Una delle domande che mi sento rivolgere più frequentemente è "come si fa ad avere più fede?"
Domanda più che legittima, anche i discepoli un giorno chiesero a Gesù "aumenta la nostra fede".
Ma cos'è la fede? Cosa vuol dire credere?
San Tommaso Apostolo pensava che credere fosse questione di esperienza, pensava di dover toccare con le proprie mani Gesù Risorto per poter credere in Lui. Spesso anche noi la pensiamo così, siamo convinti che molte delle nostre difficoltà di fede le potremmo superare se Dio ci desse un segno inequivocabile.
Gesù si mostra a Tommaso e lo invita a toccare le sue ferite, asseconda le sue richieste, ma a quel punto Tommaso non ha più bisogno di credere che Gesù è risorto, lo sa. Eppure Gesù gli dice "non essere più incredulo ma credente".
Dunque la fede è di più, non è solo ammettere che Cristo sia risorto dai morti, c'è qualcos'altro, non è solo un atto del nostro intelletto, della nostra conoscenza.
La fede è la relazione con Dio, con il Signore Gesù; credere significa aprire il cuore all'amore del Padre che ci illumina, che ci rivela il suo disegno di gioia e di pace per la nostra vita e per tutta l'umanità. Non è solo una questione di testa, di pensiero, non è un sistema filosofico o un'ideologia ma è la piena adesione al Signore Risorto che salva la mia vita.
Dobbiamo rivedere la nostra idea di fede, dobbiamo cancellare l'idea che la fede sia una gran fatica, una teoria da imparare a memoria, una serie di leggi a cui sottometterci.
La fede è la relazione libera e piena con Dio, è vivere nel suo amore, gioire della sua gioia, essere custoditi dalla sua potenza sia nei momenti belli che in quelli più difficili.
Non è facile! Non lo è per nessuno! Tutti andiamo incontro ai dubbi, ce lo ha ricordato papa Francesco qualche mese fa, è normale! Anzi i dubbi sono proprio la prova che Dio non ci costringe, non ci obbliga a credere in Lui, non ci impone la sua presenza, perché ci ama per davvero e chi ama non costringe mai, non obbliga, non si impone.
La vita di fede, allora, sembra difficile ma in realtà è più facile di quanto non si pensi perché è qualcosa che lo Spirito Santo realizza in noi, ci rende capaci di amare Dio e, gradualmente e con tanta pazienza, ci insegna a fidarci ogni giorno di più.
In questo percorso non siamo soli, la fede non è un cammino che si fa in solitaria ma in comunione con tutti i fratelli che prima di noi e con noi hanno incontrato il Signore Risorto nella propria vita e hanno scoperto in questo incontro la gioia più grande.
Ciascuno di noi ha ricevuto, almeno una volta nella vita, l'annuncio da un fratello che gli ha detto "ho incontrato il Signore Gesù nella mia vita e me l'ha cambiata, e mi ha dato la gioia vera! Vieni anche tu ad incontrarlo!"
Apriamo il nostro cuore a questo annuncio, accogliamo il Signore nella nostra vita e poi con coraggio annunciamolo a chi ancora non lo conosce, a chi ancora cammina nel buio e nello sconforto... quanta gente oggi vive così! Gesù ci manda a loro perché la nostra gioia sia contagiosa, diventi testimonianza, e tanti nostri fratelli possano essere partecipi di questa beatitudine.
Pensieri e riflessioni di un prete carismatico felicissimo di scoprire ogni giorno l'amore fantasioso e tenerissimo di Dio!!!
sabato 26 aprile 2014
sabato 19 aprile 2014
Un giorno nuovo - Riflessioni sul Vangelo di Domenica 20 aprile 2014
Quante volte mi farebbe comodo avere più tempo, gli impegni sono molti, gli appuntamenti anche, le richieste pure… se la settimana avesse un giorno in più certo non mi dispiacerebbe affatto.
Viviamo in un mondo in cui tutti sono perennemente di fretta, lo sappiamo bene, ma mi chiedo: ci corre dietro qualcuno? Perché corriamo tanto? Perché tutto questo affanno? Cosa cerchiamo con tanta foga?
Cerchiamo di riempire la nostra vita di tante cose belle, di ciò che ci soddisfa, che ci appaga, che ci fa sentire realizzati. Solo che è difficile arrivare ad un appagamento vero, sembra sempre che ci manchi un pezzetto, che manchi qualcosa e così pensiamo che ci manchi il tempo per fare qualcosa in più.
In un certo senso è vero, ci manca un giorno, l’ottavo della settimana, quello in cui è risorto Gesù.
