelto di fidarsi di lui, di chiedergli la cosa di cui più aveva bisogno ma non aveva ancora capito che quando si è trovato davanti al Signore la cosa più importante già l'aveva: la fede in lui. Infatti poi Bartimeo inizia a seguirlo.
Il Signore passa anche nelle nostre vite, cammina sulle strade della nostra esistenza, lo stesso Signore che ha ridato la vista a Bartimeo, passa anche accanto a noi mentre elemosiniamo dagli altri affetto, attenzione, riconoscimento, fama. Tendiamo l'orecchio come ha fatto Bartimeo, siamo pronti a riconoscere il suo passo e non temiamo, anche noi, di gridare forte "Signore Gesù, abbi pietà di me!" Sì gridiamo forte, con la voce del nostro cuore, non temiamo di disturbarlo, anche se tante voci della nostra vita ci diranno di tacere, ci diranno che non siamo degni della sua attenzione, che Gesù non può certo interessarsi a dei poveracci come noi, ha altre cose più importanti da fare. Non diamo retta a queste voci e continuiamo a gridare "Abbi pietà di me!" Il Signore Gesù ascolta il grido del nostro cuore e non lo lascia cadere si ferma e ci chiama a sé per guarirci, per ridonarci la luce , per colmarci della sua grazia. Lo fa con la sua delicatezza e tenerezza, non abbiamo paura di osare, di chiedere tanto, fidiamoci pienamente di lui e Gesù guarirà la nostra vita, le nostre cecità, ci darà occhi nuovi, capaci di riconoscere il suo amore, la sua luce.
Forse ci hanno insegnato che non bisogna scomodare il Signore per le nostre piccolezze, forse ci hanno insegnato a chiedere senza aspettare che poi le nostre preghiere siano esaudite, forse ci hanno insegnato a rassegnarci a tirare avanti come siamo.
Gesù oggi passa nella tua vita, grida a lui, invoca la sua misericordia, sii pronto a lasciare tutto per lui, scoprirai che l'unica cosa importante è la fede in lui, la relazione con lui perché quando siamo con Lui abbiamo tutto ciò che ci occorre, tutto il resto non conta.
sabato 17 ottobre 2015
Amore che si fa servizio - Riflessione sul Vangelo di Domenica 18 ottobre 2015
Tutti, nella vita, ci siamo trovati a dover obbedire agli ordini di qualcun altro, salvo pochi casi, è una situazione quotidiana per molti. Da bambini dovevamo obbedire a mamma e papà e fare quello che ci dicevano loro, poi abbiamo iniziato a dover obbedire agli insegnanti, poi al capoufficio e così via. Qualcuno si è adattato più volentieri, altri con un temperamento più ribelle hanno sopportato con meno pazienza, spesso però non avevamo altra scelta. Sono certo che tutti, almeno una volta nella vita, ci siamo trovati a dire "adesso è così, ma quando comanderò io le cose cambieranno!"
Nessuno, penso, sia del tutto immune al fascino del comando, tutti abbiamo ben chiara l'idea che è più importante chi comanda di più.
Anche gli apostoli erano di quest'idea, due di loro, Giacomo e Giovanni, chiedono apertamente a Gesù di riservargli i posti migliori, quelli alla sua destra e alla sua sinistra. Gli altri non erano da meno, infatti restano indignati per essere stati battuti sul tempo, l'avrebbero chiesto anche loro ma i due fratelli sono stati più veloci.
Ancora una volta, però, Gesù li rimprovera un po' e sorprende loro e noi ribaltando completamente la prospettiva: chi vuole essere davvero importante deve farsi il servo di tutti.
Questo ribaltamento di prospettiva forse ci può sorprendere un po' ma, in fondo, è qualcosa che già ben conosciamo.
Da bambini ci sembrava che i genitori ci comandassero solo per imporci la loro volontà, forse anche per farci dispetto e non permetterci di divertirci come volevamo. Non vedevamo, però, tutto quello che facevano per noi, non notavamo le ore di lavoro faticoso per provvedere alle necessità di tutta la famiglia, la fatica di tenere pulita e in ordine la casa.
