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sabato 15 novembre 2014

Questione di prospettiva - Riflessione sul Vangelo di domenica 16 novembre 2014

Ricordate la prima volta che vi hanno detto: "questo ora lo fai tu da solo, ormai ne sei capace"?
La prima volta che ci è stata affidata una responsabilità importante si sono agitati in noi tanti sentimenti diversi: il timore di non esserne capace, il desiderio di compiere il compito al meglio, l'attesa di vederne il risultato, ma soprattutto la gioia per la fiducia ricevuta.
Ricevere un incarico di responsabilità può essere letto come un segno di stima e di fiducia che ci fa sentire considerati e apprezzati, ma possiamo anche lasciar prevalere la nostra insicurezza o la nostra pigrizia e vedere quel segno di fiducia come una seccatura, è questione di prospettive diverse.
Gesù, con la parabola dei talenti, che ascoltiamo questa settimana, mette in luce questi due modi diversi di affrontare la responsabilità che, però, nascondono due modi diversi di vedere Dio.
Prima di osservare le reazioni dei servi, guardiamo il padrone che, ovviamente, simboleggia il Padre.
Il padrone della parabola affida a ciascun servo una determinata somma "secondo le sue capacità" e questa diversa distribuzione dei talenti non è un giudizio di merito, al contrario è segno di  una conoscenza attenta di ciascuno dei servi, non affida a nessuno un incarico più grande delle sue capacità, che poi possa schiacciarlo, né uno inferiore che significherebbe sfiducia e disprezzo. Il padrone non ama di più quello a cui affida di più, prova ne è il fatto che i primi due ricevono esattamente la stessa ricompensa.
Così è Dio, affida a ciascuno di noi dei doni, la sua grazia, il suo amore, a ciascuno secondo le sue capacità, non per schiacciarci né per darci contentini ma perché si fida di ciascuno di noi! Sembra strano ma è così, Dio si fida di ciascuno di noi! Ogni giorno ci affida i suoi talenti, la sua ricchezza che altro non è che la capacità di amare. Ogni giorno Dio ci rende capaci di amare concretamente chi abbiamo accanto, questa è la sua ricchezza che ci affida perché si fida, perché sa che saremo capaci di amare come ama Lui, perché vuole coinvolgerci nel suo disegno d'amore concreto, vero, reale. Nessuno ne è escluso, tutti riceviamo un tesoro d'amore da impegnare, da far fruttare, ciascuno secondo le sue possibilità concrete e reali, non solo chi è giovane e in forma ma anche chi giace in un letto per la malattia, anche chi è infermo o anziano, a tutti, ogni giorno, il Padre affida il suo amore perché lo facciamo fruttare.
Potremmo trovarci, così, anche noi nelle condizioni dei servi della parabola. I primi due si impegnano a far fruttare quanto ricevuto, il terzo invece preferisce mettere da parte quanto affidatogli e continuare a pensare ai propri comodi. Questa reazione differente è questione di prospettiva, dipende da quale immagine hanno del padrone. I primi si scoprono amati e apprezzati dal padrone, riconoscono nella somma ricevuta il segno della fiducia del padrone e entrano in questa relazione di fiducia, rispondono con il loro impegno pieno e completo che diventa segno della loro gratitudine. Hanno compreso che il padrone li conosce, li apprezza e li ama. Il terzo invece vede il padrone in una prospettiva ben diversa, lo considera un uomo duro ed esigente, che sfrutta e pretende ciò che non gli spetta, lascia prevalere la sua paura e la sua pigrizia e decide di sotterrare il talento ricevuto, non vuole avere nulla a che fare con il padrone, non vuole entrare in relazione con lui.
E noi, con quale prospettiva guardiamo a Dio? Chiediamoci: chi è per me il Padre?
Molto molto spesso la nostra prospettiva è quella del terzo servo, guardiamo a Dio con sospetto, pensiamo che pretenda da noi troppo o che ci voglia impegnare con qualcosa che è al di sopra delle nostre possibilità, preferiamo restarcene tranquilli a pensare ai nostri affari piuttosto che lasciarci coinvolgere nei suoi progetti. Dio spesso ci sembra un giudice severo e inflessibile, che prima ci chiede molto e poi ci punisce, lasciamo prevalere la nostra paura, la nostra pigrizia, il nostro senso di frustrazione, lo scoraggiamento.
Tutti, nessuno escluso, ci siamo trovati a guardare a Dio dalla prospettiva del terzo servo, oggi il Signore Gesù ci dice di aprire gli occhi, di cambiare prospettiva, di iniziare a guardare il Padre per quello che è, di considerarlo come lo considerano i primi due servi.
Ci dice di riconoscere che il Padre si fida immensamente di noi, molto più di quanto noi non ci fidiamo di Lui, ci affida il tesoro del suo amore affinché lo riversiamo sui fratelli che abbiamo ogni giorno attorno a noi. Ci chiede di fidarci di Lui che ci conosce e ci ama, che non ci metterebbe mai in difficoltà, non ci affiderebbe mai qualcosa oltre le nostre capacità. Ci chiede di entrare in questa relazione di fiducia e responsabilità, di lasciarci coinvolgere nel suo progetto d'amore perché quello che ci affida è ben poco paragonato a quanto ha preparato per noi, perché scegliendo, oggi, di compiere la sua volontà vi scopriamo già la pienezza della nostra gioia.
Il terzo servo si è condannato da solo, ha scelto di non entrare nella relazione col padrone, ha deciso di auto escludersi e si trova così nella tristezza e nella disperazione. Così se ci ostiniamo a non entrare in relazione con Dio ci auto escludiamo dalla gioia autentica, dalla vita vera perché solo Dio è fonte di gioia e di vita nuova.
Allora non ci resta che cambiare prospettiva, iniziamo a riconoscere e ringraziare il Padre per la fiducia che ha in noi, anche se ci sembra esagerata, e rispondiamo con il nostro impegno a essere ogni giorno testimoni e portatori del suo amore e saremo partecipi subito della sua gioia!

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