Io penso che quello che fa bella una vita sono le relazioni. Non quanti soldi ho ma a quante persone voglio bene?
Ciò che dà colore alla nostra vita sono proprio le relazioni che abbiamo. Eppure quanto è difficile vivere relazioni vere, quanta fatica facciamo ad aprirci, a donarci veramente all'altro. Spesso ci ritroviamo a rinchiuderci in noi stessi, a portare avanti amicizie solo di facciata, minate dalla menzogna e dal pregiudizio. Abbiamo difficoltà anche a voler bene alle persone più care e spesso ci sembra di essere soli, incapaci di amare, di voler bene. Uno dei mali più diffusi nella nostra società è proprio la solitudine. Sembra un paradosso, oggi che siamo nell'era dei social network, oggi che abbiamo molti mezzi a disposizione per comunicare tra noi, ci sentiamo molto più soli di quanto si sentivano i nostri nonni.
Non siamo più capaci ad amare veramente, ad amare donandoci completamente, la nostra affettività è ferita e ci porta a vivere in modo sempre più chiuso e isolato.
La pagina di Vangelo di questa domenica ci presenta due donne accomunate da una condizione analoga. C'è la figlia del capo della sinagoga che ha dodici anni, sta concludendo la sua infanzia e sta diventando feconda, entra nell'età in cui, all'epoca di Gesù, una ragazza era pronta per il matrimonio, per avere una famiglia. A noi oggi sembra troppo piccola per cominciare già a pensare al matrimonio ma consideriamo che la cultura dell'epoca era ben diversa dalla nostra, per cui non giudichiamo.
Questa ragazzina sta morendo, nel momento in cui entra nell'età per realizzare la propria vita relazionale, la sua esistenza sembra interrompersi bruscamente.
Poi c'è una donna adulta la quale da dodici anni ha continue perdite di sangue e secondo la legge mosaica questo la rende inavvicinabile, nemmeno a lei è possibile prendere marito.
Sono due donne ferite nella loro affettività, c'è qualcosa che impedisce loro di avere relazioni vere e autentiche.
In loro possiamo ritrovare noi stessi. Ciascuno di noi è come la figlia di Giairo quando lasciamo che le nostre sofferenze ci portino a interrompere ogni relazione autentica, quando ci rinchiudiamo in noi stessi, continuiamo a relazionarci con gli altri ma lo facciamo solo in modo superficiale e semplicemente perché non ne possiamo fare a meno. So che sembra un quadro brutto ma so quante persone vivono con la morte nel cuore.
Ma ciascuno di noi è anche come la donna che ha speso tutto quello che aveva chiedendo guarigione a molti medici e peggiorando solo la sua situazione. Siamo come lei quando svendiamo le nostre idee, i nostri principi, perfino il nostro corpo, pur di trovare qualcuno che ci dia un po' di attenzione, ma anche questo non fa che peggiorare la nostra solitudine.
Ma allora siamo condannati ad una vita solitaria? No, non lo siamo. Dobbiamo solo fare quello che hanno fatto le due donne del Vangelo, toccare l'unico che ci può salvare da tutto questo, l'unico che può risanare la nostra affettività, l'unico che ci insegna ad amare davvero, amandoci davvero: il Signore Gesù.
Nessuna parte della nostra vita è fatta a compartimenti stagni, nemmeno la nostra relazionalità. Le nostre relazioni sono tutte connesse tra loro, semplicemente perché partono dall'unico cuore che abbiamo. Per vivere bene tutte le relazioni dobbiamo, allora, vivere bene la relazione più importante della nostra vita: la relazione con Dio, la relazione con colui che ci ha creato, con colui che ci ha salvato, con colui che ci dona continuamente vita.
Abbiamo bisogno della relazione con Dio per vivere ogni altra relazione e questo non vale solo per i preti e le suore, vale per ogni persona umana! Nessuno di noi sa amare da solo, amiamo perché siamo stati amati e le nostre incapacità di amare nascono sempre da ferite d'amore, da eventi o situazioni in cui non ci siamo sentiti amati o, peggio, ci siamo sentiti odiati.
Torniamo, allora,con fede alla relazione con Dio, allunghiamo la nostra mano per toccarlo con la certezza che il Signore Gesù ci guarisce subito, che l'incontro con il suo amore immenso e misericordioso ci fa risorgere da quella morte del cuore in cui siamo immersi da tanto tempo.
Servono solo due cose: l'umiltà di riconoscerci bisognosi di lui, come hanno fatto Giairo e la donna malata, e la fiducia che lui solo ci può salvare.
Gesù entra nella nostra vita, ci risana amandoci e amandoci ci insegna ad amare come ama lui, questa è una vita davvero bella!