Da studenti pensavamo che gli insegnanti provassero quasi un piacere perverso a riempirci di compiti e a terrorizzarci con interrogazioni e verifiche ma non vedevamo il tempo speso a preparare le lezioni, a correggere i compiti in classe, a elaborare nuovi modi di spiegare argomenti che ci risultavano più difficili da capire.
Da lavoratori pensiamo che i superiori si limitino a comandare per guadagnare di più e far fare a noi il lavoro che dovrebbero fare loro, non vediamo però che quello stesso capoufficio, che tanto disprezziamo, invece di uscire alle cinque del pomeriggio resta in azienda fino a tarda sera a finire il lavoro della giornata.
Ci sono anche genitori che comandano per limitare la libertà ai figli, insegnanti che terrorizzano gli studenti per il puro gusto di farlo e dirigenti che spadroneggiano per sentirsi importanti, ma sono cattivi genitori, cattivi insegnanti, cattivi dirigenti.
Chi vuole veramente svolgere al meglio il proprio compito di genitore, di insegnante, di dirigente, capisce ben presto che dovrà impegnarsi di più di quando era figlio, alunno, impiegato, e comprende che c'è un solo modo per svolgere bene un ruolo di responsabilità: l'amore.
L'amore, quello vero, si fa servizio, spinge a sacrificare le nostre comodità per le persone che ci sono affidate. L'amore spinge un papà ad andare ogni giorno al lavoro per provvedere ad ogni necessità dei figli, l'amore fa stare sveglio un insegnante fino a tardi a correggere i compiti degli alunni, l'amore fa restare in ufficio fino a notte fonda un dirigente per mantenere l'azienda in buone condizioni e poter continuare a pagare lo stipendio ai dipendenti (ok, di dirigenti così ce ne sono ben pochi, ma qualcuno c'è e sono quelli che fanno andare avanti davvero le aziende).
Gesù ci invita a cambiare prospettiva, a iniziare a pensare al comando non come alla possibilità di sfogo delle nostre mire megalomani ma come alla possibilità di vivere un amore che si fa concreto.
Come sempre, il Signore Gesù non ci insegna a parole ma, innanzi tutto, con i fatti. Lui che è Dio e che avrebbe tutti i diritti di comandarci senza muovere un solo dito, si è fatto uno di noi, si è messo al nostro servizio, ha preso su di sé le nostre sofferenze, ha fatto sua la nostra morte e ci ha donato la sua vita eterna. Gesù, con la sua vita, ci insegna a farci servi, a spenderci per i fratelli, ci mostra che questo è il vero modo di essere il primo.
Nella mia vita ho incontrato tante persone che comandano ma anche tante persone che si mettono a servizio, che hanno ruoli di comando e sono i primi a rimboccarsi le maniche. I primi, quelli che comandano, sono spesso persone sole, inavvicinabili, di cui tutti hanno timore e che cercano di evitare, i secondi sono sempre persone stimate, con cui si parla volentieri, che si sentono vicine e di cui ci si può fidare.
Dunque vale la pena cambiare prospettiva?
Sì, ne val la pena.
Se anche arrivassimo a comandare il mondo intero a cosa servirebbe se poi questo ci rendesse inavvicinabili, evitati da tutti?
Scegliamo di metterci al servizio gli uni degli altri
e la nostra vita troverà una nuova pace e una nuova serenità che non pensavamo nemmeno possibile perché staremo vivendo quello per cui siamo stati creati: l'amore.
Nessuno, penso, sia del tutto immune al fascino del comando, tutti abbiamo ben chiara l'idea che è più importante chi comanda di più.
Anche gli apostoli erano di quest'idea, due di loro, Giacomo e Giovanni, chiedono apertamente a Gesù di riservargli i posti migliori, quelli alla sua destra e alla sua sinistra. Gli altri non erano da meno, infatti restano indignati per essere stati battuti sul tempo, l'avrebbero chiesto anche loro ma i due fratelli sono stati più veloci.
