Ascoltando le confessioni, le confidenze, gli sfoghi di tante persone ho compreso da tempo che nella vita di ciascuno di noi arriva il momento in cui ci sembra che tutto ci crolli addosso, ci troviamo privati delle poche sicurezze che avevamo, degli affetti e, sebbene siamo circondati di tante persone, ci sentiamo soli, la nostra vita sembra un corteo funebre verso la tomba.
In questa condizione si trovava la vedova di Nain del Vangelo di questa domenica mentre portava al cimitero il cadavere del suo unico figlio. Sola, privata dell'unico affetto che le era rimasto, privata anche dell'unico che potesse garantirle dei diritti, che potesse prendersi cura di lei. Tutto cambia, però, quando il Signore Gesù incrocia la sua strada, ne prova grande compassione, la consola e la invita a non piangere, tocca la bara del figlio, lo fa tornare in vita e lo restituisce alla madre. Tutti i presenti restano profondamente stupiti e meravigliati e glorificano Dio, riconoscendo in Gesù Dio stesso che visita il suo popolo.
Anche noi restiamo stupiti davanti al racconto di questo miracolo, poi però ci troviamo a pensare che non è sempre così, che ogni giorno nel mondo ci sono madri vedove che portano il figlio al cimitero, che ogni giorno c'è tanta gente che soffre e non riceve miracoli. Tanta gente buona! Sì, perché che la gente cattiva soffra ci sembra quasi giusto, ma che debba soffrire un innocente, una persona buona, non ci sembra giusto. Così ci troviamo a chiedere: perché, Signore? Perché alcuni ricevono il miracolo e altri no?
Non ci accorgiamo che l'errore è proprio nella domanda, anzi, nella prospettiva in cui facciamo una domanda del genere. Chiedere perché? è molto umano ma anche molto terreno, è centrare tutta la nostra attenzione su una soddisfazione immediata dei nostri bisogni. Puntiamo tutta l'attenzione sul fatto che il ragazzo sia tornato in vita e non ci concentriamo sulla cosa più importante: la grande compassione del Signore Gesù!
Ciò che è veramente importante in questo episodio non è il miracolo ma l'amore del Signore Gesù che comprende profondamente, visceralmente, il dolore di questa donna, che la consola, le si fa vicino, non tiene conto delle convenzioni sociali e religiose secondo cui non avrebbe dovuto toccare la bara per non contaminarsi. Al Signore Gesù interessa una sola cosa: consolare la donna.
Noi guardiamo al figlio che torna alla vita perché continuiamo a considerare le cose dal punto di vista terreno, perché consideriamo ancora solo la nostra vita su questa terra e non ragioniamo nei termini della vita eterna. Se però cerchiamo di pensare che la nostra vita non si conclude con la tomba, che la nostra vera patria è nei Cieli, ci rendiamo conto che ciò che conta non è quanti anni trascorriamo su questa terra ma quanto amiamo il Signore Gesù, quanto ci lasciamo amare da Lui.
Nelle difficoltà della vita, nelle sofferenze, non chiediamo al Signore che ce le tolga ma lasciamoci consolare da Lui, l'unico miracolo che dobbiamo cercare, attendere, desiderare è il suo amore misericordioso. Che poi i nostri guai si risolvano come vogliamo noi o no è del tutto secondario, ciò che conta davvero è che il Signore è accanto a noi, ci consola e sostiene, ci ama di amore infinito.
Non è un passaggio semplice, non è facile smettere di ragionare in termini terreni e iniziare a ragionare in termini di vita eterna ma questa è la vera conversione, il cambiare modo di pensare.
In questo anno della misericordia la Chiesa ci invita a contemplare proprio l'amore misericordioso del Padre per ciascuno di noi che si è fatto accanto a noi in Cristo Gesù, morto e risorto per noi. Non perdiamo questa occasione preziosa e in ogni difficoltà della vita permettiamo al Signore di consolarci con la sua grazia.
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