Davanti ad alcune pagine di Vangelo d'istinto ci potrebbe venire da chiederci "ma quel giorno Gesù si era alzato male?". Tutti abbiamo le nostre giornate no, quelle in cui siamo un po' più suscettibili e un po' più nervosi ed esigenti. Così ci viene da pensare che forse anche il Signore ha passato giornate così e forse proprio in quelle ha fatto discorsi che siamo disposti ad accogliere solo con molta fatica.
È forse il caso della pagina di Vangelo di questa domenica: prima Gesù afferma chiaro e tondo che se vogliamo essere suoi discepoli dobbiamo amare lui più di ogni altro, più dei genitori, più dei figli, dei fratelli e perfino più della nostra stessa vita. Aggiunge poi una seconda clausola: prendere la propria croce e seguirlo. Se poi avessimo ancora dei dubbi ci avverte con una parabola di valutare bene prima di fare scelte che poi non possiamo portare a termine. "Gesù ti preferivo quando parlavi di pace e accoglienza!" Ci viene da dire.
Attenzione! Ricordiamo sempre che c'è una sola cosa che sta a cuore al Signore Gesù: la nostra salvezza! E ce l'ha così a cuore che si è fatto inchiodare a una croce! Ricordiamo anche che non cerca di complicarci la vita, quello siamo bravissimi a farlo da soli, al contrario, vuole semplificarcela, facendoci riconoscere i nostri errori.
Proviamo allora a leggere in quest'ottica questa difficile pagina di Vangelo.
Nella vita ciascuno di noi ha delle persone che ama più delle altre, quasi sempre sono gli affetti familiari, quelli con cui abbiamo legami di sangue, quelli con cui abbiamo trascorso la maggior parte della nostra vita, che si sono presi cura di noi, di cui noi ci siamo presi cura. Amare queste persone è per noi del tutto naturale, ma le amiamo di un amore terreno spesso fragile, incompleto. A volte ci accorgiamo di non essere capaci di amare come vorremmo, che vorremmo poter fare di più perché intuiamo che è in un amore senza limiti che possiamo trovare tutta la nostra gioia e pienezza.
Quando Gesù ci dice "Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo." ci sta offrendo proprio la possibilità di amare le persone a noi più care, ma anche tutte le altre che incontriamo ogni giorno sul nostro cammino, in un modo nuovo, come lui ha amato noi, donando se stesso e insegnando a noi a fare lo stesso.
Ecco allora che la croce non è uno strumento di tortura, quando Gesù ci dice: "Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo" non ci sta invitando a scegliere un modo per soffrire, ci sta indicando il luogo per amare pienamente. La croce di Gesù non è il simbolo della sua sofferenza ma il luogo del suo amore pieno e totale. La croce della nostra vita non è qualunque cosa ci faccia male, è invece quella situazione, quell'ambito, della nostra vita in cui dobbiamo rinunciare a noi stessi per amore degli altri. Nella croce, così come la intente Gesù, c'è si sofferenza ma c'è soprattutto amore, amore puro, amore donato. È croce il sonno di una mamma che si alza alle tre del mattino nutrire il figlio neonato, è croce la stanchezza di un padre che va al lavoro per provvedere alle necessità della famiglia, è croce la fatica e lo sforzo di un giovane che studia perché vuole dare il suo contributo a rendere il mondo un posto migliore, è croce l'impegno di un catechista che vuole annunciare Cristo ai bambini che gli sono affidati.
Ecco, in questa prospettiva la pagina di Vangelo di questa domenica cambia molto! Gesù non è arrabbiato o scocciato, non è severo perché pretende perfezione, è esigente perché l'amore è di sua natura esigente!
Nessun commento:
Posta un commento