Ancora una volta, però, Gesù li rimprovera un po' e sorprende loro e noi ribaltando completamente la prospettiva: chi vuole essere davvero importante deve farsi il servo di tutti.
Questo ribaltamento di prospettiva forse ci può sorprendere un po' ma, in fondo, è qualcosa che già ben conosciamo.
Da bambini ci sembrava che i genitori ci comandassero solo per imporci la loro volontà, forse anche per farci dispetto e non permetterci di divertirci come volevamo. Non vedevamo, però, tutto quello che facevano per noi, non notavamo le ore di lavoro faticoso per provvedere alle necessità di tutta la famiglia, la fatica di tenere pulita e in ordine la casa.
Da studenti pensavamo che gli insegnanti provassero quasi un piacere perverso a riempirci di compiti e a terrorizzarci con interrogazioni e verifiche ma non vedevamo il tempo speso a preparare le lezioni, a correggere i compiti in classe, a elaborare nuovi modi di spiegare argomenti che ci risultavano più difficili da capire.
Da lavoratori pensiamo che i superiori si limitino a comandare per guadagnare di più e far fare a noi il lavoro che dovrebbero fare loro, non vediamo però che quello stesso capoufficio, che tanto disprezziamo, invece di uscire alle cinque del pomeriggio resta in azienda fino a tarda sera a finire il lavoro della giornata.
Ci sono anche genitori che comandano per limitare la libertà ai figli, insegnanti che terrorizzano gli studenti per il puro gusto di farlo e dirigenti che spadroneggiano per sentirsi importanti, ma sono cattivi genitori, cattivi insegnanti, cattivi dirigenti.
Chi vuole veramente svolgere al meglio il proprio compito di genitore, di insegnante, di dirigente, capisce ben presto che dovrà impegnarsi di più di quando era figlio, alunno, impiegato, e comprende che c'è un solo modo per svolgere bene un ruolo di responsabilità: l'amore.
L'amore, quello vero, si fa servizio, spinge a sacrificare le nostre comodità per le persone che ci sono affidate. L'amore spinge un papà ad andare ogni giorno al lavoro per provvedere ad ogni necessità dei figli, l'amore fa stare sveglio un insegnante fino a tardi a correggere i compiti degli alunni, l'amore fa restare in ufficio fino a notte fonda un dirigente per mantenere l'azienda in buone condizioni e poter continuare a pagare lo stipendio ai dipendenti (ok, di dirigenti così ce ne sono ben pochi, ma qualcuno c'è e sono quelli che fanno andare avanti davvero le aziende).
Gesù ci invita a cambiare prospettiva, a iniziare a pensare al comando non come alla possibilità di sfogo delle nostre mire megalomani ma come alla possibilità di vivere un amore che si fa concreto.
Come sempre, il Signore Gesù non ci insegna a parole ma, innanzi tutto, con i fatti. Lui che è Dio e che avrebbe tutti i diritti di comandarci senza muovere un solo dito, si è fatto uno di noi, si è messo al nostro servizio, ha preso su di sé le nostre sofferenze, ha fatto sua la nostra morte e ci ha donato la sua vita eterna. Gesù, con la sua vita, ci insegna a farci servi, a spenderci per i fratelli, ci mostra che questo è il vero modo di essere il primo.
Nella mia vita ho incontrato tante persone che comandano ma anche tante persone che si mettono a servizio, che hanno ruoli di comando e sono i primi a rimboccarsi le maniche. I primi, quelli che comandano, sono spesso persone sole, inavvicinabili, di cui tutti hanno timore e che cercano di evitare, i secondi sono sempre persone stimate, con cui si parla volentieri, che si sentono vicine e di cui ci si può fidare.
Dunque vale la pena cambiare prospettiva?
Sì, ne val la pena.
Se anche arrivassimo a comandare il mondo intero a cosa servirebbe se poi questo ci rendesse inavvicinabili, evitati da tutti?
