"C'era una volta, in un regno lontano lontano..." le favole che ci raccontavano quando eravamo bambini iniziavano così e si concludevano "e vissero sempre felici e contenti". Così, noi che siamo cresciuti in una Repubblica, ci siamo fatti l'idea che un regno sia un luogo ideale e favoloso (nel senso più letterale del termine), dove tutti vorremmo vivere ma anche completamente irreale, una bella favola, appunto, in cui rifugiarci con la fantasia. Fin qui nulla di male, le favole fanno bene ai bambini non dobbiamo però rimanere imprigionati in quell'immagine di regno perché ne rimarrebbe deformata anche la nostra idea di cosa sia il Regno di Dio.
Già, ma cos'è il Regno di Dio?
Questa domenica celebriamo la festa di Cristo Re dell'Universo e il Vangelo ci parla dell'ingresso nel Regno di Dio che avverrà attraverso il Giudizio Universale. Per esperienza pastorale posso affermare che molte persone hanno del Regno di Dio e del Giudizio Universale un'idea ben diversa da quello che Gesù stesso ci dice. Proviamo, allora, a mettere da parte le nostre precomprensioni e a lasciarci guidare dalla Parola di Dio a comprendere bene.
Ai tempi di Gesù un regno era ben più di un apparato statale di servizi per il suddito, come per lo più invece oggi pensiamo allo Stato in cui viviamo. Vivere in un regno era segno di appartenenza ad una comunità, era la garanzia di non essere soli, di essere difesi, di essere custoditi. Il regno nell'antichità, e forse fino alla metà del XVIII secolo, era un po' come una famiglia allargata, il re non era solo colui che governava ma era la guida donata da Dio per affrontare il pericoloso cammino della vita. Non che mancassero ribellioni e rivolte ma sostanzialmente il regno a cui si apparteneva era un po' come fosse casa propria.
Gesù, scegliendo di utilizzare l'immagine del Regno, intende farci comprendere il Padre ha preparato per noi una casa dove potremo sentirci al sicuro, dove Egli si prederà cura di noi, dove ci donerà la sua gioia, dove non ci sarà più sofferenza ma dove saremo immersi e riempiti del suo amore. Ma come si fa ad entrare in questa realtà? Ancora una volta è questione di amore, saremo giudicati su come abbiamo amato.
Il Giudizio Universale, che paura!
No, non c'è da averne paura, dobbiamo però capire cosa il Signore si aspetta da noi.
Gesù, come il pastore che sceglie e separa le pecore dalla capre, separerà i giusti dai malvagi e il criterio di distinzione sarà l'amore concretamente vissuto "ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere...".
Attenzione però, il criterio non sarà quanto bene avremo fatto ma quanto gratuitamente l'avremo fatto. Nella grande parabola che il Vangelo di questa domenica ci offre, i giusti rispondono meravigliati al Signore "quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare...?" ogni volta, cioè, che hanno sfamato un povero non l'hanno fatto con l'intenzione di fare una buona azione per il Signore, per guadagnarsi il Paradiso, ma semplicemente per amore del fratello povero, non perché vi hanno riconosciuto Gesù "travestito da povero" e quindi hanno cercato di tenerselo buono ma solo e unicamente come gratuito atto d'amore.
Al contrario i malvagi chiederanno al Signore "ma quando ti abbiamo visto affamato e non ti abbiamo servito?" ovvero "se avessimo saputo che in quel povero ti eri nascosto tu, ti avremmo servito sicuramente! Non ci saremmo certo fatti scappare l'opportunità di fare bella figura!"
La differenza tra i due atteggiamenti è più semplice di quanto non sembri. I malvagi pensano che il Paradiso sia un premio, una ricompensa data a chi ha fatto dei favori al Signore, a chi si è arruffianato il capo. I giusti invece hanno semplicemente scelto di vivere una vita d'amore, un amore concreto che si fa vicino a chi ha bisogno, in modo gratuito, senza attendere nulla in cambio.
Il Regno dei Cieli non è un premio ma un'eredità.
L'eredità dice una doppia appartenenza: poiché io appartengo ad una famiglia, il patrimonio di quella famiglia è la mia eredità. Dunque se vogliamo entrare nel Regno di Dio dobbiamo esserne parte, dobbiamo vivere da quello che già siamo: figli di Dio, amando come Dio ama, gratuitamente. L'importante è l'intenzione con cui facciamo le cose: se l'elemosina è solo un modo per tacitarci la coscienza non serve a gran ché perché non è amore vero.
Sembra molto faticoso ma non lo è, siamo creati a immagine e somiglianza di Dio e quando amiamo come ama Lui, in modo gratuito, stiamo compiendo quanto è più proprio della nostra natura e la conferma è che stiamo bene, che siamo veramente felici.
Viviamo da figli del Padre ed entreremo in quell'eredità che è preparata per tutti noi: la gioia eterna della comunione con Dio.
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