Con la sua resurrezione Gesù non si limita ad aggiungere un giorno come gli altri, lo riempiremmo subito di impegni e ci ritroveremmo allo stesso punto di prima, ci dona un tempo nuovo, ci dona l’eternità, non come promessa di qualcosa che verrà dopo la morte ma come una realtà che iniziamo a vivere già da ora.
Con il Battesimo Gesù ci ha resi partecipi della sua resurrezione e ci dona la possibilità di vivere la nostra vita nell’ottavo giorno che è l’eternità, di vivere cioè ogni nostra giornata non come un inesorabile scorrere del tempo verso la morte ma come la partecipazione piena alla vita di Dio.
Detto così sembra filosofico ma non lo è.
Se scelgo di fidarmi di Gesù, di ascoltare la sua Parola che parla al mio cuore, di vivere secondo il suo amore, di compiere le sue opere, tutto cambierà radicalmente: non mi dovrò più affannare a prevedere cosa potrebbe succedermi domani ma mi affiderò al Signore e metterò nelle sue mani i miei progetti e le mie aspirazioni perché mi doni di compiere quello che è veramente buono e giusto per me. Si può scegliere di vivere già da ora l’eternità, di vivere nell’Ottavo Giorno: è impegnativo e poco compreso da chi continua a vivere una settimana terrena, ma estremamente liberante perché si vive nella vera libertà dei figli di Dio che sanno di avere un Padre che provvede loro tutto quello di cui hanno bisogno e che guida le loro scelte e le loro azioni verso il bene vero.
sabato 12 aprile 2014
Con la mitezza di un asinello - Riflessione sul Vangelo di domenica 13 aprile 2014
"Che asino che sei!" Forse a molti di noi da bambini ci sarà capitato di sentirci paragonare a questa bestia da soma quando i nostri profitti scolastici non raggiungevano livelli di eccellenza... Ma a guardarlo bene, l'asino è proprio un animale simpatico: lavora e porta grossi pesi senza lamentarsi, è docile e si lascia guidare, è mite e non aggredisce chi gli si avvicina. A me gli asinelli stanno proprio simpatici... e anche a Gesù!
Gesù sceglie di arrivare a Gerusalemme cavalcando un asinello e attraverso questa cavalcatura si presenta ai giudei e anche a noi come Re mite e umile.
I re di questo mondo, oggi forse potremmo parlare di presidenti di nazioni ma anche di multinazionali, esercitano il loro potere, comandano e gli altri devono eseguire; si circondano di guardie del corpo, di persone che siano pronte a perdere la propria vita per salvare la loro; vedono tutto come un loro diritto e sfruttano chi è loro sottomesso.
Gesù è Re nella maniera opposta: non comanda né obbliga nessuno a seguirlo, infatti sulla croce sarà solo, abbandonato anche dai suoi; non ha chi lo difenda ma anzi è Lui a donare la sua vita per noi; compie il pieno dono di sé come atto totalmente gratuito, come atto di amore vero.
La Settimana Santa che stiamo iniziando è il tempo che la Chiesa ci dona per contemplare questo meraviglioso dono di amore, non fermiamoci solo a considerare la sofferenza di Gesù, guardiamo cosa lo ha spinto ad abbracciarla: l'amore per noi!
Lasciamoci plasmare da questo dono d'amore, impariamo da Gesù a vivere anche noi da Re!
Re che si mettono a servizio dei fratelli, sempre, in ogni situazione, anche nei momenti più difficili. Anche se fossimo costretti su un letto di ospedale, invece di pensare solo alle nostre sofferenze e magari prendercela con Dio e il mondo intero, proviamo a ringraziare il Signore per quella sofferenza e offriamola per la salvezza dei nostri fratelli, di quelli che più ne hanno bisogno. Se ci lamentiamo peggioriamo solo la nostra condizione, se invece ci affidiamo al Signore Gesù e gli offriamo tutta la nostra vita, le nostre fatiche e i nostri insuccessi, anche ciò che ci sembra una perdita Egli lo trasformerà in vittoria come ha trasformato la sua croce nella nostra salvezza.
Re miti che non impongono le proprie idee, i propri modi di fare, che non criticano e giudicano solo perché l'altro è diverso da me, la pensa in maniera differente; Re che sanno riconoscere sempre nell'altro che ho di fronte un fratello e non un nemico.
Re umili che non cercano la propria gloria perché hanno compreso che non c'è benessere personale se non c'è benessere comune, che saremo veramente felici solo se saremo tutti felici.