Scegliamo di metterci al servizio gli uni degli altri
e la nostra vita troverà una nuova pace e una nuova serenità che non pensavamo nemmeno possibile perché staremo vivendo quello per cui siamo stati creati: l'amore.
sabato 10 ottobre 2015
Al di sopra di tutto - Riflessione sul Vangelo di domenica 11 ottobre 2015
Qualche mattina fa sono andato con un amico a fare colazione al bar, un tipico cappuccino&cornetto, tutto romano. Arrivati però davanti al vassoio dei cornetti ecco il dilemma: meglio quello con la crema o quello con la marmellata, integrale col miele o il fagottino con le mele? Scelta importante perché prendendone uno avrei escluso tutti gli altri, e così è stato. La scelta di un cornetto per colazione, tutto sommato, non è una decisione così importante ma ci può aiutare a riflettere sul fatto che ogni giorno tutti ci troviamo di fronte a delle scelte, a volte piccole, a volte grandi e ogni scelta porta con sé una rinuncia, scegliendo una cosa rinunciamo a tutto il resto. A volte rinunciamo a poco, come a un secondo cornetto, altre volte, invece, le rinunce impegnative e che ci costano molto, un genitore che sceglie di passare la notte in bianco per vegliare il figlio con la febbre alta, il figlio che sceglie di rinunciare alle vacanze per accudire i genitori anziani. Altre ancora sono rinunce che facciamo sono per tutta la vita: quando scegliamo un corso di studi stiamo rinunciando a tutti gli altri, quando iniziamo un lavoro rinunciamo ad altre professioni. Ci sono poi le scelte fondamentali della nostra vita che implicano delle rinunce molto importanti, rinunce che vanno poi rinnovate ogni giorno: chi si sposa compie rinuncia ad avere altre relazioni di coppia mentre chi si consacra rinuncia ad avere una famiglia propria.
Ma cos'è che ci porta a fare queste scelte e a rinunciare anche a cose importanti e belle? Quale meccanismo c'è dietro ogni scelta?
Forse non ci siamo mai fermati a pensarci, non abbiamo mai trascritto una lista ma ciascuno di noi ha una propria classifica delle cose più importanti della sua vita ed è in base a questa classifica che facciamo le nostre scelte e le conseguenti rinunce. Tutto ciò che fa parte della nostra vita, anche se non ce ne accorgiamo, è ordinato in una lista di priorità, anche le cose più banali e quotidiane come il cornetto della colazione. Nella mia, per esempio il cornetto alla crema viene prima di quello alla marmellata, nella classifica di una mamma c'è prima la salute del suo bambino che il proprio riposo, nella lista di un marito c'è prima la felicità della sua famiglia che il suo bisogno di relax.
Se questa lista fosse scritta dovrebbe essere tenuta sotto stretta sorveglianza perché è da essa che dipende la nostra felicità, basta una scelta sbagliata e ci possiamo trovare ad affrontare fatiche, difficoltà, dispiaceri. Questa lista non scritta ma così importante, dovrebbe avere come criterio il bene autentico della persona, a volte, invece, disponiamo le diverse voci di questa lista non secondo ciò che realizza quello che siamo ma secondo i nostri capricci e i nostri istinti.
Come fare, allora, a riordinarla in modo corretto, secondo il criterio del nostro autentico bene?
È facile, basta solo mettere in cima alla lista l'unico che ci può rivelare il nostro vero bene, l'unico che ci può assicurare che tutto sia nell'ordine giusto: il Signore Gesù.
Nella Parola di Dio di questa domenica il Signore chiede a ciascuno di noi (sì, proprio a tutti, non solo ai consacrati) di mettere lui al numero uno della nostra lista, di imparare a pensarlo più importante di ogni altra cosa, persona, affetto, ricchezza. Rivolge anche a noi l'invito di rinunciare ad ogni nostra ricchezza, non solo materiale ma anche affettiva, perfino ad ogni nostra ricchezza spirituale per poter seguire lui. Probabilmente sembra una richiesta eccessiva, esagerata, possiamo aver paura che accettare tale richiesta ci proietti in una situazione di precarietà economica, affettiva, di completa incertezza, che ci impedisca di avere una vita serena e tranquilla.
