Abbiamo già molte volte avuto modo di notare come le abitudini della nostra vita quotidiana passino anche nella nostra relazione con Dio. Non sorprendiamoci, allora, se ripensando al nostro modo di pregare vi ritroviamo tratti tipici della burocrazia. Pensiamo alla preghiera come a una procedura per richiedere grazie speciali, qualcosa da eseguire in modo corretto, qualcosa di stabilito, schematico, obbligatorio, tanto che se un giorno ci dimentichiamo di "dire le preghiere" ci chiediamo (o lo chiediamo al parroco) se dobbiamo ricominciare tutto da capo, se Dio mi ascolterà lo stesso, se otterrò comunque quello che chiedo... Sono esagerato? L'esperienza mi dice di no!

Perché allora a volte ci sembra di non essere ascoltati?
La risposta è nella domanda che chiude la pagina di Vangelo di questa domenica: "Ma, il Figlio dell'uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?" A prima vista appare una domanda che non ha alcun legame con la parabola appena raccontata, invece ne è la chiave di lettura. La preghiera, quella vera, è possibile solo nella fede, cioè nella relazione di fiducia col Padre e il Figlio nello Spirito. La fede non è semplice ammissione dell'esistenza di Dio,è desiderio di dialogo con lui, è fiducia nella sua Parola, nelle sue promesse. La preghiera è dunque il dialogo della fede, è lo spazio in cui apriamo il cuore a Dio, in cui gli consegniamo la nostra vita, senza bisogno di domande in carta bollata ma con la certezza che Egli compirà la sua promessa di salvezza sempre e comunque, anche se tutto ciò che ci circonda sembra dirci il contrario. Preghiamo incessantemente, dunque, non come se stessimo compilando moduli ma nel dialogo d'amore con un Padre fedele che non ci abbandona mai, che tutto ha già disposto per la nostra gioia, per la nostra pienezza, per la nostra vita eterna.
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