Gesù sceglie di arrivare a Gerusalemme cavalcando un asinello e attraverso questa cavalcatura si presenta ai giudei e anche a noi come Re mite e umile.
I re di questo mondo, oggi forse potremmo parlare di presidenti di nazioni ma anche di multinazionali, esercitano il loro potere, comandano e gli altri devono eseguire; si circondano di guardie del corpo, di persone che siano pronte a perdere la propria vita per salvare la loro; vedono tutto come un loro diritto e sfruttano chi è loro sottomesso.
Gesù è Re nella maniera opposta: non comanda né obbliga nessuno a seguirlo, infatti sulla croce sarà solo, abbandonato anche dai suoi; non ha chi lo difenda ma anzi è Lui a donare la sua vita per noi; compie il pieno dono di sé come atto totalmente gratuito, come atto di amore vero.
La Settimana Santa che stiamo iniziando è il tempo che la Chiesa ci dona per contemplare questo meraviglioso dono di amore, non fermiamoci solo a considerare la sofferenza di Gesù, guardiamo cosa lo ha spinto ad abbracciarla: l'amore per noi!
Lasciamoci plasmare da questo dono d'amore, impariamo da Gesù a vivere anche noi da Re!
Re che si mettono a servizio dei fratelli, sempre, in ogni situazione, anche nei momenti più difficili. Anche se fossimo costretti su un letto di ospedale, invece di pensare solo alle nostre sofferenze e magari prendercela con Dio e il mondo intero, proviamo a ringraziare il Signore per quella sofferenza e offriamola per la salvezza dei nostri fratelli, di quelli che più ne hanno bisogno. Se ci lamentiamo peggioriamo solo la nostra condizione, se invece ci affidiamo al Signore Gesù e gli offriamo tutta la nostra vita, le nostre fatiche e i nostri insuccessi, anche ciò che ci sembra una perdita Egli lo trasformerà in vittoria come ha trasformato la sua croce nella nostra salvezza.
Re miti che non impongono le proprie idee, i propri modi di fare, che non criticano e giudicano solo perché l'altro è diverso da me, la pensa in maniera differente; Re che sanno riconoscere sempre nell'altro che ho di fronte un fratello e non un nemico.
Re umili che non cercano la propria gloria perché hanno compreso che non c'è benessere personale se non c'è benessere comune, che saremo veramente felici solo se saremo tutti felici.
sabato 5 aprile 2014
La Vita oltre la vita - Riflessione sul Vangelo di domenica 6 aprile 2014
A tutti sarà successo da bambini di rompere un giocattolo: ti ritrovi in mano i pezzi di qualcosa a cui tenevi molto e comprendi che non potrai riaggiustarlo, che non lo riavrai come prima, e ti senti triste...
Crescendo abbiamo compreso che non si rompono solo i giocattoli o gli oggetti in genere ma che anche il nostro corpo può rompersi e, a volte lo si può riaggiustare, altre non c'è nulla da fare e arriva la morte.
Che brutta cosa la morte! Talmente brutta che preferiamo non parlarne e non pensarci se non quando è proprio indispensabile perché, quando dobbiamo farlo, sentiamo nuovamente in noi quella tristezza e delusione che abbiamo provato la prima volta che abbiamo tenuto in mano un giocattolo rotto, con la differenza che ora non si tratta di oggetti ma di persone e il dolore è molto più grande.
Anche Gesù conosce bene questa tristezza profondamente umana e piange davanti alla tomba del suo amico più caro perché la morte ci mette sempre di fronte alla fragilità della nostra condizione e impietosamente disintegra le nostre illusioni di invulnerabilità.
Rimane però in noi un desiderio profondo di vita, c'è qualcosa che ci spinge a non rassegnarci alla morte e a continuare a sperare e volere la vita, una vita vera, piena, che nulla possa interrompere. Un'altra illusione? No, questa no, in fondo al cuore sappiamo che possiamo continuare a sperare e a desiderare una vita senza la morte, una vita oltre la morte. Marta esprime questo desiderio e Gesù, non solo le conferma che non è un'illusione, ma che è proprio Lui la resurrezione e la vita. Se viviamo e crediamo in Lui la morte non avrà potere su di noi. Gesù non ci abbandona al buio della morte ma ci fa entrare nella luce della sua Pasqua, lo ha fatto con il Battesimo, la nostra pasqua personale, il nostro passaggio dalla morte alla vita. Nella Veglia di Pasqua faremo memoria del nostro Battesimo proprio perché è stato quel dono a unirci, immergerci, nella Pasqua di Cristo Gesù.