Invece è proprio il contrario! Finché alla cima della nostra lista non ci sarà il Signore Gesù tutta la nostra vita sarà incerta, fragile, debole, perché appoggiata sulle nostre deboli capacità, perché in balia dei nostri desideri volubili. Se invece mettiamo il Signore Gesù al primo posto, se lasciamo che sia il suo amore il criterio per ogni nostra scelta, allora la nostra vita sarà salda e sicura.
Ma che significa mettere il Signore Gesù al primo posto?
Noi consacrati abbiamo scelto di accettare questo invito non solo come intenzione del cuore ma anche come scelta pratica di vita. Abbiamo scelto di rinunciare ad una famiglia nostra, ad una carriera, ad avere ricchezze e proprietà. È una scelta che dobbiamo rinnovare ogni giorno, qualche giorno è una scelta facile, altri giorni è una rinuncia faticosa e dolorosa, ma il Signore è fedele alle sue promesse e veramente dona il cento per uno a chi si fida di lui, a chi sceglie di metterlo al primo posto.
Ma per un laico che significa metterlo al primo posto?
Per un marito mettere il Signore Gesù al primo posto, anche al di sopra dell'amore per la propria moglie, significa ritrovarsi proprio l'amore della propria moglie centuplicato. Per un giovane mettere l'amore del Signore Gesù al di sopra delle proprie ambizioni di soddisfazione professionale significa ritrovarsi una vita piena di soddisfazioni inattese e insperate. Per una mamma mettere il Signore Gesù al di sopra dell'amore per il proprio figlio significa saperlo riconoscere come un dono di Dio e non come una proprietà, saperne riconoscere la preziosità al di là delle sue capacità o dei suoi successi.
Scegliere di mettere il Signore Gesù al di sopra di tutto non è facile, ci costa fatica perché dobbiamo lottare contro le nostre insicurezze e le nostre paure, dobbiamo fidarci di una promessa che vedremo realizzata solo dopo che avremo fatto noi la scelta, ma ne vale la pena! Nessuno a questo mondo potrà mai darci la vita eterna, solo il Signore Gesù!
Ma cos'è che ci porta a fare queste scelte e a rinunciare anche a cose importanti e belle? Quale meccanismo c'è dietro ogni scelta?
Forse non ci siamo mai fermati a pensarci, non abbiamo mai trascritto una lista ma ciascuno di noi ha una propria classifica delle cose più importanti della sua vita ed è in base a questa classifica che facciamo le nostre scelte e le conseguenti rinunce. Tutto ciò che fa parte della nostra vita, anche se non ce ne accorgiamo, è ordinato in una lista di priorità, anche le cose più banali e quotidiane come il cornetto della colazione. Nella mia, per esempio il cornetto alla crema viene prima di quello alla marmellata, nella classifica di una mamma c'è prima la salute del suo bambino che il proprio riposo, nella lista di un marito c'è prima la felicità della sua famiglia che il suo bisogno di relax.
Se questa lista fosse scritta dovrebbe essere tenuta sotto stretta sorveglianza perché è da essa che dipende la nostra felicità, basta una scelta sbagliata e ci possiamo trovare ad affrontare fatiche, difficoltà, dispiaceri. Questa lista non scritta ma così importante, dovrebbe avere come criterio il bene autentico della persona, a volte, invece, disponiamo le diverse voci di questa lista non secondo ciò che realizza quello che siamo ma secondo i nostri capricci e i nostri istinti.
Come fare, allora, a riordinarla in modo corretto, secondo il criterio del nostro autentico bene?
È facile, basta solo mettere in cima alla lista l'unico che ci può rivelare il nostro vero bene, l'unico che ci può assicurare che tutto sia nell'ordine giusto: il Signore Gesù.
Nella Parola di Dio di questa domenica il Signore chiede a ciascuno di noi (sì, proprio a tutti, non solo ai consacrati) di mettere lui al numero uno della nostra lista, di imparare a pensarlo più importante di ogni altra cosa, persona, affetto, ricchezza. Rivolge anche a noi l'invito di rinunciare ad ogni nostra ricchezza, non solo materiale ma anche affettiva, perfino ad ogni nostra ricchezza spirituale per poter seguire lui. Probabilmente sembra una richiesta eccessiva, esagerata, possiamo aver paura che accettare tale richiesta ci proietti in una situazione di precarietà economica, affettiva, di completa incertezza, che ci impedisca di avere una vita serena e tranquilla.
Invece è proprio il contrario! Finché alla cima della nostra lista non ci sarà il Signore Gesù tutta la nostra vita sarà incerta, fragile, debole, perché appoggiata sulle nostre deboli capacità, perché in balia dei nostri desideri volubili. Se invece mettiamo il Signore Gesù al primo posto, se lasciamo che sia il suo amore il criterio per ogni nostra scelta, allora la nostra vita sarà salda e sicura.
Ma che significa mettere il Signore Gesù al primo posto?
Noi consacrati abbiamo scelto di accettare questo invito non solo come intenzione del cuore ma anche come scelta pratica di vita. Abbiamo scelto di rinunciare ad una famiglia nostra, ad una carriera, ad avere ricchezze e proprietà. È una scelta che dobbiamo rinnovare ogni giorno, qualche giorno è una scelta facile, altri giorni è una rinuncia faticosa e dolorosa, ma il Signore è fedele alle sue promesse e veramente dona il cento per uno a chi si fida di lui, a chi sceglie di metterlo al primo posto.
Ma per un laico che significa metterlo al primo posto?
Per un marito mettere il Signore Gesù al primo posto, anche al di sopra dell'amore per la propria moglie, significa ritrovarsi proprio l'amore della propria moglie centuplicato. Per un giovane mettere l'amore del Signore Gesù al di sopra delle proprie ambizioni di soddisfazione professionale significa ritrovarsi una vita piena di soddisfazioni inattese e insperate. Per una mamma mettere il Signore Gesù al di sopra dell'amore per il proprio figlio significa saperlo riconoscere come un dono di Dio e non come una proprietà, saperne riconoscere la preziosità al di là delle sue capacità o dei suoi successi.
Scegliere di mettere il Signore Gesù al di sopra di tutto non è facile, ci costa fatica perché dobbiamo lottare contro le nostre insicurezze e le nostre paure, dobbiamo fidarci di una promessa che vedremo realizzata solo dopo che avremo fatto noi la scelta, ma ne vale la pena! Nessuno a questo mondo potrà mai darci la vita eterna, solo il Signore Gesù!
sabato 3 ottobre 2015
Questione di cuore - Riflessione sul Vangelo di domenica 4 ottobre 2015
La Parola di Dio di questa domenica ci presenta due cuori: il cuore di Dio e il cuore dell'uomo.
C'è il cuore di Dio che è amore, che si prende cura delle sue creature, che non vuole che l'uomo resti solo, per questo crea gli animali e, da ultimo, crea la donna "perché l'uomo abbia un aiuto che gli sia simile". Il cuore di Dio è un cuore che ama e che insegna ad amare perché è l'amore la linfa della nostra vita, senza amore non si può vivere.
Poi c'è il cuore dell'uomo, un cuore inaridito come il terreno del deserto, secco, screpolato, sterile, duro. Ogni giorno ognuno di noi affronta difficoltà, problemi, dolori e fatiche che, come il forte sole del deserto, lo inaridiscono e induriscono. Proprio come un terreno secco diventa impermeabile all'acqua, il nostro cuore diventa incapace di accogliere l'amore che è ciò che ci rende fecondi, capaci di donarci e capaci di gioire. Tutto questo non avviene in due giorni, ha tempi molto più lunghi, l'inaridimento del cuore è molto graduale, tanto che spesso non ce ne accorgiamo se non quando è già molto tardi, quando abbiamo smesso di voler bene alle persone che abbiamo accanto, quando ci siamo chiusi in noi stessi, convinti che nessuno possa comprenderci e condividere le nostre sofferenze, quando ormai ci sentiamo soli.