Ma com'è allora che moriamo comunque? La vita che Gesù ci dona non è più la vita che viviamo ora, segnata dalla sofferenza, dal male, dal dolore e dalla morte, ci faremmo ben poco...
La vita che Gesù ci dona è la vita di Dio, è la vita eterna, è la gloria del Padre, è una vita che non può essere vista con gli occhi del corpo ma che può essere percepita solo con gli occhi della fede, quegli occhi che Gesù ha aperto al cieco nato nel Vangelo di domenica scorsa e che ha aperto anche a noi, gli occhi che apriamo con la professione di fede. A Marta Gesù dice: "non ti ho detto che, se crederai, vedrai la gloria di Dio?"
Gesù non si riferisce al ritorno in vita di Lazzaro ma alla contemplazione della vita eterna. Credere in Gesù come nostro salvatore, accoglierlo come nostra resurrezione ci apre gli occhi e ci fa vedere che noi siamo già nella vita eterna, che lo Spirito Santo abita già ora in noi e ci dona già ora la vita di Dio nell'attesa del momento in cui anche il nostro corpo potrà entrare nella pienezza della gloria del Padre.
Non lasciamoci conformare da questa società che sta trasformando la morte in un diritto con le battaglie per la legalizzazione di aborto ed eutanasia, non siamo figli della morte ma figli della vita.
Viviamo da risorti!
Crescendo abbiamo compreso che non si rompono solo i giocattoli o gli oggetti in genere ma che anche il nostro corpo può rompersi e, a volte lo si può riaggiustare, altre non c'è nulla da fare e arriva la morte.
Che brutta cosa la morte! Talmente brutta che preferiamo non parlarne e non pensarci se non quando è proprio indispensabile perché, quando dobbiamo farlo, sentiamo nuovamente in noi quella tristezza e delusione che abbiamo provato la prima volta che abbiamo tenuto in mano un giocattolo rotto, con la differenza che ora non si tratta di oggetti ma di persone e il dolore è molto più grande.
Anche Gesù conosce bene questa tristezza profondamente umana e piange davanti alla tomba del suo amico più caro perché la morte ci mette sempre di fronte alla fragilità della nostra condizione e impietosamente disintegra le nostre illusioni di invulnerabilità.
Rimane però in noi un desiderio profondo di vita, c'è qualcosa che ci spinge a non rassegnarci alla morte e a continuare a sperare e volere la vita, una vita vera, piena, che nulla possa interrompere. Un'altra illusione? No, questa no, in fondo al cuore sappiamo che possiamo continuare a sperare e a desiderare una vita senza la morte, una vita oltre la morte. Marta esprime questo desiderio e Gesù, non solo le conferma che non è un'illusione, ma che è proprio Lui la resurrezione e la vita. Se viviamo e crediamo in Lui la morte non avrà potere su di noi. Gesù non ci abbandona al buio della morte ma ci fa entrare nella luce della sua Pasqua, lo ha fatto con il Battesimo, la nostra pasqua personale, il nostro passaggio dalla morte alla vita. Nella Veglia di Pasqua faremo memoria del nostro Battesimo proprio perché è stato quel dono a unirci, immergerci, nella Pasqua di Cristo Gesù.
Ma com'è allora che moriamo comunque? La vita che Gesù ci dona non è più la vita che viviamo ora, segnata dalla sofferenza, dal male, dal dolore e dalla morte, ci faremmo ben poco...
La vita che Gesù ci dona è la vita di Dio, è la vita eterna, è la gloria del Padre, è una vita che non può essere vista con gli occhi del corpo ma che può essere percepita solo con gli occhi della fede, quegli occhi che Gesù ha aperto al cieco nato nel Vangelo di domenica scorsa e che ha aperto anche a noi, gli occhi che apriamo con la professione di fede. A Marta Gesù dice: "non ti ho detto che, se crederai, vedrai la gloria di Dio?"
Gesù non si riferisce al ritorno in vita di Lazzaro ma alla contemplazione della vita eterna. Credere in Gesù come nostro salvatore, accoglierlo come nostra resurrezione ci apre gli occhi e ci fa vedere che noi siamo già nella vita eterna, che lo Spirito Santo abita già ora in noi e ci dona già ora la vita di Dio nell'attesa del momento in cui anche il nostro corpo potrà entrare nella pienezza della gloria del Padre.
Non lasciamoci conformare da questa società che sta trasformando la morte in un diritto con le battaglie per la legalizzazione di aborto ed eutanasia, non siamo figli della morte ma figli della vita.
Viviamo da risorti!
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