Chi ha il cuore indurito, incapace di amare, è anche incapace di riconoscere il disegno d'amore di Dio, di capire il proprio compito, lo scopo della propria vita, comincia a pensare di essere inutile, di non valere gran ché lasciando campo libero alla tristezza e allo scoraggiamento. Qualcuno tenta di reagire con un impegno maggiore per auto affermarsi ma questo fa solo crescere l'arroganza, la superbia e l'egoismo che chiudono ancora di più in se stessi.
Gesù sa bene quanto possa essere ostinato e sterile un cuore duro, quanto possa essere cieco, incapace di contemplare la bellezza dell'amore di Dio, di lasciarsene conquistare per viverlo pienamente, ad iniziare proprio dalle relazioni più importanti e intime. Sa che un cuore duro cercherà di farsi norme e leggi a proprio uso e consumo, per potersi giustificare, per poter dire di essere in regola, per poter mettere a tacere la coscienza, senza per altro riuscirci davvero. È questa la condizione dei farisei che chiedono a Gesù se sia lecito ripudiare la propria moglie come la Legge di Mosè concedeva.
Ancora una volta, Gesù non risponde direttamente alla domanda ma riporta lo sguardo sul disegno di Dio, sul suo amore, su ciò che è il nostro bene, su ciò che è la verità della nostra vita.
Non siamo venuti al mondo per caso, per fare quello che ci va di fare, siamo venuti al mondo per amare, per donarci, per spendere la nostra vita a servizio degli altri e se non viviamo così, viviamo male.
Gesù non ci abbandona nell'aridità del nostro cuore, ci indica la strada per farlo rifiorire, per renderlo accogliente, nuovamente capace di amare: amare come fanno i bambini, con gratuità e innocenza.
Ci insegna che l'amore vero non è quello che prende ma quello che dona, se vogliamo essere veramente felici non dobbiamo pretendere che gli altri facciano quello che vogliamo noi ma dobbiamo essere noi a donare la vita per loro. Se questo ci fa fatica, se proviamo un moto di ribellione nel pensare di doverci donare a chi abbiamo accanto è perché nel nostro cuore è già in atto un processo di desertificazione, si sta indurendo perché non lo abbiamo irrorato a sufficienza di amore di Dio. Prendiamoci un po' di tempo nella nostra giornata, tutti possiamo ritagliarci qualche decina di minuti per metterci davanti a Dio, presentargli le nostre sofferenze, le nostre ferite, le nostre preoccupazioni. Lasciamoci amare da Lui, lasciamoci consolare, lasciamoci irrigare il cuore del suo amore. Possiamo leggere un salmo, un brano del Vangelo, possiamo pregare una decina del rosario, possiamo ripetere una preghiera a cui siamo affezionati fin da bambini, tanti possono essere i modi con cui metterci davanti a Dio. L'importante è lasciarci amare da Lui, permettergli di trasformare il nostro cuore, di renderlo nuovamente fecondo, ancora capace di donarsi ai fratelli con la semplicità e la spontaneità dei bambini.
Ne vale la pena? Sono convinto di sì e lo sono anche tutti i santi che, con la loro vita ci dimostrano che la durezza di cuore non ha mai portato la felicità a nessuno, lasciarsi, invece, irrigare dall'amore di Dio dona gioia vera.
C'è il cuore di Dio che è amore, che si prende cura delle sue creature, che non vuole che l'uomo resti solo, per questo crea gli animali e, da ultimo, crea la donna "perché l'uomo abbia un aiuto che gli sia simile". Il cuore di Dio è un cuore che ama e che insegna ad amare perché è l'amore la linfa della nostra vita, senza amore non si può vivere.
Poi c'è il cuore dell'uomo, un cuore inaridito come il terreno del deserto, secco, screpolato, sterile, duro. Ogni giorno ognuno di noi affronta difficoltà, problemi, dolori e fatiche che, come il forte sole del deserto, lo inaridiscono e induriscono. Proprio come un terreno secco diventa impermeabile all'acqua, il nostro cuore diventa incapace di accogliere l'amore che è ciò che ci rende fecondi, capaci di donarci e capaci di gioire. Tutto questo non avviene in due giorni, ha tempi molto più lunghi, l'inaridimento del cuore è molto graduale, tanto che spesso non ce ne accorgiamo se non quando è già molto tardi, quando abbiamo smesso di voler bene alle persone che abbiamo accanto, quando ci siamo chiusi in noi stessi, convinti che nessuno possa comprenderci e condividere le nostre sofferenze, quando ormai ci sentiamo soli.
Chi ha il cuore indurito, incapace di amare, è anche incapace di riconoscere il disegno d'amore di Dio, di capire il proprio compito, lo scopo della propria vita, comincia a pensare di essere inutile, di non valere gran ché lasciando campo libero alla tristezza e allo scoraggiamento. Qualcuno tenta di reagire con un impegno maggiore per auto affermarsi ma questo fa solo crescere l'arroganza, la superbia e l'egoismo che chiudono ancora di più in se stessi.
Gesù sa bene quanto possa essere ostinato e sterile un cuore duro, quanto possa essere cieco, incapace di contemplare la bellezza dell'amore di Dio, di lasciarsene conquistare per viverlo pienamente, ad iniziare proprio dalle relazioni più importanti e intime. Sa che un cuore duro cercherà di farsi norme e leggi a proprio uso e consumo, per potersi giustificare, per poter dire di essere in regola, per poter mettere a tacere la coscienza, senza per altro riuscirci davvero. È questa la condizione dei farisei che chiedono a Gesù se sia lecito ripudiare la propria moglie come la Legge di Mosè concedeva.
Ancora una volta, Gesù non risponde direttamente alla domanda ma riporta lo sguardo sul disegno di Dio, sul suo amore, su ciò che è il nostro bene, su ciò che è la verità della nostra vita.
Non siamo venuti al mondo per caso, per fare quello che ci va di fare, siamo venuti al mondo per amare, per donarci, per spendere la nostra vita a servizio degli altri e se non viviamo così, viviamo male.
Gesù non ci abbandona nell'aridità del nostro cuore, ci indica la strada per farlo rifiorire, per renderlo accogliente, nuovamente capace di amare: amare come fanno i bambini, con gratuità e innocenza.
Ci insegna che l'amore vero non è quello che prende ma quello che dona, se vogliamo essere veramente felici non dobbiamo pretendere che gli altri facciano quello che vogliamo noi ma dobbiamo essere noi a donare la vita per loro. Se questo ci fa fatica, se proviamo un moto di ribellione nel pensare di doverci donare a chi abbiamo accanto è perché nel nostro cuore è già in atto un processo di desertificazione, si sta indurendo perché non lo abbiamo irrorato a sufficienza di amore di Dio. Prendiamoci un po' di tempo nella nostra giornata, tutti possiamo ritagliarci qualche decina di minuti per metterci davanti a Dio, presentargli le nostre sofferenze, le nostre ferite, le nostre preoccupazioni. Lasciamoci amare da Lui, lasciamoci consolare, lasciamoci irrigare il cuore del suo amore. Possiamo leggere un salmo, un brano del Vangelo, possiamo pregare una decina del rosario, possiamo ripetere una preghiera a cui siamo affezionati fin da bambini, tanti possono essere i modi con cui metterci davanti a Dio. L'importante è lasciarci amare da Lui, permettergli di trasformare il nostro cuore, di renderlo nuovamente fecondo, ancora capace di donarsi ai fratelli con la semplicità e la spontaneità dei bambini.
Ne vale la pena? Sono convinto di sì e lo sono anche tutti i santi che, con la loro vita ci dimostrano che la durezza di cuore non ha mai portato la felicità a nessuno, lasciarsi, invece, irrigare dall'amore di Dio dona gioia vera.
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